Giornata Mondiale della Poesia | 21 marzo
La Poesia, i Poeti
In occasione della "Giornata Mondiale della Poesia" raccogliamo in un'unica pagina (questa), in tempo reale, i contributi di tutti gli autori sul tema indicativo "La Poesia, i Poeti";
basterà inserire nel titolo dei componimenti, pubblicati nelle diverse sezioni de LaRecherche.it, l'hashtag: #poesiapoeti (esempio, se il titolo scelto per il testo è La primavera, allora si dovrà scrivere: La primavera #poesiapoeti).
Poesia
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La voce
(22/03/2021 22:12:36) »
Gaetano Lo Castro
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Tutto comincia una strana mattina. Termina il sonno sentendo chiamare, con voce dolce, lontana e vicina, il mio nome come gli echi a mare. Mi alzo, guardo dappertutto: nessuno. Era sogno, penso, o ora sono pazzo? Nel bagno il mio capo in acqua tuffo. Mi vesto e esco di casa come razzo. Tutto continua così sino a sera, con 'sta voce che chiama sempre me. "Chi sei? Cosa vuoi?" chiedo pieno d'ira. "Non si sfugge al destin, qualunque è. E' legge già da quando il mondo gira. Son la Poesia, e ora voglio te."
A -
(21/03/2021 17:46:17) »
*
Cosi siamo all'ombra di uno spazio vissuti così nutriti di forme e di parole così di luci amare che ci svelarono sole anime all'impresa con il vuoto, disperanti canti di tamburi a morte. A sorte venne tirato il nostro destino, corte braccia per annaspare il vuoto. Moto di rabbia e di dolore ti rubò le mani, il tempo consumò in fretta il piacere, un eros mite che non salvò il domani.
Detto, scritto, danzato
(21/03/2021 17:43:12) »
Rita Stanzione
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Come se il poeta fosse le sue liriche la voce nella stanza, sola si contrae, contorce panneggi e le finestre slittano da altre finestre si separa ciò che era unito e si vive daccapo, si ri- respira il ritmo -sono io che muovo i fili al pathos e giro in tondo ai muri non più perimetri a un certo punto ci leviamo vibrato ed arco quanto più deciso è il vento che strane cose porta nell’altalena della persistenza
Alla Poesia (madre mia) - 21 Marzo 2021 -
(21/03/2021 10:14:43) »
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Mi hai dato la fame tra i cancelli, i salti alle ringhiere, gli amici spericolati oltre il gioco, i chiodi grandi - i punteruoli - da conficcare a terra tra le piante, nelle piccole aiuole ad ornamento.
Ho mendicato la grazia della tua parola quando m'apparivi già in lontanza una possibilità di spiegazione o il pane e l'acqua di quelle grandi fame e sete che mi divoravano di dentro. Ti ho tirata per la veste, ti ho spogliata dei tuoi ornamenti ti ho resa nuda ai miei occhi fino all'essenziale
ho scelto i tuoi capezzoli a mia dimora scalzo così com'ero mendicai e ancora mèndico la tua maternità ed io ti porto in dono il fardello di un'informe figlitudine.
La storia di una Vita
(03/01/2021 17:04:49) »
Emanuela Lazzaro
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Un bimbo inginocchiato davanti al fuoco, resta un po’ in ascolto della madre che legge piano al tavolo: C’era una volta, no, c’è ancora, la vita che cresce in una storia, è la storia di un fuoco d’amore, in cui l’amore unisce due vite: a loro un dì, una voce diede la sua luce, perché iniziasse la Storia scritta dall’uomo.
Il bimbo ora si è addormentato, sul grembo della madre che l’ha cullato con la storia della sua vita, dove al tempo spesso ha sorriso, con gli occhi, anche tra le difficoltà, poiché l’amore è come il moto di un fiore, nasce, prospera e poi muore ma non s’arresta mai nel suo divenire, prima di dare un nome a ciò che chiamano Dio.
Acattolico Requiem
(21/03/2020 19:47:47) »
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Tornerò a trovarli: Dario, Amelia, Gregory e gli altri di cui ignoro lì il loro stare, immobili attese.
Camminerò ancora tra le loro tombe, leggerò le date, le frasi, guarderò i marmi pietre di memoria;
perché non muoiono i poeti, sono ali sospese nell'aria, incerte se andare o restare.
L’alba sul golfo di Trieste
(19/09/2019 09:55:51) »
Emanuela Lazzaro
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Quando odo scivolare tra le onde i sospiri del tempo e gli informi giochi di luce a cadere dal cielo, io chiudo i miei occhi e sono vacui di inverno, gli infiniti istanti carezzati dal gelido vento. Sul golfo si posa un po' l'anima e, infine oltre lo sguardo, stende le sue dita cangianti una candida pittrice che il buio non strema. Orsù, non muore più la mente sol perché un’ombra si perde. E tra i mille sussurri del mare, fluttuano diversi colori poiché si veste di quiete un'emozione che più non offende.
Gli occhi del poeta
(22/03/2019 16:56:50) »
Quin
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GLI OCCHI DEL POETA Li avete mai guardati negli occhi i poeti? Non dico quelli veri e "laureati" I raffinati e virtuosi esteti Che in versi abilmente cesellati Trascrivono emozioni imperiture Tradotte in arabeschi delicati, Né dico, è ovvio, le mie rime impure Per cui non ho che una modesta stima: Io sono solo uno che "ci prova" Mischiando narcisismo e umiltà E per mancanza di capacità, Svanisce e lascia lì il vuoto di prima In cui qualcuno a volte si ritrova. Invece lui li ha umidi e svagati Gli occhi, dico, e non vedono niente A tratti fissi al vuoto a tratti al cielo Come smarriti o coperti da un velo Solo di rado allegri e illuminati Se d’un tratto la piega discendente Delle labbra si alza in un sorriso Contagioso e presto condiviso Cui sempre resta un fondo un po’ dolente. Gli oscilla il capo dietro alle parole Che viaggiano nell’aria come in volo Ci sono solo quelle e per lui solo: un uomo solo con le sue parole Però quello che dice lascia un segno Sei lì e ti chiedi se non sia follia Quel canto altrui che ti porta via Come fa un’onda col pezzo di legno Ora mi chiedo: è un servo o un padrone E ciò che canta è suo o è del mondo E lui subisce solo e non si oppone O fruga l’universo fino al fondo Dicendo l’io, la vita e anche l’altro, Che con la morte il cerchio richiude Con quelle sue poche parole nude Che sembrano parlare di tutt’altro? Ma poi li chiude gli occhi ed è soltanto Un cristo appeso alla sua strana croce E al silenzio appartiene il suo canto Come al silenzio torna la sua voce. QuinMar18 (a P.S., grato)
Quest’opera cortissima
(22/03/2019 11:26:07) »
Rita Stanzione
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Non pensare, quest’opera cortissima è nata per sbaglio La primavera stava nelle bocche chiuse un punto solo era specchio della luce fuggita dal sonno orefice del sorriso che cruda e confusa ritagliavo dal paesaggio che Pegaso aveva tenuto per sé
La testa di Ennio
(22/03/2019 09:37:13) »
Gian Piero Stefanoni
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Certo non il nome ma la postura nell'affanno di dei- e re- a cui più non credi.
E forse hai smarrito anche l'epigrafe nel culto senza sorriso della forma, l'esametro- le tre anime- non cantando più uomini, Scipione sepolto accanto a te sulla via Appia.
Rinascita
(21/03/2019 21:24:18) »
Giulia Bellucci
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Indecifrabile è giunto quell’alito possente e consueto e così ti ho visto rinascere sui rami quiescenti che avevo ormai creduto aridi nei giorni d’inverno. Hai ricoperto del tuo respiro le zolle nude dei campi arati che t’attendevano da tempo. Ora le feconda lieve la pioggerella di Marzo e tutto rifiorirà intorno. Avremo giornate più lunghe per sbirciare l’azzurro oltre il grigio che attanaglia ancora il petto e si dissolverà al nuovo tepore. Erano lunghe le primavere da bambina ma ora incalzano veloci inseguendo l’orizzonte verso il crepuscolo e additando da lontano la nuova vita che attende.
Onde primaverili
(21/03/2019 20:31:54) »
Franca Colozzo
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Onde primaverili#poesiapoeti Ras Al Khaimah (Emirati Arabi Uniti) Oscilla il suono com'in conchiglia, echeggia d'onde. Parla greve il silenzio con voce d'ombre, da lontane sponde. Raschia le tenebre sommesso fragore, oltre cosmica luce. Galoppano idee, selvaggi marosi, ancora in nuce. S’incamminano pensieri numerosi, erranti in ogni dove. Arido profumo porta con sé il vento, aspro di sale. Si frange il mare in un glauco lamento di tenue schiuma. Sento nell'aria un tono in crescendo di primaverile fioritura. * SPRING WAVES Rocks the sound as in a shell, echoes of waves. Silence speaks heavy with a voice of shadows, from distant shores. Scrapes the darkness subdued roar, beyond cosmic light. Gallop ideas, wild waves, still in embryo. My thoughts are moving, wandering everywhere. Arid scent brings with it the wind, sour with salt. The sea is fringed in glaucous tear of soft foam. I feel a growing up in the air of spring flowering. Free translation by Franca Colozzo
Ad Angela Ferrara nel suo 32’ compleanno
(21/03/2019 20:02:04) »
Marco G. Maggi
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Un passaggio fugace. appena percettibile, solo un altro contatto sui social che mi chiedeva di votare una poesia quasi con l’insistenza di chi sa di avere ancora poco tempo e che i trentadue anni d’età sono una chimera. Mi spiace lontana e sconosciuta amica di non avere letto più cose di te magari di approfondire un’amicizia vera ho rivisto per l’ultima volta la tua foto sui TG: non ci credevo ma eri proprio tu nelle pagine più buie della cronaca nera. Così scopro che oggi è il tuo compleanno un compleanno che passa senza di te il primo giorno di primavera tuo figlio non avrà sua madre accanto trucidata da un marito, un padre, -un uomo proprio come me- e la vergogna si trasforma in pianto.
Apri il guscio #
(21/03/2019 18:50:08) »
Guido Balbo
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Amo la poesia le sue gocce di rugiada passi al sole e scivoloni d'arrampicate sugli specchi il sapore delle perle, luminarie di armonie leggere dal senno avvolte o da leggenda d'irrituali o suoni dolci succo del Poeta perché cattura l'attenzione ma non trattiene da semplice partenza per vacanza rinfrancante stacca la spina al libero sfogo svincolando da tentazione d'esagerare, poi ... apro il guscio e gusto il gheriglio.
