Luca Tumminello legge il poemetto Lucopeia, nell'ambito della manifestazione "Padova un fiume di poesia" (Centro culturale San Gaetano/Altinate), 30 giugno 2011: http://youtu.be/R2ju5TkGnQM
L’improvviso tumulto dell’ispirazione, che ha offerto a Luca Tumminello questo non imprevedibile “poema”, è dovuto alla sua conoscenza del Sacro, piuttosto che a un istintivo idillio sciamanico, o ad un ellittico gioco di certezze inventive per iniziati e privo di familiare passepartout: “Sogno gerundivo / illimite oblio / di un vortice d’amore / e un palpito d’urano / la perdurante madre…”, a più rivelazioni. La non - distanza dalla precedente silloge Terre di Telesma (edito nel 2005) sono convinto che documenti un’identità al “canto” che lega il suo lavoro ai modelli propri e – per vari aspetti – già riconoscibili. L’esplosione della pronuncia, per la medesima unità di significati, se mai aumenta la sensorialità dell’oltranza e – parallelamente – il gesto che si rinnova (e progredisce) di conseguenza come congiunzione, anzi per autenticità del vero aspetto di se stesso. Tumminello è dotato di un fervore incessante e forse ossessivo nella propria ricerca e, quindi, l’ansioso dispiegarsi della sua tesi poetica suasiva e corrispondenza con le sue scelte sono l’insospettabilità del divino, i movimenti icastici nell’esatta rappresentabilità del quadro a rettangoli uniformi, nell’intero grembo dell’immagine totale. La sua fonte rovente è la luce che assiduamente si rigenera; ed ecco il sintomatico e allusivo neologismo, conferito ad una scrittura che fonde un duttile desiderio della lingua al lembo di quella terrestrità, in cui l’opera rinasce: tersa, e in apparenza labile, esemplare, dosata, immediata, selettiva e di piena coerenza. E, infatti, egli compie un suo proprio atto di perfezione rinnovando i numeri 3, 9 e 12, a quello che si conosce e dà il senso alla parola poetica e alla vita di ognuno, insieme alla necessità culturale dell’evocazione mai assente. Così, 33 sono le lasse naturali di questa precisa Lucopeia. Insospettabile, laboriosa, posta su una superficie profonda (misticismo, levità, misura attiva dell’ossessione espressiva), i cui alfabeti sono innumerevoli, anche per via dei fremiti di esattezza, e non solo per la brevità consecutiva, ma per l’arte dell’euritmia, i paradossi che abitano più felicità e testuali risvegli, convertibili in ordine e armonia, mai naufraghi. “Ogni era ha le sue doglie / ogni era sente la fine / ma nel sangue sta scritto: / mai fu inizio / Tutto eterna lieve”. Il predominio di contingenze religiose è pertanto una condizione assoluta, non sommessa della silloge, sebbene le mozioni esemplari qua e là siano intrise di nodi barocchi, e la parola percorre l’Ovunque umano e la rinascenza spirituale in più moventi leggeri e sembianze che investono la materia dell’ascesi, il mosaico della ricerca per messaggi inattesi, l’elaborazione tersa e densa di riferimenti sapienziali. Questo avviene in una sublimità tutt’altro che incerta o spersa, depurata fino all’eguale della strofa, nell’essenziale che diventa sogno delle sue stesse tensioni e di simboli non isolati o solo vaganti. Il verso rarefatto è solerte e ripartito sentenzialmente in geometrie e trame efficaci, nell’estasi che sale, e in quel rapporto con la realtà che rende serena la vocazione creativa in versi irsuti, per lamine espressive non protette da contemporanee saggezze oblique, e attivamente senza tempo, malgrado i possibili e lontani “anni precoci e canuti / devoti alla lama / dell’appreso – saputo / e il giglio è reciso / per l’umano inganno”. I segni musicali, tra i codici interlinguistici, diventano scrittura della “protesta” e – in varia ibridazione – fotografia del mondo, dentro cui ogni spettacolo continua per soffi intraverbabili e fonazioni dure e forti, nella cui essenza il poeta regge e, ovviamente, non soltanto per una sfida del respiro o gli effetti canonici della ardita mente.
