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07/11/2024 19:23:00
Daniela Monreale
- 09/02/2011 12:13:00
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Carissima, ho letto il tuo e-book con grande piacere e coinvolgimento, come sempre mi succede leggendo le tue poesie. Vi ritrovo poesie che già conoscevo e che non mi stanco di gustare. Questi "cerini" diffondono una luce ferma, sincera, nonostante loscurità di sfondo, che è intessuta di desiderio, di lontananza, di nostalgia, di sogno. E non a caso, la costellazione semantica di questa raccolta presenta il ricorrere di parole come "sera", "buio","stanze", "sogno", "ombra" che rimandano ad un universo interiore che vorrebbe liberarsi dalla costrizione del quotidiano, dalla "stanza" della solitudine e della nostalgia, per assaporare spazi di presenza amorosa. Il cuore poetico sembra pulsare nella metafora dello sguardo, che da spettatore vorrebbe diventare protagonista di una vita interamente attraversata, vissuta nel profondo, e non solo nellorizzonte del sogno. Il dissidio tra realtà chiusa e vastità del desiderio, tra il buio dellassenza e la luce del ricordo non è però serrato nella spietata geometria degli eventi. Se è vero infatti che "Lamore saggruma/ in aghi di ghiaccio", rimane il calore del cuore che "soffia ancora/ sulla cenere". E non per consolazione o fatalismo. Credo che in questa poesia ci sia una forza vitale che supera la stessa convinzione dellautrice. Sì, Anna Maria, io penso che la tua poesia ti restituisca davvero il fiore non colto, e che riscatti, con la sua potenza catartica, il nonsenso di troppe cose. Perchè alla fine contano veramente il cuore, lanima, la tenacia delle proprie emozioni, e la poesia che incide tutte queste cose sulla carne, e che fa vivere e amare. Dunque i "cerini" hanno una piccola ma sicura luce: la speranza che tutto si trasforma, e che nessun buio resisterà.
Nicola Romano
- 28/01/2011 12:19:00
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Se a questo punto, e con questa fluida raccolta, Anna Maria Bonfiglio dice "messa" secondo le proprie intenzioni, tali intenzioni basate prevalentemente sulla riflessione sul tempo andato e su quello conseguente che va, non possono essere che anche nostre dal momento che una lunga e coeva militanza poetica ci ha portato a questi (tutto sommato) apprezzabili traguardi di vita e di scrittura poetica. Luniverso creativo e lintuizione visionaria di Anna Maria li sapevamo molto ricchi e consistenti, ma qui scorgiamo - senza bisogno di accendere uno dei fiammiferi di Prèvert - il raggiungimento di un certo apice che stabilisce completezza ed armonia, anche formale, alla narrazione poetica di sè e degli altri. Il verso è ben coltivato e mai fine a se stesso, e certamente in sintonia con il suo "sentire". Tutto sembra accadere semplicemente dentro una "stanza", che non vuole essere un luogo fisico ma il luogo interiore dove la Bonfiglio elabora impeti damore e di speranza, se un suo invito condivisibile è quello di "continuare a soffiare sulla cenere" per mantenere sempre viva perfino la vitalità di unombra. Mi dichiaro coinvolto emotivamente nei testi. Un abbraccio allautrice
anna maria bonfiglio
- 26/01/2011 16:30:00
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E opinione diffusa che un poeta non abbia lobbligo di "spiegare" la sua poesia poiché essa è soltanto lessenza di ciò che ciascun lettore sente. In questo caso la mia impressione è che in linea di massima tutti voi lettori abbiate ricevuto da questa piccola raccolta le stesse sensazioni.Poesia damore, sì, ma anche poesia che racconta il sentimento del tempo perduto. Il tempo che tutto fagocita ci lascia la ricchezza della memoria:la nostalgia, il disincanto, i bilanci, la malinconia ma anche, come sottolinea Antonella, la speranza, un sentimento che non chiude la porta alla vita. Tutto ciò penso che appartenga a tutti,così come sostiene Emilio Paolo. Vi ringrazio tutti e in modo particolare la cara Franca Alaimo e i curatori delle-book.
Emilio Paolo Taormina
- 26/01/2011 15:54:00
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Cè sempre qualcosa, un niente, una ragnatela abbarbicata alla polvere, che resta di un amore nella stanza della nostra memoria. Una luna velata dal vento di scirocco, un impercettibile segno sulla pelle dove il bisturi della vita ha scavato. Siamo stati tutti cervi feriti e il vento cremisi che raschia la memoria riscopre le vestigia di momenti di abbandono. E Anna Maria Bonfiglio sa che lesperienza personale è universale. E questo il leit motiv che coinvolge il lettore e rende sua lesperienza. Anna Maria Bonfiglio è una poetessa siciliana di Porto Empedocle che da molti anni vive a Palermo, subito emersa come poetessa e narratrice allattenzione dei lettori, nel tempo ha arricchito lo stile molto essenziale della sua scrittura. "I cerini di Prevert " è una raccolta poetica sinceramente convincente.