Lettera Tenera
(21/03/2019 07:13:13) »
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a Passerottina Verrai all'alba, con un nome nuovo, sarai della luce il nuovo nome, sarai il canto dei germogli ed il colore degli uccelli;
mi sarai cielo al risveglio da un sogno, dove il mio respiro erano le tue labbra che mi sussurravano l'amore. Così
ho imparato a dare un nome agli alberi quando torna in me la primavera
Discorso sui massimi sistemi
(21/03/2019 00:17:33) »
Adielle
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Di come la vita continui, di questo scrigno lacustre, dirò la superficie sottile, l'incresparsi delle onde, riflessi vermigli di cui può ardere la sera in timide gote se le acque rosee sanno fondersi con un sentire arboreo di fronde ed il mio sguardo sarà tanto vicino e tanto distante da non essere altro che un commento a latere: qui riposo conversando, tra salici.
Il poeta
(27/02/2019 15:12:01) »
Quin
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IL POETA Cosa cerca il poeta in quel che suole Senza mai crederci chiamar poesia? In una forma forse di follia Di costruirsi un fallo di parole. QuinZanziago14
Il poeta e la donna
(21/02/2019 14:19:05) »
Quin
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Quando un poeta, di qualsiasi età, Volto, voce, comunque un poeta Vede una donna non è un’ora lieta Perché lui lo sa che non è lei quella Neppure veramente così bella Da così tanto e per sempre smarrita E in verità mai realmente esistita. Ma sa che neanche questa incontrerà. Sa pure che se uno sconvolgimento Di ogni ordine dell’universo Permettesse un accadere diverso E un nuovo inusitato momento Lì, in quell’istante, in quella via Lo cogliesse infine impreparato Sarebbe la morte di ciò che è stato. O l’inizio di una nuova poesia. Qnov14
Quando le madri cantavano
(23/02/2018 18:39:11) »
Edi Davoli
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Neve, voleva essere sotto i piedi, soffice con lo scricchiolio nel pressarla con le mani. Era un rito, riempirne il bicchiere fino all'orlo con la saba. Il freddo e la dolcezza nella gola insieme, il brivido che avvolge. Ricordi quegli inverni? Le bucce d'arancia sulla stufa i geloni doloranti e le braci dentro il letto. Ci infilavamo sotto come il pane da infornare. Ancora gelo e calore, un matrimonio. I contrasti che si spingono nel cuore. Sono i fossi che creano i confini le siepi, i cancelli e le bandiere Ma il manto della neve li ricopre, Quanto l'ala della chioccia accoglie i suoi pulcini. Lo sai che ho spazzato via, le foglie Ormai, non so più, da quanto tempo. Ho fatto il bucato anche alla luna perché tutto sia puro e risplendente Perché il biancore illumini i tuoi occhi Perché siano ripulite le tue pene. Come un passero che lascia nella Neve Le impronte delle zampe e non del becco Perché non trova mai un altro seme. A mia madre
Il canto dell’anima di Kahil Gibran videopoesia
(22/03/2017 10:13:53) »
Klara Rubino
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L’arcobaleno
(21/03/2017 23:12:32) »
Rayuela
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Esplode il verde Tra il colibrì e un ramo l'arcobaleno
Com’è accaduto
(21/03/2017 16:59:05) »
Loredana Savelli
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È accaduto per strada: ha trovato il riflesso di un fiore, ha pensato che fosse un regalo e lo ha preso.
l’esercizio della scrittura (a mano libera)#
(21/03/2017 14:54:22) »
Viganò Massimo
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disegno quando scrivo e viceversa (io) traccio e lascio traccia (fragile persa) quando scrivo (di)segno (e non scrivo) le parole ossi(a) la lingua stessa che le segna che (ri)vela le fattezze ed i sensi ne (di)svela il volto insonne scrivo e (dunque) come in sogno parlo è senso (questo) e segno di volontà intermittente lascio allora (se interrogato) in buon italiano al disegno lascio alle linee il compito di svelare le (s)torture e gli oscuri percorsi le linee segrete che sappiamo esistere ma non percorreremo con ostinazione e la forma della lingua la voragine della gola che inghiotte emergendone l’intenzione e la forza e direzione (i sensi) le parole che a piacere prendono e danno vita (con)dannando il mondo intero o lo redimano ovvero ne restituiscano almeno voce
Mentre la luce attraversa le tende
(21/03/2017 10:10:06) »
Klara Rubino
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Vino versato Velluto rosso Papavero al tramonto Fiore di pesco al mattino Lo scoppio di una risata La rilassante scia di una remata armoniosa La pioggia di notte batte sulla tenda da campeggio Pietruzze schizzano dalle ruote della bicicletta E una farfallina bianca circumnaviga l'aria. Sei anima questo Riflesso sullo specchio antico Mentre la luce attraversa le tende.
Poiein- costruire
(21/03/2017 09:43:17) »
Gian Piero Stefanoni
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L'impostura è nel gesto ripetuto, nel campo uguale a se stesso.
Non ha offerte né adolescenza la storia nella logica del volto unico.
Poi una sera, chiuse le imposte, il verso greco lo rivelò: la stanza è al centro, la candela spenta, il mondo ancora lirico nella misura del senso.
Passata è la notte che attendevi.
Primo vere
(21/03/2017 09:38:30) »
Franca Colozzo
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Abitammo
(21/03/2016 16:48:58) »
Gian Piero Stefanoni
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Abitammo. Dove ventricoli risucchiano città e lambiscono suoni le fitte coltri di vetri.
Ed accanto il mare dei morti, il risveglio dell'onda che fu per noi martirio. Richiamo di voci nascoste, riverbero e parole.
Abitammo, ed il verso fu per noi sostanza.
La Poesia è una rima facile
(21/03/2016 11:50:29) »
Lorena Turri
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Chiamala voglia d'amore quella che colma lo spazio tra l'anima e il cuore.
Il dono fatato della sorte
(24/03/2014 18:59:48) »
Danilo Manocchio
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La poesia mi gronda dalle mani con un forza davvero travolgente alle volte le dico ripassa domani ma lei resta impressa nella mente... come posso coi versi campare benché il dono fatato della sorte nessun editore vuole stampare liriche d’anime fra pagine risorte... solitario penetrando pazze rime lo spirito diviso dal corpo spazia però se ogni istante si sopprime a chi interessa uno stato di grazia... aspetto che il sogno s’espanda siccome non sembro ossia sono viaggio su una vetusta panda vecchia di quindici anni or sono... migliori amici un cane e un gatto insieme a loro gioco all’esistenza ho già dichiarato d’essere matto colmo d’un’eterna controtendenza... vorrei conoscere qualche lettore dietro le lenti il senso del tragico magari percepisce nello scrittore andando oltre soltanto il magico... ad una giuria d’angeli sottopongo il mio tracciato poetico particolare perché col mio sangue compongo favole quindi ali per poter volare... talvolta travolge la penna pudica chiazze d’innominabile vergogna poi stillando il significato dedica a ciascun uomo che ancora sogna...
Come un respiro ...
(22/03/2014 17:37:11) »
Giorgio Mancinelli
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Come un respiro … l’alito di vento che viene a derubarmi delle mie foglie gialle, le ultime rimaste d’un inverno senza colori che ha cancellato i miti e i riti d’una primavera che stento a riconoscere mia. E non posso farci niente lascio che mi derubi, anzi voglio che mi frodi che mi strazi l’anima quello strapparmi dai rami e gettarmi a terra nel fango dentro i fossi negli acquitrini d’una volontà non mia. Così come quel sospingermi in mezzo all’altrui gente, amata eppur biasimata così prossima al vortice della doppiezza che al dunque non ci rende migliori da ciò che siamo. Esseri divelti dalle radici eppure conficcati nella nuda terra che ci accoglie, per questo fragili come foglie separate dai rami dell’esistenza eppur unite nel rancore e portate via dal semplice vibrare delle nostre vite …
E mi manca il respiro … quando vorrei gridare contro ogni cosa contro ogni essere vivente contro …, ma la voce si disperde nell’aere della primavera che avanza che mi rinfranca e suggerisce che d’ogni dolore d’ogni stoltezza infine il ‘tempo’ avrà ragione. Delle foglie cadute sferzate strappate rubate, come dei sospiri portati via dal vento dentro quella verità ‘altra’ che non ci appartiene e che pure ci consola. Ed è nell’accogliere l’afflato il respiro profondo del mondo, che ci ritroveremo figli spuri del ‘tempo’ che un giorno fummo foglie esili fragili vibratili in cerca di un domani. Allora sarà l’abbraccio dell’Eterno ad accoglierci, nella primavera dei giorni che siamo stati miriade di polvere plumbea e dorata che nella ‘vita’ ha rivestito gli elmi e l’armi degli eroi.
Sosta a lungo
(22/03/2014 14:59:37) »
Lucianna Argentino
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Sosta a lungo nel farsi luogo della parola. Impara ad accendere fuochi che ripetano sula terra il volto delle stelle, un loro tratto almeno, e siano di ristoro allo sforzo di perdurare che ogni cosa ed essere compie. Insegna al pensiero l’uso domestico e quotidiano del silenzio, il suo mutare di sostanza attraverso la liquida sonorità dell’inchiostro.
