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Collana di eBook a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani

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eBook n. 117 :: Darshana de Malchut, di Gian Maria Turi
LaRecherche.it [Racconto]

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Di Gian Maria Turi
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Data di pubblicazione:
17/10/2012 12:00:00


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Notizie sull'eBook

Il libro è disponibile anche in versione cartacea sul sito www.gianmariaturi.it

Darśana de Malchut di Gian Maria Turi sarà presente a Roma dal 5 all’8 dicembre 2013, alla Fiera della piccola e media editoria “Più libri, più liberi”, presso lo Stand A24 insieme agli Autori Indipendenti della No Brand Art (NBA).

Il libro, originariamente pubblicato nel 2012 tra i Libri Liberi de LaRecherche.it, è stato stampato dall’autore in modalità self-publishing e con il patrocino spirituale de LaRecherche.it, e in dicembre sbarcherà in Italia. Già presentato con buon successo di pubblico agli Istituti Italiani di Cultura di Tel Aviv e di Haifa nel giugno del 2013, il libro, dopo la Fiera, sarà presentato ad Assisi (12/12 Circolo Fortini, ore 21.00), Perugia (13/12 Libreria Grande, ore 17.30), Bologna (14/12 Café de la Paix, ore 17.30 + 16/12 Libreria Naturista, ore 17.30) e Mantova (15/12 Libreria di Pellegrini, ore 17.30).

# 13 commenti a questo e-book [ scrivi il tuo commento ]

 Dario Chioli - 21/08/2013 18:53:00 [ leggi altri commenti di Dario Chioli » ]

Molto bello nel complesso questo libro di Gian Maria Turi, che ebbi già occasione di leggere in una prima versione, più diretta forse, ma meno completa. L’itinerario di un uomo alla ricerca della verità, che in questa sua ricerca viene coinvolto nell’appartenenza ad un gruppo cabalistico, che dapprima sembra rivelarsi una scala verso il cielo per poi diventare per lui una prigione. In quanto prigione, finisce per distruggere la sua convivenza con colei che nel gruppo l’aveva introdotto. Materia da attivisti antisetta, e da scettici impenitenti.
Sullo sfondo un Israele magmatico, pieno di contraddizioni, timoroso di un Armageddon che tutto distrugga non si sa se per ricostruire qualcosa. Un dominio che teme, erigendo muri di controllo, di erigere in realtà un nuovo ghetto. E questa cosa terribile, la tendenza dell’israeliano ebreo a considerare l’israeliano arabo come una malattia interiore di cui liberarsi…
Un viaggio che dall’India passa alla quotidianità più scabra, dopo un viaggio parzialmente esotico dentro paesaggi interiori alieni, attraversando forme religiose e sociali che si vorrebbe assimilare senza riuscirci davvero.
Un viaggio insomma dentro la speranza che continuamente si riformula fino a toccare il nucleo vero, disincantato, dell’uomo; quello che nessuna ideologia può attingere, anche se il viaggio ha mostrato innumerevoli segreti che arricchiscono il mondo, quand’anche non sempre ci appartengano direttamente.

 Silvia - 12/08/2013 13:46:00 [ leggi altri commenti di Silvia » ]

Mi è piaciuto molto questo libro perché scritto molto bene e perché ricco di contenuti diversi. Sebbene alcuni brani teologici –filosofici fossero per me di difficile comprensione, è comunque riuscito a farmi riflettere, a farmi divertire, a farmi rivivere alcune sensazioni e atmosfere israeliane che avevo un po’ dimenticato; l’ho letto con vero piacere! Grazie Gian Maria!

 Paola Barazzoni - 21/07/2013 16:30:00 [ leggi altri commenti di Paola Barazzoni » ]

Caro Gian Maria, volevo farti sinceri complimenti per la tua opera, che mi sono affrettata a finire per inviarteli ora,come piccolo bday gift! ... Quanto apprezzi alcune pagine di splendida scrittura puoi immaginarlo, e del resto te lo dissi già tempo fa. Non è facile, il tuo libro, per la quantità di culture sulle quali spazi ...e perchè in particolare mi è totalmente estranea la Cabala, così come ogni tipo di settarismo elitario. Ma ho molto apprezzato, e ci tenevo a dirtelo, la tua ricerca religiosa e la fortissima moralità che la anima ...trovo emozionante l’appassionata, accorata, "blasfema" invocazione a Dio, e tutta la parte finale... Ti auguro che ti dia le soddisfazioni anche editoriali che meriti!!

14:53

 Emilio Capaccio - 09/01/2013 15:20:00 [ leggi altri commenti di Emilio Capaccio » ]

Ho letto Darshana de Malchut e posso dire di averlo divorato in una sola giornata per il grande fascino, l’originalità e la compiutezza che mi ha suscitato. Davvero una storia geniale, meriterebbe essere esposto nelle librerie più importanti d’Italia, a mio modesto parere. Un ringraziamento mi sento di fare all’autore per averci consegnato questa splendide immagini in un’opera veramente stupefacente.