Eugenio Nastasi
- 24/01/2011 12:53:00
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"Gerani ai balconi di maggio/ e il nostro fuoco fra il mucchio/ delle cure quotidiane", siamo alle prime battute de "I cerini di Prèvert" e già lessere donna di Anna Maria Bonfiglio è come un essere imbastito di tenerezza e risentimento, ma anche di candore che incalza la solitudine. Di qui uno stato di attesa, simile a narcotico, la tiene in impasse e lessere che costituisce la sua vita, luomo, staccato, remoto, presenza-assenza elusiva. Benchè ella tenti di annientare la distanza, ricorrendo in maniera originale e coinvolgente con la poesia a colmare tutto ciò che è esterno, muto, bendato e sfuggente, non vè momento della giornata che lesaltazione del sentimento non la induca a proiettarsi ovunque per bruciare anche la tentazione dellinvisibile e limpazienza delle cose minute, ma "la notte è segreto/che taglia il respiro". Chi ama si annulla nel sentimento del termine agognato e tuttavia ama per raggiungere loggetto damore, sorretto dallansia di vederlo apparire: "Il sapore del cuore è più crudele/ quando le mani-ali/ scoprono sul viso le ombre/ di una nuova nostalgia". Nellombra di ogni minuto senza azione, lamarezza è in agguato. Gli inganni si moltiplicano, travisandoci ai nostri occhi stessi, inacerbandoci e indebolendoci ogni momento di più, rendendoci incapaci della minima rivolta, soffocando i nostri desideri e il poeta rimane solo con le sue verità brucianti e bruciate. Si leggano "Assenza", "Lombra" fino a "I cerini di Prèvert" e oltre per chiedersi se la Bonfiglio abbia composto il suo "canzoniere" damore per sè stessa, dedicandolo alla sua libertà damore messa al muro, alle sue disarmate illusioni; ma il suo dolore, vellutato da una cadenza ritmica di primordine, come ha intuitivamente messo in evidenza Franca Alaimo nella prefazione, è anche il nostro determinando una lettura partecipata, convinta e di sicuro effetto.
antonellapizzo
- 21/01/2011 17:49:00
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Ormai nessuno parla d’amore come se l’amore fosse una debolezza, di amori finiti meno che mai. Anna lo fa con coraggio e maestria, poesia non nostalgica o melensa ma intrisa ossimoricamente di dolce amarezza, poesia molto gradevole nonostante il tema della lacerazione e dell’assenza.. Il sogno, la sera che scende per raccogliersi in un abbraccio fra i gerani fioriti, la primavera, le carte e l’astrologia, tutto sembra svolgersi favorevolmente ma la realtà è diversa, dal sogno ci si risveglia e ci si ritrova impigliati fra aghi di ghiaccio, la primavera è passata ed è arrivato l’inverno e la solitudine. Amaro è l’odore che resta/quando colmi la stanza vuota/passeggiando nel sogno. La luna si trasforma in pena e i volti si fanno sempre più distanti, i volti e i sorrisi di un tempo ora sono prigionieri in una cornice dorata. Inutile accendere i cerini, non basteranno a riscaldare e a illuminare. La raccolta si conclude però con un segno di speranza, con un canto, dopo la sera c’è sempre il domani e le stanza vuote si riempiranno nuovamente di un nuovo respiro. Domani le stanze conosceranno ancora/il tuo respiro/rallegrate dal dono/ameranno anche il buio/dentro al quale mi cerchi/canteranno carezze/il desiderio affilerà/ i coltelli sulla pelle. molto apprezzata e sempre brava anna.un caro saluto antonella
Guglielmo Peralta
- 21/01/2011 16:51:00
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Questa silloge di Anna Maria sembra un compendio di alcune sue raccolte poetiche precedenti, i cui titoli, già di per sé esplicativi dei temi e dei contenuti di quelle raccolte, potrebbero qui figurare e servire, complessivamente, da “segnavia” al cammino poetico dell’autrice, tracciato sul fil rouge della scrittura autobiografica e, dunque, della memoria. Difatti, li ritroviamo qui, implicitamente, come nuclei semantici di un poetare che è vita, e perciò portatori di un “canto” che “Tra luce ed ombra si dispiega”. Essi sono: “L’insana voglia di ardere”, di dare cioè sfogo alla “voce del sangue […] accecata da fuochi/ incessanti”; l’abbandono/rifugio “Nell’universo apocrifo del sogno” con l’amara consapevolezza di “passeggiare” sopra un cielo di nuvole che lascerà “la stanza vuota”, pur colmandola di sogni; la rivelazione della propria condizione dolorosa attraverso “La donna di picche”, che qui si ripresenta veritiera (“Ma la donna di picche/ non era