Ars poetica
(21/03/2014 21:54:38) »
Domenico Alvino
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Un fiato solleva qua e là soffiando di sotto opaco un mantello, i rialzi brillanti barlumi svegliando nella celeste tenebra. Vi rispondono dalle vie del tempo e del mondo voci antiche vestite a nuovo o con i panni loro tali che sembri esserci passata sopra la luna di stasera, con quel grido di gufo che ci spaventava tu scappando dall'albero e io ridendo invece dello spavento tuo e mio. E comunque sia la notte cambia le sue lingue la luce non la capisce se fuggendo il gufo è restata esente dai barlumi e tuttavia è diverso il tempo ha preso odore acuto di messaggerie cosmiche e più non tollera pretestuose bassure o rintanate piccolezze né più ammette giaciture oziose o abbandoni alle tombe se non sono anch'esse tòcche dal vento astrale che s'è levato dalle parole maledetto maledetto sia. Roma, 4 - 6 - 2003
In Morte di Jan palach
(21/03/2014 20:17:39) »
Teresa Nastri
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I Arde il fuoco suicida, il vento dell'est strappa scintille al tuo corpo nell'alba attonita sospesa sulla piazza di San Venceslao Brucia il vólto quasi fanciullo il cuore che altre fiamme scaldavano ancora ier l’altro, e il mondo si divide in fazioni ignare del pianto di chi ebbe cara la tua giovinezza Fu l’atto di un folle dicon taluni, per altri il nobile olocausto ad una causa eterna II Che sollevi il tuo gesto un brivido d’orrore e poi si spenga il mito nell’incalzare rapido dei secoli, o che fermenti esso risvegli più profondi e tenaci, chi ridarà la vita al tuo sorriso spento, chi pagherà per le gioie i dolori le speranze gli amori cui ti sottrasse l’immatura fine? In tua memoria, Jan Palach, piango il dolore dei vinti che l’amara slealtà degli eventi spinge a fughe senza più ritorni III All'esule tuo spirto s’apra un sicuro asilo in un paradiso ove non giunga dell’umano incenso né di calunnia l’eco… e dove l'Angelo delle Utopie tesse paziente e riannoda fili recisi (scritta nel 1968, il giorno stesso del sacrificio di Jan Palach - Ricostruita sulle tracce della memoria nel 2007. Pubblicata nell'enciclopedia "La Poesia, L'Uomo, La Città" della Book Editore - coll. Minerva - nel Novembre 2009)
Ricordi la bellezza di colui
(21/03/2014 20:15:29) »
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Ricordi la bellezza di colui Ricordi la bellezza di colui che ricercava rose negli abissi – dimenticando il tempo della caccia gustava un denso miele di corolle? Se ne andò a quel parco per riposare lontano io lo portai con frullo d’ali e pensoso nell’angolo fiorito ad ascoltare la profonda quiete… Ma il cigno ha ormai lasciato i giochi d’acqua e dalle pietre al muschio di quell’isola ha abbandonato il suo collo flessuoso alle carezze di mani infantili. Paolo Melandri 21 marzo 2014
il dono
(21/03/2014 19:25:44) »
Carla de Falco
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e quando i poeti ancora avevano la forza della tigre nell’atto della caccia con il soffio della speranza tra le vele abbagliavano di luce l’orizzonte. le parole erano rivoli d’eterno.
oggi nulla di questo è più possibile: resta la gloria di un sorriso compatente e la verità della poesia fatta di istanti.
sarà di poco conto, ma è il mio dono. Da la voce delle cose, Carla de Falco, Copyright Montag edizioni, 2013
Per miracolo
(21/03/2014 16:25:00) »
Giusy Frisina
*
Per miracolo Avere guance umide e nebbiose E capelli d’alghe azzurre Gocciolanti di mare O anche solo Immergermi per cent’anni Nel mio vaso di miele Per distillare l’anima lunare Rimasta conficcata nei ghiacciai eterni Ritrovare nelle vene dei legni memori Il varco disegnato da una ferita nascosta Dal tarlo misterioso della poesia da "Il canto del desiderio"(Edarc edizioni,2013)
Cè una luna splendida in cielo!
(21/03/2014 15:57:36) »
Federico Caruso
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C'è una luna splendida in cielo!
Manchi solo te amore mio
nella camera...
Ora proverò a cercarti fuori
nel firmamento,e poi nei sogni...
Sono troppo stanco stasera,ma
l'amore nasce dall'inazione, e
presto io e te ci ritrovermo. F.C
POESIE
(21/03/2014 15:08:33) »
Maurizio Sciascia
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Poesie Ognuna Eterna Se Intimamente Amata
Noi
(21/03/2014 14:30:47) »
Daniela Jaber
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Lenta una goccia di pioggia scavando una rosa mi penetra il cuore. Annoiata, sperduta, stanca di noi, ti guardo allo specchio. Forse domani sara'primavera. Tu sarai ancora qui, con me?
Poiesis
(21/03/2014 12:20:35) »
Fiammetta Lucattini
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Niente celebrazioni solo per oggi. Ogni notte sostieni i miei tristi sonni fino ad un risveglio malinconicamente fedele. E lungo il giorno ti distendi su di me come un'amante appassionata. Nella sua Vita sei la mia vita e se non torni a visitarmi, o pietosa, è buio fitto.
forma del levare
(21/03/2014 12:09:44) »
Cristiana Fischer
*
non posso parlare con te sei troppo grande tu parliamo tra noi con i nomi possibili si fa eco e lode il signore lontano non solo parole d'amore ma aspra materia mi incalza fragile di essenza eterna a modulare inseguo l'accento dove tu l'intento: è sempre forma del levare sul rumore
Primavera
(21/03/2014 12:07:05) »
Maria Teresa Schiavino
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In questi giorni di marzo, che la vita sembra improvvisamente farsi nuova, misteriosa agli sguardi e alle parole - come non avere mai prima bevuto a occhi chiusi il calore del mattino, come non avere mai prima toccato lungo le oscure vie dei rami il rapido avanzare di una gemma, mai prima di adesso eppure quante volte, prima... - In questi giorni febbrili si fa incerto il confine fra vita e desiderio, si aprono nuove crepe nei muri, vecchie piaghe. E come la luce dilata l'orizzonte, lo mostra vasto e chiaro, a nessun vento opponiamo resistenza, ogni nave ci mostra nuovi porti.
Osare
(21/03/2014 11:04:52) »
Roberta Sangriso
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Osare è avere l’ardire di scrivere poesia, malgrado le voci intorno a me protestino, mute. Ritmo e pianto in poesia si elevano privi di voce dall’abisso delle emozioni e stregati invitano la mano ad andare, scrivere è avanzare come un funambolo che sulla fune si destreggia. Gravoso è l’equilibrio del linguaggio la vertigine di un punto o di una virgola, incerti sopra l’altezza dei propri sogni.
Treccia delle betulle in fiore
(21/03/2014 09:29:59) »
Paolo Ottaviani
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Treccia delle betulle in fiore #poesiapoeti Dormono calde nuvole nei boschi di betulle dove il cielo s’impiglia tra i pini e le fanciulle, liete come le nuvole, vanno nella fanghiglia: il sole silenzioso guarda calmo e festoso. Sembrano volar via su pattini d’argento leggere e variopinte bambine controvento: è l’acre profezia delle braci indistinte, accese nell’assenzio, poi spente nel silenzio. S’accorda alla terra come inquieto velo il cielo, poi sferra sulla terra il gelo. La foresta dispiega la potenza del verde, una luce s’incarna tra umidi rami, perde forza il vento. Si piega sulla rossiccia marna un giovane alberello. Vola raso un uccello… poi s’alza e sfiora il bianco delle betulle in fiore: è il cerchio che ripete la gioia del colore. Com’è ferita al fianco la grazia dell’abete! Un umile lacerto sanguina a cielo aperto. La linea bella del bosco e del mare con viva favella muove a poetare.
La placenta della vita #p
(21/03/2014 06:55:20) »
Enzo Rega
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a mia madre Chiara, in memoria Dal tuo grembo alla luce della vita (come si dice) venimmo per accompagnarti - ieri fino al grembo oscuro dell'altrove intanto (nella parentesi del tempo) insieme viaggiammo nella placenta della vita - prima tu tenesti noi per mano poi la tua mano smagrita stringemmo nelle nostre e nel grembo dei nostri occhi deponesti i tuoi sorrisi ritornati bambini madre
AccesaRealtàTestimoneEccelsa.
(21/03/2014 01:35:52) »
Fortuna Maiolini
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Così ti ho dato un nome. Oggi. Ti chiamo, Poesia. E mi innamoro di te. Il Silenzio cel'ha fatta. T'ha partorita, distrattamente poi T'ha presentata. Mi cimentavo Sulla Morte [...] E promuovevo sigle di cari saluti Allegati. <<Il Titolo ogni tanto lo devi mettere in mezzo. Tirarlo giù prima che diventi causale, custodirlo nel grembo della Festa Privata come un invitato a caso>>. Non c'è stato da ritrarti, da prenderti a punti. Niente c'era, Fuorché ogni istante che si è consumato. Niente è stato. Solo che nell'Impossibilità oggi Niente fa magicamente differenza. Così ti ho dato un nome. Oggi Provvisorio, Sprovvisto di ogni proprietà. <<Gentile è suo padre quando mi fa credito dei segreti più violenti. Sembra si accosti alla Vita durante le notti, soprattutto di recente>>.
Poeta
(21/03/2014 00:40:09) »
Emanuele Di Marco
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Inutile, inattuale verga versi per un mondo che ha smesso di chiederne da un pezzo. Osceno saltimbanco, continua a riempire cassetti, virtuali e non, di fogli, appunti, pensieri che nessuno, nessuno vuole leggere. Forse, sfortunato egoista, semplicemente nutre del fiero pasto dell’anima sua il proprio odiosamato carnefice, l’anima sua stessa, cane che mangia cane. Che tristo, che misero figuro, il preclaro, l’altisonante, il sedicente, il nascosto, lo sconosciuto, l’oscuro poeta, pronto, magari, al suicidio per un doppio genitivo… Da mezz’ora è primavera.
Sulla poesia
(21/03/2014 00:13:26) »
Gabriella Gianfelici
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Sulla poesia: A fiato corto cercarti poesia spesso camuffata senza identità nascosta nelle pieghe della terra che non sa più diventare terra di terra negli occhi degli umani che non sono più gli occhi dell’alba. Sono nel buio a cercare la nostra origine a cercare te. La cucina elabora la camera è assopita l’ingresso è deserto la finestra parla. Sabbia scende e diventa parola: a scavare orizzonte l’occhio penetra il più possibile degli sguardi e arriva l’amore delle parole.
Utopia
(20/03/2014 23:45:29) »
Nicola Romano
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La mia realtà non sta oltre i cancelli o tra i banchi sconnessi del mercato e neppure nel caos sparpagliato delle parole senza epifania La concretezza mia non si disperde nell’illegalità del quotidiano o tra i budelli tronfi delle strade dove il sozzo fluire tracima come pioggia nei catoi La mia realtà è un’utopia vagante che forse addenta parte della vita ma che conduce autentiche fonìe a questo assurdo viver da poeta
Scripta manent
(20/03/2014 22:47:18) »
Fabiana Frascà
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Se pure sparecchiassi le pagine imbandite di parole da tutti i libri, resterebbero filigrane di memoria prive solo del pigmento d’inchiostro. Più forte della svogliatezza di risposte, la parola ci vive nella carne mortale e ci dà scampo.