 Luciana Riommi Baldaccini - 03/01/2013 15:49:00 [ leggi altri commenti di Luciana Riommi Baldaccini » ]

Un testo importante, e non solo per Gian Maria che l’ha scritto e che ci confessa di averci lavorato a lungo, come dimostra la cura che ha prestato ai dettagli (storici e anche paesaggistici)e ai tanti riferimenti culturali, poco conosciuti ai più. E’ importante anche per noi che lo leggiamo per tutte le domande che hanno caratterizzato il suo percorso “spiritualmente quotidiano”, e che rendono autenticamente “umana” la sua vicenda. Quasi un viaggio iniziatico, con le sue esaltazioni, i momenti inflattivi e le cadute, con l’iniziale adesione, ingenua forse, ma inevitabile, all’autorità del maestro, fino alla sua necessaria e liberatoria “eliminazione”, con la tristezza però di aver lasciato sulla strada vittime sacrificali che, innocenti, hanno pagato il prezzo del distacco dalla realtà conseguente alla fascinazione che sempre esercita ogni tipo di “assoluto”. Un processo di maturazione, dunque, e l’assunzione piena della responsabilità individuale nelle proprie scelte e nelle proprie convinzioni: il processo di costruzione di una vera “etica”, che non è proposizione di modelli di condotta, ma riflessione continua e continuo interrogarsi, su di sé e sulla realtà esterna. Complimenti, Gian Maria, per questo testo che ha suscitato in me curiosità, attenzione, rispetto e, last but non least, un vero godimento letterario.

 Giovanni Baldaccini - 03/01/2013 15:02:00 [ leggi altri commenti di Giovanni Baldaccini » ]

Caro Gian Maria, questa tua è la profonda ricapitolazione di un tratto di vita lungo un tragitto simbolico attraverso luoghi, persone e culture cui dare significati personali, attraverso domande su di sé, sulla vita, sul rapporto con la trascendenza e i suoi risvolti nel mondo, a volte rintracciati, a volte negati. Un viaggio di Gian Maria, dunque, attraverso Gian Maria; un percorso attento, puntiglioso, doloroso e comunque denso di attribuzioni di un senso possibile, anche a ciò che in sé non ne ha e può assumerne soltanto nello specchio della riflessione. Una lettura interessante e ricca in cui non temi di esporti pur di risponderti. Un caro saluto.

 Francesca - 30/12/2012 19:12:00 [ leggi altri commenti di Francesca » ]

Complimenti per il tuo libro,l’ho letto con deffidenza all’inizio perche non e il mio genere, ma posso dire che mi ha colpito, a tal punto di ritornare su alcune cose per riflettere. Bravo un libro che vale la pena di poter sfogliare anche.
grazie!

 Maria Musik - 24/12/2012 07:56:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Se qualcuno mi avesse detto che avrei riletto un libro che contenesse anche solo la parola "Israele", lo avrei maledetto. Da alcuni anni, mi rifiuto categoricamente (e, per molti stoltamente e, forse, hanno ragione...) di accostarmi a letture, film, mostre e altro che sfiorino l’argomento. Per "senso civico" leggo le notizie. La mia vita è stata ossessionata da Israele: la Bibbia, la Parola che albergava nella famiglia in cui sono cresciuta, la lotta politica (sono del ’60) degli anni della giovinezza che mi vedevano indossare la kefiah, i miei studi universitari storico-religiosi, la scuola di teologia per laici... il tutto attraversato dall’obbligo che, geneticamente, ci avevano trasmesso i padri di non dimenticare, di vivere con l’angoscia di una memoria nostra perchè figli degli alleati dei nazisti.
Così, ho letto, obtorto collo, questo libro per amicizia, uno strano sentimento nato dall’incontro virtuale con Gian Maria. Così mi sono ritrovata a meravigliarmi di fronte alla bellezza ed alla sacralità di questo libro. Non posso dire di non aver provato fastidio ma, sempre, stemperato dall’ammirazione per la capacità di rendere avvincente un racconto così difficile, per la cura maniacale del linguaggio (meticciato e, malgrado tutto, così puro), per l’amore e la pietà che trasudano le pagine, per la mancanza di arroganza etnica od intellettuale o politica o religiosa che è il suo maggior pregio.
La santa blasfemia del suo autore mi ha conquistata e la passione per Ofiria commossa.
Credo che questo libro debba essere dato alle stampe perchè il non poterlo toccare è l’unica cosa che mi è, veramente, mancata.

 Luciano Laudadio - 23/12/2012 11:17:00 [ leggi altri commenti di Luciano Laudadio » ]