un’invenzione delle carte”), in contrasto con “l’oroscopo” che fallisce clamorosamente “la sentenza”, smentito dalla cruda realtà che conferma il responso della carta famigerata; la passione, il desiderio di un amore vissuto in un’alternanza “D’ombra e d’assenza”; la voglia di vivere, di gridare il proprio diritto a una vita normale, di “accendere” la vita che scolora tra “Le voci e la memoria”, senza rinunciare alla speranza di “svegliarsi e sentire/la vita che torna”. Ma “il buio”, che si è insediato come un “amico” nelle “stanze” del cuore e della casa, essendosi spento il tempo dell’amore, vanifica ogni promessa di luce, il più debole lucore. “I cerini di Prévert” sono solo poesia, che non è in grado di dare luce agli occhi ormai spenti; che non dirada le tenebre di una vita vera, consumata nella solitudine delle “stanze oscure”, dove solo respira l’infanzia, nel pallido ricordo che la fa simile alla “luna”. Nostalgia è questo ritorno al passato, ma, ancora di più, la vita negata, il sentirsi costretta “alla resa/contando/sulle dita di una mano/quello che resta” sapendo di avere “sempre perso” quello che era più caro al cuore.
Narda Fattori
- 21/01/2011 16:23:00
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Ho letto questo gradevole poemetto sul sentimento damore che ci lega allamato, e quindi incarnato e proprio per questo fragile, bisognoso di cure. I suoi doni sono dolcissimio e umbratili, hanno una tenerezza che però sa anche far gridare di dolore. Il volumetto che porta per titolo una indimenticabile poesia di Prévert non si apre su voragini, corre allinterno e al limite del sentimento che esplora e protegge in stanza dove larmonia della versificazione fa dolce il sostare. Lieve e intenso come chi ne ha lunga consuetudine, lamore simpone allamante e si tende allamato, sufficiente e timoroso di non esserlo. E poesia matura, con un parco uso della retorica ma di indubbio impatto emotivo.
anna maria bonfiglio
- 21/01/2011 16:04:00
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Grazie per la lettura.mediterò su quanto è stato detto per esprimere le mie considerazioni.
Sara Ferraglia
- 21/01/2011 10:01:00
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Letto tutto dallinizio alla fine lasciandomi trasportare dalla musicalità e dalla delicatezza dei versi. Lassenza come un cerino acceso nel buio, dolore mai urlato, conservato in grembo e accarezzato.
Loredana Savelli
- 21/01/2011 09:16:00
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Davvero fascinosi questi versi, colmi di sensualità e nostalgia ma sempre contenute in una dignitosa espressione, che trova nella musicalità, nella fluidità del canto, nel ritmo leggero, quasi sfuggente, la sua bellezza luminosa. Delicati anche nelloffrire, talvolta, amare conclusioni (vedi “La tua gola ha canti che l’anima”): ”Di notte s’alzano voli d’angelo dalle labbra del sonno, ma le porte sono chiuse e non saprà nessuno di quei canti”.
Delicati anche quando osano sperare (“Assenza”): “Svegliarsi e sentire la vita che torna un grembo profondo per nascere ancora”.
Percepibile certamente la passione, l’umana passione (“La voce”): “Ancora l’inconfondibile voce del mio sangue denudata di carezze accecata da fuochi incessanti…” Ma è pur sempre una passione filtrata da occhi disincantati, esperti delle cose del mondo e del cuore.
E’ stata una lettura dolce, partecipata, i cerini di Prévert hanno contribuito a creare unatmosfera discreta e gradevole in cui sono circolate grandi verità, lasciando un profumo pervasivo eppure impalpabile.
Antonio De Marchi-Gherini
- 20/01/2011 21:53:00
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Poesia del disicanto. Accativante il titolo, ma niente di anarchico alla Prévert. Poesia intimistica nel senso di riflessione meditazione su progetti di vita non del tutto riusciti. Pulizia classicheggiante del verso e musicalità e ritmo da vendere.Resta qualcosa di malinconico nella mente; come quando si fanno i bilanci di una vita.Bella e didattica la presentazione della brava Franca Alaimo.
liliana ugolini
- 20/01/2011 06:09:00
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Ho letto il testo e poi la prefazione di Franca Alaimo, che dice cose che condivido. Questa poesia dell assenza è piena di concretezza e svola in inquetudini consapevoli. E il modo di dire tutto ciò che rende la parola viaggio anche surreale.
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