Primmavera
(20/03/2014 22:42:42) »
Anna Giordano
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‘Nu filo ‘e viento ricama dint’all’aria ‘n’addore ‘e primmavera.
‘Na chiantullella s’arrampica a ‘stu palo pe’ dà pur’essa ‘nu sciore a chesta vita.
‘Na viola appena sciuta, scuppata miezze 'e foglie, culora, si pure poco, ‘nu piezzo ‘e ‘stu criato.
‘E mmargherite janche se song ‘mbriacate, co’ core tinto ‘e vino rallegrano‘stu prato.
‘E rame do’ ceraso se so’ vestute a festa.
‘O pesco annammurato arapre ‘e sciure ‘o sole, quanno arriva abbrile è musica pe’‘o core!
‘O grano verde ‘e speranza se cunneleia ‘o viento aspettanne abbundanza.
‘A nucella, a ogni foglia tene ‘nu pendente me pare ‘na Maronna cull’offerte de’ credenti.
So’ tant’e sciure c’addobbano ‘sta terra pe’ festaggià l’arrivo ‘e ‘sta criatura.
Guardate quant’è bella!
Arriva ogni vota chiena 'e vita, rire e semmena ‘na gioia ca’ scoppia dint ‘o core a ogni primmavera.
Traduzione
Primavera
Un fil di vento ricama nell’aria l’odore di primavera.
Una pianticella s’arrampica al palo per regalare anch’essa un fiore a questa vita.
Una viola appena nata, sbocciata tra le foglie, colora, anche se poco, un pezzo del creato.
Le margherite bianche si sono ubriacate, e con il cuore tinto di vino rallegrano il prato.
I rami del ciliegio si son vestiti a festa.
Il pesco innamorato apre i suoi fiori al sole, quando arriva aprile è musica per il cuore!
Il grano, verde di speranza, si culla al vento e aspetta l’abbondanza.
Il nocciolo ad ogni foglia ha un pendente, mi sembra una Madonna, con le offerte dei credenti.
Son tanti i fiori che addobbano la terra per festeggiar l’arrivo di questa creatura.
Guardate quanto è bella!
Giunge ogni volta piena di vita, ride e semina la gioia che scoppia dentro il cuore, ad ogni primavera.
La Poesia #
(20/03/2014 21:34:42) »
Silvia Rizzo
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Quando la notte l'ansia tiene desta la mente inquieta, simile mi sento ad una corda tesa di violino che l'urto dei ricordi fa vibrare traendo dissonanze dolorose. Ma dalla stessa corda può sgorgare l'accordo arcano che ridoni senso al rovello e al dolore, facendone le note di più vasta, possente melodia.
Via il sipario
(20/03/2014 21:32:09) »
Stefano Tosin
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“ Ho strappato quel telo che da anni inesorabile mette fine alle solite scene. L’ho allungato e steso sopra i ricordi del passato colmo di inefficienti radici, d’amore appassito in lenzuola raffreddate in poche ore, bagnate dal dispiacere della superficialità, dal dolore dell’assenza, dal tormento della scelta. Questo telo grezzo, sbiadito rivolto al cumulo di storia, l’altra faccia colorata, lavorata a moltitudini floreali, rivolta all’aria, alla vista. Perché il triste passato possa essere sopportato e il futuro crescerà nella gioia sopra l’errore per soffocarlo, perché ho imparato. Raccolgo i miei pensieri dipingo stabili paesaggi di un nuovo vivere, un nuovo pensare, volere, agire,amare, saper rinunciare per acquisire, condividendo l’anima.” © 2010 Stefano Tosin
Il fiore del deserto
(20/03/2014 21:31:49) »
Silvia Rizzo
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E' come se finora avessi sempre diffidato di te, o poesia. Temevo forse di accostar la tua incandescenza e di bruciarmi le ali come falena presso alla lucerna. Ma adesso che all'autunno mia stagione volge e si screzia di mille colori, fui dal tuo incanto infine vinta e presa. Tu insperata venisti ed inattesa a dare il tuo conforto in ore oscure. Aveva la mia colpa ogni valore tolto alle umane frasi, ed anche al pianto. Fu allora che il linguaggio tuo divino le tenebre schiarò con il suo raggio e serenando vinse la tempesta. Ed ora quando nella notte buia più incalzano i fantasmi, le paure, le angoscie, a te mi volgo e nella tua parola cerco un senso al dolore ed un riscatto. Tu nel deserto del soffrire umano ti schiudi unico fiore e sulle nostre sciagure stai sospesa e brilli lieve come l'arco iridato.
Senza titolo
(20/03/2014 21:31:44) »
Angela Caccia
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Barche di carta sull’oceano. Vele spiegate vergate da un vento che si spera amico. La notte è salvezza che passa per un abisso mostra una rotta che il giorno a tratti vanifica. Si naviga a vista rotolando sull’onda gonfia la più slanciata a lontananze d’orizzonti: lucciole tremolanti che sfidano chi ha coraggio e continua il viaggio. Qualcuno approda dove la coscienza si fa porto. Da Nel fruscio feroce degli ulivi – Fara 2013
Silenzi
(20/03/2014 20:18:23) »
Gaia Ortino Moreschini
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SILENZI Arcipelaghi improvvisi i silenziSquarci di influssi Spaventosamente assenti Onniscienti frastuoni Umbratili vascelli sulla sera In naufragio come oblio oltre
O rosa
(20/03/2014 20:16:29) »
Gaia Ortino Moreschini
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O ROSA Spoglia degli inutili affanni dell'uomo, la rosa, in profondissima quiete, osa e dischiude in bellezza, nel palpito d'essere eterna. Di tutte le terrene meraviglie, nessuna le s'avvicina. E man mano che il sole ne apre le vellutate vesti, il cielo e la natura d'intorno non sono che ombre dinanzi al sublime profumo che sale e, per sempre, posa. O rosa, che questi rovi domi e trasformi in dolci balzi, a te asserva l'anima mia persa tra pruni, sterpi e aguzzi pendii. E muovila all'alto, tra le più belle cose, a quell'altissima quiete che tu sola rivesti.
La notte è così bella
(20/03/2014 20:13:58) »
Gaia Ortino Moreschini
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LA NOTTE È COSÌ BELLA Soffia un vento che induce al sonno l'oceano. Spente nell'aria, capriole di nubi seguono il fischio d'un treno. La chioma della notte s'adagia su nuovi sogni, cessa di segnare il tempo. La notte è così bella. Non conosce fine. Ogni volta, la terra s'unisce al cielo. Il suo volto si specchia nell'ascolto. E l'orizzonte vuoto, che tace e nella natura si schiude, è vita legata ad un sorriso.
Il Poeta ha suonato la tromba
(20/03/2014 20:03:02) »
Maria Musik
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Il Poeta s’abbracciava Mentre la voce impostata Tinteggiava i suoi versi Rubando la scena al violino. S’abbracciava, il Poeta Ai suoi figli Ma guizzava lo sguardo Ed il piede, nervoso, incurvava. Ad un tratto s’azzitta il violino E la tromba annuncia la carica. Il Poeta non può più tacere In assolo, a tre ottave è l’acuto. Non si può bestemmiar la Merini Né nominare Mondadori invano. Ma che vuole, un intero scaffale? Vuole, forse, di destra una quinta in vetrina? Non pretenda la carta, la foto Copertina ed esergo. Quelle sono dei Grandi. S’accontenti del blog che gli spetta. I Poeti son grandi se morti O se amici di Amici Od almeno invitati, per cena ma soltanto se sanno Che tempo fa!
Il crepuscolo
(20/03/2014 19:50:00) »
Mariano Menna
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Muore lentamente tra le acque un bagliore: è fuoco che si spegne all’imbrunire. La luce indietreggia al cospetto del tempo, s’inchina alla notte, elegante signora, lasciando nel buio le sue lacrime lucenti: lucciole cosmiche che danzano nel cielo. Nell’immensa quiete crepuscolare prendono vita i melanconici pensieri, infinite tracce dell’umana ragione: la loro notte calerà col nuovo giorno, con il risveglio di spaventosi automi, con i rumori del quotidiano incedere.
Una piccola bestia di gioia
(20/03/2014 14:50:57) »
Amina Narimi
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Stringeva tra le mani come un canto una piccola bestia di gioia, consumata, con la nuvola la cima il gambo, l'ho seguita. Entrando nello spazio stretto dedicato ai libri, con un ritmo che nasceva da lontano ho percepito un movimento sacro di saluto Tutto di lei è muto, tranne quelle mani nelle pause di ogni libro, come dicesse delle cose con qualcuno che le scorre in fondo al sangue che si effonde nel fiato e d’improvviso mi è parsa saltare sulla terra, così leggera, al gioco del mondo, in cima a tutto lo scaffale, nella rayuela, continuo a sentire più forte il jazz del suo silenzio. Si allunga con le braccia come immersa in un'acqua veloce e gli occhi grandi ondeggiano tra i pesci di De Luca. Nelle sue infinite forme si guarda risplendere e nuotare fino al giardino dei pensieri, a Pennabilli, assottigliando i piedi a farsi niente. È ferma tra i frutti dimenticati e le corsie s'illumina la pelle, al contatto della costa, quando sfiora la polvere di stelle, posati i propri nervi sulla neve, di Tonino Guerra. Raccoglie un nuovo libro ora, come un velo, lascia andare gli occhi con i miei è ricordo ciò che chiama, nella calma unisce due lembi tra le pagine, mi apre un varco al collo senza ali né vocali avvicina la memoria. Entra tutta in una stanza a non sentir più niente di com’è là fuori il mondo. Trema nell’abisso con Primo Levi nell'ombra si copre il viso, se questo è un uomo, sussulta a un cuore così bianco e danza con tutti i figli di dio, danzano insieme al percorso dell’amore in un tempo differente, e un pezzo di strada con qualcuno. Due passi ancora, accarezza Il suo vero nome in copertina
disegnando un otto con le dita, senza curarsi di nessuno quando porta alla bocca il libro con l’eleganza di una curva mettendo un bacio tra le pagine di mezzo.. ma più di tutto sono state le sue lacrime a fermarmi, incontrando la Szymborska, con la Gioia di scrivere piegata in mezzo al seno: ha premuto tanto forte quelle uniche poesie ricoverate nella stanza, così piccola da sembrare un animale nella tana quando gli esce il nato fra le zampe. La fisso. Aspetto che si giri verso me, dove finirà la pagina, di sentire il suo respiro che non smette più di andare, di vedere. Nell’atto di volgersi tocca la sua lingua con un dito, stringendo l’aria prima dell’incontro, e si offre allo sguardo. Non credo cercasse qualcunonel riflesso del mio silenzio se non quelle carezze sui capelli, mettendo fine ai suoi pensieri un nuovo nascere, come si fa correndo verso il bosco andando a trovare gli alberi
Cluetrain
(20/03/2014 13:13:53) »
Chanteloup
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«Only by speaking in a real voice, and by engaging people rather than delivering messages to them». (Markets are Conversation, Doc Searls and David Weinberger - The Cluetrain Manifesto) mi prendi e mi emozioni con un abbraccio rubato accanto a me, sedia a sedia fianco a fianco tra le voci urlanti di laureati e affanni di laureandi in estasi compositiva sono qui che scrivo nella biblioteca scenario dei nostri amori bisticci m'imbatto per due volte nello stesso sguardo di ieri un addio scritto di fretta tra gli umidi baci studenti e la primavera scorre e corre come le parole di foglio bianco in excel e word non ho più parole da scrivere ma da dire e soffiare alla nebbia di questa primavera
Chante!
