Nel nuovo quaderno collettivo della collana Coincidenze de L’Arca Felice Giuseppe Vetromile ci presenta con il supporto di sette ben comprovati autori un’indagine in versi sulla natura rivelatoria ed epifanica della poesia, sul carattere extrarazionale dei suoi rivolgimenti e dei suoi orizzonti secondo un procedere - ed un assumere - più per interrogazione che per acquisite risposte. Tema, come ricordato nell’introduzione, già “caro ai simbolisti francesi del XIX secolo”, che ha nell’invisibile il quid di riferimento tra le maglie del procedere, nel confidamento paziente e incerto- e per questo faticoso- nel rigurgito illuminante di quello spazio sempre sotteso, e in attesa in cui, perché trasfigurato e nudo, in qualche modo l’uomo pare compiersi nell’osservazione dell’incontro e del moto che subito lo reinveste. Verità di sé nel mondo, e del mondo, che quasi in uno sdoppiamento ha piuttosto (per apparente e sublime contraddizione) valore di unità ricomposta nel seno di immagini il cui pensiero si specchia e si dilata ogni volta nello spazio del solo tempo e della sola visione possibile, pensiero- ancora- e dasein finalmente, apertura ritrovata nella perpetua e attiva genesi di tutti i sensi. E però, a scanso di una modalità meramente nella sua accezione più romantica della conoscenza poetica, in queste pagine i vari autori si provano direttamente, sulla scorta del proprio personale concetto di visibile e invisibile oltre che di scrittura, secondo una modalità di percezione legata sì alla materialità, corporeità e quotidianità del tempo storico proprio (perché di partenza) ma nella prospettiva del suo superamento, come correttamente osservato nell’introduzione , nell’assunzione comunque di una nuova soglia, di una terra diversa nell’ eventualità dei ritrovamenti. Ed è dunque questo il bene primo del testo, in una progressione dell’incisione che va di pari passo con una meditazione a tratti metapoetica di se stessa nel prezioso lascito novecentesco di ripartenza. Sette dicevamo gli autori, con una prevalenza netta di presenze femminili in un’ edizione come al solito ben curata e corredata dalle fotografie della cara e brava Gabriella Maleti. Serie dunque aperta da Lucianna Argentino la cui raffinata navigazione è qui testimoniata per prosa poetica in terza persona da testi in cui l’autrice romana rivede, ripassa a ritrosi l’arco della propria personale esistenza sotto la lente di un sé bambina in acquisizione di scrittura e di qui nella scoperta di vita che può appunto essere reinterpretata dalle proprie mappe e dalle proprie chiaroscurali intersezioni in riscrittura stessa (secondo un’intuizione poetica abilmente riportata ora da adulta in frammenti per un’autobiografia postuma) ; diario e già liturgia di memoria nella garanzia della salvezza che in sé in quanto affermazione ha comunque il dire, il registrare, nel cucire e scucire delle parole nella “qualità evangelica della luce” : nel ritmo sì divino in cui risonanze e silenzi si attraggono e respingono tra le figure care di luoghi e familiari (il nonno, il fratello, ma soprattutto il padre nella prossimità del dolore condiviso). Dell’autore seguente, l’ischitano Pasquale Balestriere, si ricorda invece, come felicemente sottolineato da Vetromile, “il lato silenzioso e spesso ombrato della vita quotidiana che si conduce, sovente, senza il prezioso riferimento a radici e valori fondamentali dell’esistenza: come la memoria storica e sociale, il sentimento familiare e l’amore per la natura” che qui trova struggente e intenso intreccio soprattutto nel brano in ricordo del fratello (“Sull’orlo della vita soli fummo/ e non ci fu pietà pei poggi in fiore”). Anche se, a ben dire, altrove un eccesso di aulicità linguistica rischia a tratti di inficiarne il risultato (“Orfica” ad esempio). Con la poliedrica Floriana Coppola, che ha nei collages di poesia verbovisiva uno dei punti di forza, traspare invece nei testi tratti dalla silloge già edita “Sono nata donna” lo sforzo e la ricerca del superamento dell’immediato reale, “dell’immanenza” come lei stessa avverte, alla luce di una traccia che allo stesso tempo apra e trasfiguri i mondi, in cui le stesse ferite umane “nel tunnel di volti” non sono che segno di “un regno perso” forse ma sempre presente- e riflesso- nell’impasto di terra e cielo entro cui disparate e disperate presenze cercano nome e fuoriuscita e che ha il suo suggello, nel sillabario di permanente ricominciamento, in “Elogio del margine”. Piuttosto è con la traduttrice e narratrice oltre che poetessa Giovanna Iorio, nomade acrobata e indagatrice dell’ombra per rimestanza erratica tra le apparenti banalità e bucce del quotidiano e sue necessità di visione, il primo esplicito riferimento al divino tra negazioni e aspirazione d’assunzione nell’altalena di un umano “vivere/senza lasciare impronte”. In più, però, la percezione poetica si nutre, ha bisogno di cura, di veglia: lo sa bene Ketti Martino, di formazione filosofica non a caso, che nel vibrante trittico di cornici consequenziali nel dialogo con gli spazi e le brezze della natura si offre alle sue voci, ai suoi intagli nel riflesso del reciproco riconoscimento (“Delle ombre riconosco il verso/ uguale agli stessi miei rosari”). Amore certo che nella dolcissima, tenace, onniradicata Cinzia Marulli Ramadori si fa chiave di volta, grimaldello di decodificazione e reindirizzo civile del reale, memoria e intreccio salvifico dalle viscere di un umano non espunto ma cullato e ripulito dalle offese (vedi, da leggere nel tremito tutta di un fiato, la bellissima “Pensieri” dedicata alla madre). Indagine chiusa infine da Marco Righetti che dimostra con efficacia, subito, direttamente dove la meditazione e la lingua poetica, che non sono altro dal mondo ma esse stesse compiutamente Mondo per scavo e liturgia dei frammenti, hanno per forza di prossimità e radice luogo e battesimo principe : qui nel cuore dell’esplosione che ha disperso il sogno e la vita di Melissa Bassi, la ragazza di Brindisi che nel maggio del 2012 fu uccisa nell’attentato alla sua scuola. Qui, nell’elegia delle parole dell’adolescente a sua madre, a ricordare la potenza di una scrittura che rompe il marmo del tempo dai cui spaventi e dai cui traumi non si lascia vincere ma muovere in ricomposizione perché, come avverte la stessa Melissa a proposito del suo assassino, la vita vale più del male fatto. Ed è giustappunto nel seme di questa circolarità, innaffiata, offerta e condivisa nel segno pieno di ogni autentica poesia che, in conclusione, andiamo a segnaliamo per ricerca la lettura di questo indicativo quaderno.