Ognuno si crea il proprio Eden o Inferno. Poesia mistica fortemente ancorata a terra. Spirito fortemente agganciato alla sensuale carnalità della vita. Poesia magmatica ma al contempo lineare nella sua narrazione. Ingredienti insomma di quella cultura greco-mediterrannea che si incontra scontra con la dirompente novità del messaggio Cristico, anche se questo è espresso in nuce. Belle e convincenti le immagini, quasi un neosimbolismo alla francese ma arricchito di quella solarità che è solo italica.
Ringrazio Franca Alaimo per avermi fatto conoscere "Lucopeia" di Luca Tumminello. Si avverte effettivamente in questi versi - come lo stesso autore dice e Franca riferisce - uno "stato quasi di trance" che coinvolge tutto lessere e che "altro non è - per la redattrice della postfazione - che pienezza dabbandono", finendo - prosegue - con la rivelazione della "necessità degli opposti" (visibile e invisibile, senso e sovrasenso, finito e infinito) e della "loro implicita santità": "Dio avviene in silenzio / quando la rosa nel giardino / è rosa protesa ad essere rosa / per fede o per virtù / di uno spasmo di calore". Si potrebbe dire - per questa prova - che lio tenta la risalita alle proprie fonti battesimali ("il cosmo è cuore / per Coloro che sono")identificandosi con la Parola ("Parola pronunciata / come inizio di me stesso"). E qui, il riferimento alla nota di Stefanie Golisch è dobbligo: davvero significative e cariche le sue osservazioni: una su tutte: "Tutto è da imparare - e da disimparare - per trovare se stesso e in se stesso ciò che accomuna tutti gli esseri umani, gli archetipi del divino".
Grazie a tutti e tre, dunque, per questa edificante lettura.
Seconda lettura. Ci si perde in questi versi di Luca Tumminello. Ma è unesperienza luminosa, quasi mistica: le poesie sono omogenee e sembrano consequenziali nel raccontare una storia fuori dal tempo, il peregrinare delluomo tra luce e tenebre, tra archetipi religiosi e "topoi" poetici. Eppure le poesie contengono anche un nonsoché di pagano, una sorta di devozione alla natura. Lesperienza della lettura è dunque straniante, sembra di percorrere ere e spazi eterni.
La ricerca del senso della vita vissuta anche nella contemplazione dell’universo rappresenta l’essenza dei versi di Luca Tumminello, versi in grado di avvicinare/vaticinare vastità incommensurabili Raccogliendo/accogliendo il divenire nella sua complessa semplicità, tutto accade: la parola anima spazi e creature dando loro voce s-folgorante/luce bene-dicente Mondo e oltremondo divengono un unico Umanissimo luogo accessibile nella sua sacrale/terrena nudità: “il cosmo è cuore per Coloro che sono”
Gugliemo Peralta con le sue parole dimostra come il "lettore", profondo, che osa respirare i versi, possa ricreare e fare risuonare in se stesso il mistero della poesia. Grazie!