(20/03/2014 11:51:34) »
Chanteloup
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Je Chante Tu Chante Il ou Elle Chants nous chantons vous schantez ilsetelle chantent
cantano i lupi e le farfalle tra le ferie di agosto e falò settembrini cantano le spoglie le gambe nude alla prima sabbia e onda di acque fredde di marzo canta tutto la pelle assonnata l'occhio lento la scarpa lesta cantano le formiche sul tavolo gli occhi tamburellanti sul tram e cantano cantano le parole le favole assorte e i silenzi nudi cantiamo
Perchè poesia?
(13/11/2013 14:42:56) »
Jacob l.
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.... e così mi sono chiesto oggi a che serve scrivere poesie. Poesie, pensieri, strofe in rima o libere da vincoli di metrica, di musica. A che serve in fondo, forse a noi stessi? alle nostre anime un pò troppo sensibili? perchè qualcuno legga e si distragga un pò dai suoi pensieri? oppure alla nostra segreta vanità? Perchè poesia? Eppure io credo che poesia sia, come dire? sunto di ogni attività intellettuale così scarna, essenziale, insomma una ardua prova finale.
il navigante del plenilunio
(29/05/2013 17:03:27) »
Valter Casagrande
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Voglio viaggiare ai bordi del mondo, la dove il mare si tocca col cielo, per rinnovare tutte le vecchie certezze. Voglio sfiorare i margini dell’universo con una vela iridescente gonfiata dal vento incrollabile delle convinzioni. Voglio raggiungere il lato nascosto dell’isola oscura vestendo gli abiti e le sembianze del navigante del plenilunio. Lui, nelle notti più chiare, raggiunta la faccia da sempre nell’ombra, insegue il bianco dorso di un sogno che giganteggia nei suoi pensieri. Ma i sogni non fuggono più, il posto della penombra è il loro rifugio finale e quando finisce l’inseguimento arriva la luce ad illuminare il reale.
Queste parole
(17/03/2013 12:29:14) »
Luigi Maffezzoli
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Che sono queste parole troppo normali per accreditarsi poetiche troppo ingenue per dotti o filosofi che sono mentre ci navigo dentro o forse ci annaspo cercando un senso che sfugge oltre ogni scoglio raggiunto che lascia i suoi segni di rughe e ti dice «È solo il tuo tempo che passa.» Che sono queste parole senza neanche un po' di musica a darle colore così tristi e con così voglia di vita mentre ci affogo dentro gli anni passati non cambieranno il futuro non saranno maestri dalla finestrella filtra un raggio ancora bambino di primavera ormai stanca d'attesa sgorgano le parole e prendono il sopravvento le lascio fluttuare le ascolto scrivendole al loro servizio l'ultima è più incerta resto solo a guardarle.
Ebbi una visione
(25/11/2012 16:10:07) »
Gianni Godi
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Ebbi una visione Ero piccino allora vidi la mia anima. Non stava al centro bensì spostata a sinistra. Lattiginosa sottile frastagliata un poco porosa quadrotta bidimensionale in luogo incolore forse grigio. Da quando la notai la prima volta è sempre lì ogni tanto la vedo fluttuare. La mia anima è staccata dal cervello sembra stia davanti alla zona del cuore. A volte assomiglia a quei riccioli di ferro prodotti dal tornio. Io so che dentro la mia anima non c'è niente. Altre volte pare un buco attorcigliato tipo ombelico. Non è bella la mia anima non è niente. Per vederla ci debbo pensare. Gianni Godi
Poeti e ballerine
(14/09/2012 09:16:06) »
Francesca Cannavo
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I poeti assomigliano a ballerine esercitano i passi con fatica e le labbra contano pochi numeri ripetono insaziabili le orme della perfezione estenuando pignole le dita della musica e girano e volteggiano e piegano per tutta la vita su piedi incantati che vogliono volare baciando la terra Le ballerine assomigliano ai poeti vezzosi ed eleganti tenaci ed ostinati esercitano con leggerezza i versi dei passi contati e strabilianti con i piedi malati e stanchi librano sulle nuvole sognando la terra e sudano e tempestano parole mute sommuovono visioni e terre spaccate irrompono sul palco ignavi di sguardi Le ballerine danzano nella testa dei poeti spensierate e consenzienti I poeti parlano nelle gambe delle ballerine muscolosi e invadenti I poeti e le ballerine sentono l’affanno e l ‘orgoglio e stremati attendono la prossima scrittura.
In morte di un poeta
(06/02/2012 00:03:18) »
Luciano Lodoli
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La tua poesia osserva domanda e tace e si cura di cercare mai una possibile ipotetica risposta.
Aforismi
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Primavera
(21/03/2017 18:15:14) »
Franca Colozzo
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La primavera e la poesia sono unite da una linea sottile che definisce il passaggio dalla cupezza invernale alla solare metamorfosi del cielo, dove le rondini, al pari dei pensieri, son libere di sfrecciare nell’aria tiepida e profumata.
La parola dei poeti
(21/03/2016 11:35:46) »
Laura Turra
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La parola dei poeti è il respiro che muove il foglio.
La poesia
(21/03/2014 10:49:50) »
Anna Giordano
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"La poesia è l’emozione che ti permette di volare alto nello spazio di due versi."
"La poesia è l'umiltà dell'anima, spoglia dei veli il pensiero e casta si offre al cuore."
"La poesia è il pensiero che attraverso l'anima del poeta si veste d’emozione. "
Prosa/Narrativa
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Nessun testo di prosa/narrativa pubblicato [Δ]
Pensieri (opinioni/chiacchiere/discussioni)
[Δ]
Un piccolo aiuto
(21/03/2016 18:40:37) »
Venti Normali
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La Poesia è il tuo alibi perfetto per capire la compagnia migliore per te.
Articoli
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A proposito di Dio abbandona Antonio
(22/02/2019 22:17:43) »
Argomento: Letteratura Quin
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A proposito di Dio abbandona Antonio di Konstantinos Petrou Kavafis (o di Plutarco, Shakespeare, Borges, Cohen e di noi altri) per la cena dell’oca di Lelo dic 14 Vorrei dirvi qualcosa, non più che qualcosa, sulla poesia. Non so come sarà. A voi che con sopportazione dettata più che dalla curiosità dall’amicizia, avete già prestato con bel garbo orecchio ai miei miseri tentativi poetici e a chi, novizio e foriero per me d’imbarazzo, questo cordoglio non ha mai incontrato ma che se è qui è disposto, mi auguro, ad assaggiare tentativi ed errori, a entrambe le specie dico: non so se sarà interessante o noioso, fatemelo capire. Io l’ho trovato bello, voi mi saprete dire. Per citare una delle menti non so se più brillanti del secolo ma fra quelle che mi sono più care: “Cari compagni, condividere non è il senso della vita?” IL MESTIERE DEL POETA Cosa fa il lettore, l’esegeta il traduttore, se non incontrare quello che avrebbe anche lui potuto dire? E qual è mai il mestiere del poeta Se non dar voce al mondo, purchessia Usando ciò che riesce a sentire? Vorrei provare stasera a raccontare Dove un verso, una canzone, una poesia Nascono e dove vanno a finire Io che poeta non sono affatto Ma so nuotare nel vino e nel mare Forse per questo un poco sono adatto A mostrare, nient’altro che mostrare. Con poca scienza, ma davvero poca: Dieci minuti poi passiamo all’oca. Qdic14 Per la cena dell’oca di Lelo, 20 dic 14
POETI Dei mediocri poeti il dio Giurando sennò di farmi zittire Un bel giorno mi ingiunse di dire Quel che da tempo sapevo già io: Non è cosa tua la poesia Che in stupida e vuota aerofagia Rigurgita parole a non finire. Non siamo così tanto diversi Non sei tu a dar vita ai tuoi versi Ma gli altri che li stanno a sentire Qdic14 Notte fra il 31 luglio e il primo agosto del 30 a. C.. Alessandria, città della più grande biblioteca del mondo e di un faro che si vede a 25 miglia dalla costa. Siamo nella reggia di Cleopatra, nella stanza di Antonio. Giulio Cesare è stato assassinato da quattordici anni, la supremazia a Roma, su Roma e sul mondo, si decide nella guerra civile fra Cesare Ottaviano e Marco Antonio. Anzi, si è già decisa, con una battaglia che poteva essere vinta e invece è stata una disfatta. Ma vediamo da cosa nasce proprio questa notte. La Vita di Antonio è la più bella tra le Vite di Plutarco: c' è un fantastico equilibrio tra racconto biografico e storico, ottenuto mettendo insieme la storia con l’attenzione ai piccoli aneddoti rivelatori ma anche agli aspetti mitici della natura di Antonio. Mitici, perché secondo la tradizione, Antonio discende da un dio e da un semidio: Dioniso ed Eracle, come Alessandro Magno. Tutta l'esistenza di Antonio vive sotto il segno di Dioniso. L'ubriachezza a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne; l'amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, gli attori. Contemporaneamente, Antonio è un generale brillante, un condottiero che sa farsi amare dai suoi uomini e vincere le battaglie difficili. Viene il giorno della morte di Cesare, con Antonio che accusa Bruto fingendo di non volerlo accusare, istrione in realtà meno dionisiaco che calcolatore, come ce lo mostreranno Plutarco e poi Shakespeare. Poi l’incontro con Cleopatra, a Tarso nel 41 a.C. Nella vita di Antonio, Cleopatra è la rivelazione. L’amore della vita. Plutarco ricorda che, malgrado la leggenda, Cleopatra non era bellissima ma la sua conversazione aveva un fascino indescrivibile, possedeva la seduzione della parola. Si adattava al carattere di Antonio e alla sua volgarità soldatesca e alla sua passione dionisiaca, che condivideva come una devota. Secondo Plutarco, Antonio amava profondamente Cleopatra, e ne era dominato e soggiogato. Al Dioniso che viene da occidente si era aperto l’oriente. Un anno dura la loro vita insieme poi i loro destini si dividono. Antonio sposa la ragion di stato, Ottavia, la sorella di Ottaviano. Anche i rapporti con Ottaviano si stringono. Antonio scrive ad Augusto in modo confidenziale: « Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che faccio l’amore con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu fai l’amore solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai goduto Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Importa forse dove e con chi fai l’amore? »(Svetonio, Augustus.) Giocano insieme a sorte, a dadi, o fanno combattere i galli e le quaglie. Antonio perde sempre, sempre. «Il tuo Genio - dice ad Antonio un indovino egizio - teme il suo Genio e, orgoglioso e fiero quando è solo, diventa più umile e ignobile quando Ottaviano gli è vicino». Malgrado la mediazione di Ottavia, tra Antonio e Ottaviano scoppia la guerra, fra occidente e oriente, fra il romano fedele e il traditore, fra Apollo e Dioniso. Dopo anni di scontri, alla fine, ad Azio (vi ricordate il mare interno di Preveza, sotto Igoumenitza? Con alcuni di voi ci abbiamo navigato.) dove le veloci e leggere navi di Augusto sopraffanno le pesanti navi di Antonio, Cleopatra fugge improvvisamente con la sua flotta, Antonio la segue. Sette giorni lo aspetterà il suo esercito di terra, di gran lunga superiore per numero a quello di Ottaviano, prima di capire di essere stato abbandonato e arrendersi. Perché è stata persa questa battaglia ve lo racconterò un’altra volta. Cleopatra e Antonio si rifugiano per un anno nella reggia di Alessandria. Di nuovo, sotto il segno di Dioniso, conviti e baldorie. Cleopatra gioca a dadi con Antonio, beve con lui, si traveste da servetta e con lui va in giro per strada a molestare gli Alessandrini. Poi arriva la notte E ora Plutarco, testuale: Si racconta che in quella notte, verso la metà della notte, mentre la città era immersa nel silenzio e nella tristezza per la paurosa attesa del futuro, improvvisamente si udirono suoni armoniosi di strumenti di ogni sorta e il clamore di una folla con grida e danze di satiri, quasi fosse un corteo dionisiaco che si snodava tumultuante. E sembrava che procedesse attraverso il centro della città verso la porta esterna, rivolta dalla parte dei nemici e che là il tumulto, dopo aver raggiunto il massimo grado, cessasse. Agli alessandrini, che ascoltavano in silenzio, parve un segnale: Dioniso, il dio più imitato da Antonio per tutta la vita, lo stava abbandonando. Il giorno successivo, il 1º agosto del 30 a.C. Ottaviano invade l'Egitto ed entra ad Alessandria. Non avendo vie di scampo, Antonio si suicida. Pochi giorni più tardi, Cleopatra ne segue l'esempio. 1600 anni dopo, un uomo - o una terna d’uomini, due a scrivere e uno a portare in teatro, che importa? - fanno cenno alla stessa scena: SCENA III - Alessandria. Davanti alla reggia Entrano due SOLDATI per montare la guardia 1° SOLDATO - Buona notte, fratello… Gran giornata, Domani è il giorno. 2° SOLDATO - Sì, in un verso o l’altro, tutto sarà risolto. Buona notte. Nulla di strano, in giro per le strade? 1° SOLDATO - Nulla. Perché? 2° SOLDATO - Mah! Saran solo voci… Buona notte, compagno. 1° SOLDATO - Buona notte. Entrano altri due SOLDATI 2° SOLDATO - Salute, camerati, e buona guardia. 3° SOLDATO - Anche a te. Buona notte. 2° SOLDATO - Buona notte. (Si piazzano ai quattro angoli della scena) 4° SOLDATO - Noi qui. E se domani la giornata sarà propizia per la nostra flotta, son sicuro che sulla terraferma il nostro esercito ce la farà. 3° SOLDATO - È un esercito forte e ben deciso. (Musica di oboi, da dentro, come se provenisse da sottoterra) 4° SOLDATO - Silenzio! Che cos’è questo rumore? 1° SOLDATO - Udite! 2° SOLDATO - Attenti! 1° SOLDATO - Musica dall’aria… 3° SOLDATO - No, da sotterra. 4° SOLDATO - Sarà segno buono? 3° SOLDATO - No. 1° SOLDATO - Ma che vorrà dire?… Zitti, dico! 2° SOLDATO - Sarà forse la voce del dio Ercole, che Antonio amava, e che adesso lo lascia. 1° SOLDATO - Vediamo un po’ se gli altri della guardia odono anch’essi ciò che udiamo noi. 2° SOLDATO - Ehi, voi, compagni! TUTTI - Ehi, là, sentite niente? 1° SOLDATO - Certo ch’è strano. 3° SOLDATO - Lo sentite o no? 1° SOLDATO - Seguiamo il suono fino dove arriva la nostra guardia. Vediamo se cessa. TUTTI - D’accordo, andiamo. Ma che cosa strana! (Escono) Di passaggio, non dimentichiamo che di quell’uomo, che per certo ha scritto queste parole – in versi, si badi – un altro uomo di sterminata cultura e di non poca poesia scriverà 300 anni dopo: Everything and nothing Nadie hubo en él; detrás de su rostro (que aun a través de las malas pinturas de la época no se parece a ningún otro) y de sus palabras, que eran copiosas, fantásticas y agitadas, no había más que un poco de frío, un sueño no soñado por alguien. Al principio creyó que todas las personas eran como él, pero la extrañeza de un compañero, con el que había empezado a comentar esa vacuidad, le reveló su error y le dejó sentir para siempre, que un individuo no debe diferir de su especie. Alguna vez pensó que en los libros hallaría remedio para su mal y así aprendió el poco latín y menos griego de que hablaría un contemporáneo; después consideró que en el ejercicio de un rito elemental de la humanidad, bien podía estar lo que buscaba y se dejó iniciar por Anne Hathaway, durante una larga siesta de junio. A los veintitantos años fue a Londres. Instintivamente, ya se había adiestrado en el hábito de simular que era alguien, para que no se descubriera su condición de nadie; en Londres encontró la profesión a la que estaba predestinado, la del actor, que en un escenario, juega a ser otro, ante un concurso de personas que juegan a tomarlo por aquel otro. Las tareas histriónicas le enseñaron una felicidad singular, acaso la primera que conoció; pero aclamado el último verso y retirado de la escena el último muerto, el odiado sabor de la irrealidad recaía sobre él. Dejaba de ser Ferrex o Tamerlán y volvía a ser nadie. Acosado, dio en imaginar otros héroes y otras fábulas trágicas. Así, mientras el cuerpo cumplía su destino de cuerpo, en lupanares y tabernas de Londres, el alma que lo habitaba era César, que desoye la admonición del augur, y Julieta, que aborrece a la alondra, y Macbeth, que conversa en el páramo con las brujas que también son las parcas. Nadie fue tantos hombres como aquel hombre, que a semejanza del egipcio Proteo pudo agotar todas las apariencias del ser. A veces, dejó en algún recodo de la obra una confesión, seguro de que no la descifrarían; Ricardo afirma que en su sola persona, hace el papel de muchos, y Yago dice con curiosas palabras no soy lo que soy. La identidad fundamental del existir, soñar y representar le inspiró pasajes famosos. Veinte años persistió en esa alucinación dirigida, pero una mañana le sobrecogieron el hastío y el horror de ser tantos reyes que mueren por la espada y tantos desdichados amantes que convergen, divergen y melodiosamente agonizan. Aquel mismo día resolvió la venta de su teatro. Antes de una semana había regresado al pueblo natal, donde recuperó los árboles y el río de la niñez y no los vinculó a aquellos otros que había celebrado su musa, ilustres de alusión mitológica y de voces latinas. Tenia que ser alguien; fue un empresario retirado que ha hecho fortuna y a quién le interesan los préstamos, los litigios y la pequeña usura. En ese carácter dictó el árido testamento que conocemos, del que deliberadamente excluyó todo rasgo patético o literario. Solían visitar su retiro amigos de Londres, y él retomaba para ellos el papel de poeta. La historia agrega que, antes o después de morir, se supo frente a Dios y le dijo: Yo, que tantos hombres he sido en vano, quiero ser uno y yo. La voz de Dios le contestó desde un torbellino: Yo tampoco soy; yo soñé el mundo como tú soñaste tu obra, mi Shakespeare, y entre las formas de mi sueño estabas tú, que como yo eres muchos y nadie. Non vi fu alcuno in lui: dietro il suo volto (che anche attraverso i cattivi ritratti dell’epoca non somiglia a nessun altro) e alle sue parole, ch’erano copiose, fantastiche e agitate, non c’era che un po’ di freddo, un sogno sognato da nessuno. All’inizio pensò che tutte le persone fossero come lui, ma lo stupore di un amico a cui aveva iniziato a commentare questo vuoto, gli rivelò il suo errore e gli lasciò sentire per sempre che un individuo non deve differire della sua specie. A volte pensò che nei libri avrebbe trovato una cura per la sua malattia, e quindi imparò il poco latino e meno greco che avrebbe