Scorrere le pagine di questo libro, percorrerne i versi, è salire una lunga scala di luce che, di gradino in gradino, mostra le trasparenze del testo a ridosso della sua oscurità. Qui, la luce è struttura, forma, simbolo della vita contemplativa e immagine e prefigurazione del Verbo divino. Ed è il sogno del poeta, come di Giacobbe: la scala posta tra terra e cielo, a significare l’ascesa e la congiunzione fra l’umano e il divino, fra la parola e il canto, il quale sorge “nel petto” ove è Betel (“il betilo”) - la ‘casa di Dio’- e che, tuttavia, resta suono separato dalla “parola Senza Nome”, la sola in grado di nominare senza essere nominata. Pertanto, desiderio del poeta è “osare la via del sole” per cacciare le tenebre, nell’attesa e nella speranza che la parola (il canto) imiti il Verbo e «sia», fiat lux! Lucopeia è questa luce rigenerata, da rigenerare, per navigare nella “vastità celeste”, per giungere, oltre “l’abbaglio (…) relativo”, oltre il lucore, alla “luce assoluta” della vera conoscenza. Perché è “non degno il sapere/versato nella mente/come coda di serpente”, come frutto del peccato. “Osare” è riporre la mela sull’Albero per godere di tutta la luce dispersa, dissipata, col morso trasgressivo. “Osare” è superare “l’argine della luce”, cioè, non cullarsi sul “velluto della rosa”, non lasciarsi cingere dalla vita “in un diluvio d’ardore” restando “esule dal tempo/e da ogni dove”; è non accontentarsi “di questa porzione di vita” corrispondente alla porzione di luce addentata nel Giardino delle delizie, ma anelare allo splendore assoluto, alla gloria della vita eterna, alla visione originaria. “Osare” è, ancora, attendere, avere fede. Perché “Dio avviene in silenzio”, se da umili cantori sappiamo attingere “il Canto glorioso” all’ “anfora dell’Universo” e dissetarci; se con la rosa, “protesa ad essere rosa”, a conoscere la propria essenza, impariamo a dimorare in noi stessi ascendendo “sino al Nomos”, là dove abita il nostro essere, nel cuore della parola che lo custodisce. Parlare è questo abitare avendo cura dell’essere, coltivando “nel petto” la rosa, “il canto nel giardino”, “la parola disumana”, “ciò che nell’uomo/è al di là dell’uomo/ciò che nel verbo/è al di là del verbo”. Ma la scalata al cielo richiede gioia e umiltà, perché “l’acqua visita l’asciutto/se l’arido gioisce”. Se non ci abbandoneremo al deserto, se confideremo nel canto, esso, come la manna, scenderà dall’alto a rinfrancarci. E sarà acqua, sorgente di vita, liquida luce che disseterà la nostra anima.
Due sono le vite probabili per coloro che esordiscono con opere di grande pregio. La maggior parte di essi rimane vittima (sia consentito un riferimento a-penalistico al soggetto passivo di un reato)della loro prima creatura, e non vi sarà impulso tale da redimerli, loro malgrado. Alcuni altri, invece, non temono di lasciarsi impossessare dalla trance sciamana, e superano con slancio l "ostacolo dellopera seconda".
Con Lucopeia Luca Tumminello conserva e supera Terre di Telesma.
Sto gustando piano questi eleganti versi di Luca Tumminello e percepisco un linguaggio maturo, una padronanza formale notevole. Al momento ho molto apprezzato la venticinquesima stanza, una bellissima riflessione sul tempo e sulluniverso. Mi riservo una seconda lettura più approfondita. Intanto complimenti al poeta.
Ringrazio Eugenio Nastasi, che ha sentito vibrare i versi di Lucopeia, per le sue belle parole e per i complimenti.
Un saluto affettuoso e un ringraziamento alla poetessa Franca Alaimo, per avere scritto una postfazione così forte, meditata e incisiva, e alla "funambolica" Stefanie Golisch, per la sua preziosa nota introduttiva.
Ho già scritto per il libro di Luca, poeta palermitano come me, una postfazione e, quindi, qui non voglio aggiungere nientaltro che la mia "fede" nella poesia di questo giovane autore e il desiderio che sia letto ed apprezzato da molti, perché lo merita.
Con una scrittura che può, metaforicamente, essere assimilata allimmagine di acque rutilanti che precipitano da altezze montane, acque limpide e spumose, dense di echi che riflettono il cielo e la terra, il mito e la storia e protese nella vertigine di un estuario che inonda il mare del possibile-impossibile, Tumminello, proprio come uno sciamano, ci dona e si dona le sue doti umane e poetiche con un fantasmagoria di versi stupefacenti. Basterebbe il dettato del XXV frammneto di rara potenza espressiva,a far da termometro a tutto il lavoro; ma le citazioni devono fermarsi qui visto che il Nostro ha due Muse tutelari, la Golisch e Franca Alaimo,che ridisegnano ampiamente le qualità del poeta, lasciando poco terreno inesplorato, ma torna gradito al lettore quanto sia possibile "abusare" dei lemmi, nello spettro più ampio del divenire artistico,consentendo comunque a un canto poematico di non sempre facile accesso,di essere felicemente goduto. Complimenti, Luca.