potuto parlare un contemporaneo; poi considerò che nell'esercizio di un rito elementare dell'umanità, poteva ben esserci quello che cercava e si lasciò iniziare da Anne Hathaway, durante un lungo sonnellino di giugno. Ai venti e rotti anni fu a Londra. Istintivamente già si era addestrato nell’abitudine di fingere di essere qualcuno, perché non si scoprisse la sua condizione di nessuno; a Londra, trovò la professione a cui era predestinato, quella dell’attore, che su un palco gioca ad essere un altro davanti ad un concorso di persone che giocano a prenderlo per quell’altro. I compiti istrionici gli mostrarono una singolare felicità, forse la prima felicità che avesse mai conosciuto; ma applaudito l’ultimo verso e ritirato dalla scena l’ultimo morto, l’odiato sapore della irrealtà ricadeva su di lui. Cessava di essere Ferrex o Tamerlano e tornava ad essere nessuno. Braccato, si diede a immaginare altri eroi e altre favole tragiche. Così, mentre nelle taverne e nei bordelli di Londra il suo corpo compiva il suo destino di corpo, l’anima che lo abitava era Cesare, che ignora il monito dell’augure, e Giulietta che aborrisce l’allodola, e Macbeth, che dialoga nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nessuno fu mai tanti uomini come quell’uomo che, come l’egizio Proteo, poté esaurire tutte le apparenze della realtà. Talvolta lasciò in qualche piega della sua opera una confessione, certo che non l’avrebbero decifrata; Riccardo afferma che nella sua sola persona interpreta la parte di molti, e Iago dice con curiose parole ‘non sono quello che sono”. L’identità fondamentale dell’esistere, sognare e rappresentare gli ispirò passaggi famosi. Per venti anni persisté in quella allucinazione guidata, ma una mattina lo sopraffecero il disgusto e l’orrore di essere così tanti re che muoiono di spada e di tanti sfortunati amanti che convergono, divergono e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno risolse la vendita del suo teatro. Prima di una settimana era tornato al suo villaggio natale dove recuperò gli alberi ed il fiume dell'infanzia e non li vincolò a quegli altri che aveva celebrato la sua musa, illustri di allusione mitologica e di voci latine. Doveva essere ‘qualcuno: fu un impresario in pensione che ha fatto fortuna e a cui interessano i prestiti, le liti e la piccola usura. In questo carattere dettò l’arido testamento che conosciamo, da cui deliberatamente escluse ogni traccia di pathos o di letteratura. I suoi amici da Londra erano soliti visitare il suo ritiro e per loro egli riprendeva il suo ruolo di poeta. La storia aggiunge che prima o dopo la morte si seppe alla presenza di Dio e gli disse: “Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io”. La voce di Dio gli rispose da un turbine: Nemmeno io sono; io ho sognato il mondo come tu sognasti la tua opera, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno eri tu, che come me, sei tanti e nessuno. Jorge Luis Borges (El hacedor ,1960) Ma torniamo a noi, anzi, a Antonio, a quella notte. 300 anni dopo un uomo di 50 anni che da sempre vive ad Alessandria, che ricorda bene il suo Plutarco ma anche la propria vita, divisa fra il suo proprio Dioniso e la monotonia delle sue giornate da impiegato altezzoso, la propria solitudine, (uno che peraltro scriverà una poesia dal titolo: “Aspettando i barbari”, dando da pensare da una parte al Buzzati de “Il deserto dei tartari”, dall’altra al Le invasioni barbariche (Les Invasions barbares) film canadese del 2003, scritto e diretto da Denys Arcand, scrive: Dio abbandona Antonio Σαν άξαφνα ώρα μεσάνυχτα ακουστεί αόρατος θίασος να περνά με μουσικές εξαίσιες με φωνές την τύχη σου που ενδίδει πια τα έργα σου που απέτυχαν τα σχέδιατης ζωής σου που βγήκαν όλα πλάνες μη ανωφέλετα θρηνήσεις προπάντων να μην γελαστείς μην πεις πως ήταν ένα όνειρο μάταιες ελπίδες τέτοιες μη καταδεχτείς σαν έτοιμος από καιρό σαν θαρραλέος σαν που ταιριάζει σε που αξιώθηκες μια τέτοια πόλη πλησίασε σταθερά προς το παράθυρο κι άκουσε με συγκίνηση αλλ’ όχι με των δειλών τα παρακάλια και παράπονα ως τελευταία απόλαυση τους ήσους τα εξαίσια όργανα του μυστικού θιάσου κι αποχαιρέτα την την Αλεξάνδρεια που χάνεις Quando d'un tratto a mezzanotte si udirà invisibile passare un tiaso con voci e musiche incantevoli non piangere invano la tua fortuna che ripiega, i progetti della tua vita che furono solo errori. Come pronto da sempre, come sono i coraggiosi, da' un addio all'Alessandria che ti sfugge. Ma più di tutto, non ti illudere, non dire che fu solamente un sogno, che il tuo udito si è ingannato: non degnarti di simili speranze vane. Come pronto da tempo, come sono i coraggiosi, come si confà a chi fu degno di una città sì grande, saldo t'accosta alla finestra, e ascolta con commozione sì, ma non con le preghiere e lo sconforto degli abietti, i suoni come ultimo piacere, i sontuosi strumenti della brigata misteriosa, e da' l'addio all'Alessandria che stai perdendo. Constantinos Kavafis Si parla di un Dio che abbandona un uomo o di una vita che se ne va, di una Città o di un amore perduti? Non lo so bene. So però che settanta anni dopo (e duemila dopo quella notte) nel 2001, un altro uomo, di 68 anni, bravo con le parole e con una splendida voce, un canadese di Montreal complesso e affascinante, che ha amato, (credo con miglior fortuna ma in amore si soffre sempre se non lo si sfugge), le donne come Kavafis i ragazzi, uno che ricorda bene il suo Plutarco, il suo Shakespeare e soprattutto il suo Kavafis, che come Kavafis usa un linguaggio banale e a tratti ricercato, scrive, e canta: Alexandra Leaving Suddenly the night has grown colder. The god of love preparing to depart. Alexandra hoisted on his shoulder, They slip between the sentries of the heart. Upheld by the simplicities of pleasure, They gain the light, they formlessly entwine And radiant beyond your widest measure They fall among the voices and the wine. It's not a trick, your senses all deceiving, A fitful dream, the morning will exhaust Say goodbye to Alexandra leaving. Then say goodbye to Alexandra lost. Even though she sleeps upon your satin Even though she wakes you with a kiss. Do not say the moment was imagined Do not stoop to strategies like this. As someone long prepared for this to happen, Go firmly to the window. Drink it in. Exquisite music. Alexandra laughing. Your firm commitments tangible again. And you who had the honor of her evening And by the honor had your own restored Say goodbye to Alexandra leaving Alexandra leaving with her lord. Even though she sleeps upon your satin Even though she wakes you with a kiss. Do not say the moment was imagined Do not stoop to strategies like this. As someone long prepared for the occasion In full command of every plan you wrecked Do not choose a coward's explanation that hides behind the cause and the effect. And you who were bewildered by a meaning Whose code was broken, crucifix uncrossed Say goodbye to Alexandra leaving. Then say goodbye to Alexandra lost. Say goodbye to Alexandra leaving. Then say goodbye to Alexandra lost. Alessandra che se ne va Improvvisamente la notte è diventata più fredda. Il dio dell'amore si prepara a partire. Alessandra issata sulle sue spalle, Scivolano tra le sentinelle del cuore. Sorretti dalla semplicità del piacere, Guadagnano la luce, si allacciano senza forma; E radiosi al di là di ogni tua misura Cadono tra le voci ed il vino. Non è un trucco, i tuoi sensi tutto ingannano, Un sogno incostante, la mattina si svuoterà - Di’ arrivederci ad Alessandra che se ne va. Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta. Sebbene lei dorma sopra il tuo raso; Sebbene ti svegli con un bacio. Non dire che il momento fu immaginato; Non piegarti a strategie come queste. Come qualcuno a lungo preparato a che cio accadesse, Vai con fermezza alla finestra. Bevila. Musica squisita. Alessandra che ride. I tuoi solidi impegni sono ancora tangibili. E tu che hai avuto l'onore della sua sera, E con l'onore hai avuto il tuo ricostruito Di’ arrivederci ad Alessandra che parte; Alessandra che parte con il suo signore. Sebbene lei dorma sopra il tuo raso; Sebbene ti svegli con un bacio. Non dire che il momento fu immaginato; Non piegarti a strategie come queste. Come qualcuno a lungo preparato per l'occasione; In pieno comando di ogni piano che hai fatto naufragare Non cercare una spiegazione di un codardo Che si nasconde dietro la causa e l'effetto. E tu che eri confuso da un significato; Il cui codice era rotto, crocifisso disincrociato Dì arrivederci ad Alessandra che parte. Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta. Di’ arrivederci ad Alessandra che parte. Poi di’ arrivederci ad Alessandra perduta. Leonard Norman Cohen (Montréal,21 settembre1934) Alessandria per Leonard Cohen è diventata Alexandra, il dio è ora certamente Eros. E’ cambiato qualcosa? Tutto naturalmente, ma è molto di più ciò che è rimasto uguale, ciò che c’è sotto e sopra, sotto e sopra Cohen, sotto e sopra Kavafis, sotto e sopra Shakespeare, perfino sotto e sopra Plutarco. Poeti: sotto il vino, l’acqua, il mare. Il mare, questo mare su cui noi nuotiamo, nella schiuma delle nostre parole.
Dove va oggi la poesia?
(21/03/2014 11:34:04) »
Argomento: Letteratura Francesca Luzzio
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DOVE VA OGGI LA POESIA? Dove va oggi la poesia? E’difficile dare una risposta a questa domanda. Dopo lo sperimentalismo della Neoavanguardia e l’impegno ideologico degli anni sessanta e settanta, sembra calato il silenzio e vige un costante imbarazzo da parte della critica di fronte a un panorama fluido, cangiante nelle tematiche e negli stili, ora legato ancora a moduli ermetici, oppure neoavanguardisti-sperimentali, ora a moduli molto filosoficamente elaborati. In tutti questi casi, la poesia presenta l’utilizzo di un linguaggio difficile, talvolta completamente destrutturato ed incomprensibile, che ha finito per allontanare il pubblico dei lettori dalla poesia contemporanea e, di conseguenza, i grandi editori che, agendo inevitabilmente secondo la logica di mercato, non pubblicano ciò che non si vende. Neppure la ripresa delle strutture metriche della tradizione può risultare efficace, perché esse, se usate con rigore, sono comunque una remora all’espandersi dell’ispirazione artistica. Allora che fare affinché la poesia non continui a vivere nel limbo ? Forse bisogna innovare il linguaggio perché parafrasando Pirandello ” il problema è tutto qui, nelle parole”, ma non perché ognuno vi attribuisce il significato che vuole, secondo il relativismo gnoseologico del citato drammaturgo, ma perché il lettore non le comprende affatto sia nel sema specifico, quanto talvolta nell’irrelata disposizione logico-grammaticale che esse assumono nel verso. Insomma è necessario tornare ad una lingua semplice, normale, ad una strutturazione grammaticale-sintattica logica, che rende fruibile ad una prima lettura il senso generale della frase e dei versi, affidando la dimensione poetica dell’espressione alla musicalità delle parole, al ritmo, a sporadiche rime o quasi rime, a tropi connotativamente rilevanti, ma facilmente decodificabili, per dirla in breve ad alcuni di quegli elementi retorici e metrici della tradizione letteraria che rappresentano un’inesauribile ricchezza a cui bisogna attingere non in modo indifferenziato, ma gestendola adeguandosi alla realtà della comunicazione odierna. A tal riguardo appare opportuno evidenziare, sebbene dovrebbe essere superfluo considerato quanto suddetto ,che “adeguarsi” non è detto nel senso di utilizzo del linguaggio iconico e mozzo dei messaggi telefonici, ma di non rinunzia a quella oraziana medietà linguistico-formale che, pur non rinunziando a qualche “callida iunctura”, garantisca al verso la comprensione dei significati insieme al godimento estetico, caratteristiche che, secondo il nostro punto di vista, dovrebbero considerarsi gli elementi necessari perchè la poesia continui a d essere letta e riacquisti quella popolarità che la caratterizzava nel passato. Per concludere, non si preconizza per la poesia un futuro di letteratura di consumo grazie ad un cannibalismo espressivo, ma di ripensamento della forma per favorire la ricezione quasi immediata dei contenuti, dei significati siano essi espressione dell’interiorità individuale o della realtà storico-sociale che viviamo. FRANCESCA LUZZIO
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Poeti estinti, filosofi, preti
(21/03/2021 11:29:21)
Walt Whitman
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Poeti estinti, filosofi, preti, martiri, artisti, inventori, governi d’un tempo, forgiatori di lingue su altre rive, nazioni un tempo potenti e ora indebolite, contratte o desolate, io non oso procedere finché non v’abbia rispettosamente dato credito di quanto avete lasciato sparso quaggiù, io l’ho esaminato, riconosco che è ammirevole, (essendovi passato in mezzo,) penso che mai nulla potrà essere più grande, nulla potrà mai meritare più di quanto esso meriti, mentre lo contemplo con attenzione, a lungo, e poi lo congedo, io sto al mio posto coi miei giorni qui. Qui terre femminili e maschie, qui eredi e ereditiere del mondo, qui la fiamma della materia, qui la spiritualità mediatrice, apertamente riconosciuta, sempre protesa, il risultato delle forme visibili, colei che soddisfa ed ora avanza dopo la debita attesa, sì, ecco avanzare la mia signora, l’anima.
da Poesia come arte che insorge
(22/03/2019 13:43:21)
Lawrence Ferlinghetti
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Osa essere un guerrigliero poetico non-violento, un antieroe. Controlla la tua voce più incontrollata con compassione. Fai il vino nuovo con gli acini della rabbia.
Ricorda che gli uomini e le donne sono esseri infinitamente estatici, infinitamente sofferenti.
Solleva i ciechi, spalanca le tue finestre chiuse, solleva il tetto, svita le serrature delle porte, ma non buttare via i cardini.
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Recensioni
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Percezioni dell’invisibile
(21/03/2014 12:00:00)
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AAVV a cura di Giuseppe Vetromile - Poesia - Edizioni L’Arca Felice
Nel nuovo quaderno collettivo della collana Coincidenze de L’Arca Felice Giuseppe Vetromile ci presenta con il supporto di sette ben comprovati autori un’indagine in versi sulla natura rivelatoria ed epifanica della poesia, sul carattere extrarazionale dei suoi rivolgimenti e dei suoi orizzonti secondo un procedere - ed un assumere - più per interrogazione che per acquisite risposte. Tema, come ricordato nell’introduzione, già “caro ai simbolisti francesi del XIX secolo”, che ha nell’invisibile il quid di riferimento tra le maglie del procedere, nel confidamento paziente e incerto- e per questo faticoso- nel rigurgito illuminante di quello spazio sempre sotteso, e in attesa in cui, perché trasfigurato e nudo, in qualche modo l’uomo pare compiersi nell’osservazione dell’incontro e del moto che subito lo reinveste. Verità di sé nel mondo, e del mondo, che quasi in uno sdoppiamento ha piuttosto (per apparente e sublime contraddizione) valore di unità ricomposta nel seno di immagini il cui pensiero si specchia e si dilata ogni volta nello spazio del solo tempo e della sola visione possibile, pensiero- ancora- e dasein finalmente, apertura ritrovata nella perpetua e attiva genesi di tutti i sensi. E però, a scanso di una modalità meramente nella sua accezione più romantica della conoscenza poetica, in queste pagine i vari autori si provano direttamente, sulla scorta del proprio personale concetto di visibile e invisibile oltre che di scrittura, secondo una modalità di percezione legata sì alla materialità, corporeità e quotidianità del tempo storico proprio (perché di partenza) ma nella prospettiva del suo superamento, come correttamente osservato nell’introduzione , nell’assunzione comunque di una nuova soglia, di una terra diversa nell’ eventualità dei ritrovamenti. Ed è dunque questo il bene primo del testo, in una progressione dell’incisione che va di pari passo con una meditazione a tratti metapoetica di se stessa nel prezioso lascito novecentesco di ripartenza. Sette dicevamo gli autori, con una prevalenza netta di presenze femminili in un’ edizione come al solito ben curata e corredata dalle fotografie della cara e brava Gabriella Maleti. Serie dunque aperta da Lucianna Argentino la cui raffinata navigazione è qui testimoniata per prosa poetica in terza persona da testi in cui l’autrice romana rivede, ripassa a ritrosi l’arco della propria personale esistenza sotto la lente di un sé bambina in acquisizione di scrittura e di qui nella scoperta di vita che può appunto essere reinterpretata dalle proprie mappe e dalle proprie chiaroscurali intersezioni in riscrittura stessa (secondo un’intuizione poetica abilmente riportata ora da adulta in frammenti per un’autobiografia postuma) ; diario e già liturgia di memoria nella garanzia della salvezza che in sé in quanto affermazione ha comunque il dire, il registrare, nel cucire e scucire delle parole nella “qualità evangelica della luce” : nel ritmo sì divino in cui risonanze e silenzi si attraggono e respingono tra le figure care di luoghi e familiari (il nonno, il fratello, ma soprattutto il padre nella prossimità del dolore condiviso). Dell’autore seguente, l’ischitano Pasquale Balestriere, si ricorda invece, come felicemente sottolineato da Vetromile, “il lato silenzioso e spesso ombrato della vita quotidiana che si conduce, sovente, senza il prezioso riferimento a radici e valori fondamentali dell’esistenza: come la memoria storica e sociale, il sentimento familiare e l’amore per la natura” che qui trova struggente e intenso intreccio soprattutto nel brano in ricordo del fratello (“Sull’orlo della vita soli fummo/ e non ci fu pietà pei poggi in fiore”). Anche se, a ben dire, altrove un eccesso di aulicità linguistica rischia a tratti di inficiarne il risultato (“Orfica” ad esempio). Con la poliedrica Floriana Coppola, che ha nei collages di poesia verbovisiva uno dei punti di forza, traspare invece nei testi tratti dalla silloge già edita “Sono nata donna” lo sforzo e la ricerca del superamento dell’immediato reale, “dell’immanenza” come lei stessa avverte, alla luce di una traccia che allo stesso tempo apra e trasfiguri i mondi, in cui le stesse ferite umane “nel tunnel di volti” non sono che segno di “un regno perso” forse ma sempre presente- e riflesso- nell’impasto di terra e cielo entro cui disparate e disperate presenze cercano nome e fuoriuscita e che ha il suo suggello, nel sillabario di permanente ricominciamento, in “Elogio del margine”. Piuttosto è con la traduttrice e narratrice oltre che poetessa Giovanna Iorio, nomade acrobata e indagatrice dell’ombra per rimestanza erratica tra le apparenti banalità e bucce del quotidiano e sue necessità di visione, il primo esplicito riferimento al divino tra negazioni e aspirazione d’assunzione nell’altalena di un umano “vivere/senza lasciare impronte”. In più, però, la percezione poetica si nutre, ha bisogno di cura, di veglia: lo sa bene Ketti Martino, di formazione filosofica non a caso, che nel vibrante trittico di cornici consequenziali nel dialogo con gli spazi e le brezze della natura si offre alle sue voci, ai suoi intagli nel riflesso del reciproco riconoscimento (“Delle ombre riconosco il verso/ uguale agli stessi miei rosari”). Amore certo che nella dolcissima, tenace, onniradicata Cinzia Marulli Ramadori si fa chiave di volta, grimaldello di decodificazione e reindirizzo civile del reale, memoria e intreccio salvifico dalle viscere di un umano non espunto ma cullato e ripulito dalle offese (vedi, da leggere nel tremito tutta di un fiato, la bellissima “Pensieri” dedicata alla madre). Indagine chiusa infine da Marco Righetti che dimostra con efficacia, subito, direttamente dove la meditazione e la lingua poetica, che non sono altro dal mondo ma esse stesse compiutamente Mondo per scavo e liturgia dei frammenti, hanno per forza di prossimità e radice luogo e battesimo principe : qui nel cuore dell’esplosione che ha disperso il sogno e la vita di Melissa Bassi, la ragazza di Brindisi che nel maggio del 2012 fu uccisa nell’attentato alla sua scuola. Qui, nell’elegia delle parole dell’adolescente a sua madre, a ricordare la potenza di una scrittura che rompe il marmo del tempo dai cui spaventi e dai cui traumi non si lascia vincere ma muovere in ricomposizione perché, come avverte la stessa Melissa a proposito del suo assassino, la vita vale più del male fatto. Ed è giustappunto nel seme di questa circolarità, innaffiata, offerta e condivisa nel segno pieno di ogni autentica poesia che, in conclusione, andiamo a segnaliamo per ricerca la lettura di questo indicativo quaderno.
Eventi
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Alfabeto di primavera: P
(21/03/2021 18:22:46)
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Roma, 28/03/14: La bellezza non si somma in Campidoglio
(16/03/2014 12:00:00)
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Che cosè la poesia? #poesiapoeti
(20/03/2014 23:58:50)
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