Gian Maria Turi si diparte dall’inebriante India, nel testo: "mondo di sogno dalla suadente sofficità" per approdare, insieme a Ofira, alla scuola di Michael Gordon, rabbino istrione insegnante di Cabalà in Israele, ed entrambi, per scelta, soggiacciono alle regole che ’santificano’ la vita nel suo fluire.
Intenzione presto delusa per la pochezza dei compagni, per la prevaricazione dell’insegnante e per il fondamentalismo ispirato a devozione diffuso in ogni intorno. Le usanze maschiliste della regola allontanano Ofira rimpianta dall’autore nel ricordo di quando, in India, sorridente riaffermava l’intesa che c’era tra loro e dice: "ci si poteva permettere di non avere più scopi. E cosi anche Ofira si era lasciata avvincere dal torpore che ammalia, aveva messo i sandali nella scarpiera del tempio per dare al sacerdote induista il permesso di segnarle tra gli occhi, sulla fronte, uno sfregio di polvere rossa, come donna sposata, ma a volte di altri colori più cari a specifici dei". Ofira presente quasi in ogni pagina del racconto e componente dello stesso e presenza gentile.
La descrizione della nuova terra, fatta dalla penna sapiente di Turi, ti fa respirare l’arsura della polvere divisa tra i viandanti e le tombe, a volte cenotafi, degli antichi rabbini, visitate con devozione quasi a cercare un’ispirazione più fresca dell’aria intorno. Strana terra di cimiteri con vista panoramica. Strane città con sirene che annunciano i missili sparati da Gaza, generanti cruente ritorsioni. Strano Paese assediato da odi palpabili dove i loro portatori saltano in aria senza preavviso e portano con sé i vicini. Strana vita condotta con sguardi continui alle spalle. Eppure tollerata, moltiplicata e sparpagliata in Kibbutz autosufficienti e armati.
L’atmosfera trasmessa dalle righe dal racconto, non invita e, anzi, trasferisce l’apprensione latente della popolazione, confortata solo dalla tecnologia militare da una parte, e dall’altra alimentata dalla caparbietà suicida di un popolo scacciato dal suo territorio in nome di una promessa fatta 2000 anni or sono da un Dio vendicativo e geloso e intransigente. Promessa che si sarebbe attuata con l’osservanza della dottrina religiosa che la Bibbia indica come impartita da Mosè al popolo d’Israele e che si raccoglie nel Pentateuco, chiamato appunto dagli Ebrei Torah. Dottrina impartita da Dio agli uomini mediante i profeti e, durante la diaspora, dai genitori ai figli, dai saggi agli ignoranti, dai sacerdoti al popolo.
Nel sottofondo di Darshana de Malchut la guerra di religione ancora una volta irriducibile come lo furono quelle descritte nel Deuteronomio: allora Dio indicò di quali popoli fare genocidio e oggi, come allora, in nome dello stesso Dio, Israele si rivolge contro i Palestinesi. Allora zagaglie e spade, oggi carri armati e aerei. Comune denominatore lo sterminio fisico e morale di un popolo. Come non riuscirono i nazisti a sterminare gli ebrei nonostante tutto l’impegno profuso nei campi, così non riusciranno gli ebrei con i Palestinesi. E questa terra contesa continuerà a compromettere l’equilibrio della regione medio - orientale.
Viene da pensare che gli uomini, così bravi a costruire la storia, non imparino dagli errori fatti nel viverla.
E Turi, puntuale, narra del muro suscettibile di produrre l’annessione israeliana di Gerusalemme Est, oltre a parte dei territori occupati della Cisgiordania, e di garantire una segregazione forzata sospingendo verso est le popolazioni arabe stanziate nell’area.
La costruzione del muro in questione, iniziata nel 2003, richiama alla memoria un altro muro eretto a dividere una città, e ormai storia, ma che si ripete insipiente.
Il manufatto è l’ultima provocazione degli israeliani che rifiutano caparbiamente di tenere presente come fu nella miseria e nel disagio che si sviluppò la reazione palestinese che, nel recente passato, si svolse in una colossale sequenza di eventi: Settembre Nero, invasione israeliana del Libano, attentato a Bashir Gemayel, efferata ritorsione di Sabra e Chatila, Prima Intifada, seconda guerra del Libano, provocazione di Ariel Sharon lungo la Spianata delle Moschee, Seconda Intifada, omicidio di Rafik Hariri, Rivoluzione dei Cedri, ascesa di Hezbollah, terza guerra del Libano, Piombo Fuso, allontanamento della Turchia; tutti eventi connessi direttamente o indirettamente alle tensioni Israel – palestinesi.
L’immane tragedia costituita dalla nascita di Israele e dalle caratteristiche che segnarono la sua graduale affermazione internazionale sono tappe storiche di quella che è eufemisticamente definita come “questione palestinese”.
A differenza di ciò che accade oggi in Israele e ovunque si trovino gli entusiasti difensori del sionismo, l’ipocrisia che sta alla base di tal espressione non avrebbe presumibilmente trovato l’approvazione di David Ben Gurion stesso, principale artefice e ideatore della pulizia etnica della Palestina che descrisse la natura intrinseca del colossale problema nei seguenti termini:
“Se fossi un arabo, non firmerei mai la pace con Israele. E’ ovvio: abbiamo preso il loro paese. Ci era stato promesso da Dio, certo, ma perché ciò dovrebbe interessarli? Il nostro Dio non è il loro. E’ vero che siamo originari di Israele, ma è un fatto che risale a duemila anni fa. In che modo può riguardarli? Ci sono stati l’antisemitismo, il nazismo, Hitler, Auschwitz. Ma è stata forse colpa loro? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo preso la loro terra”.

E la visione dell’autore della mitica fine del mondo, prevista dai Maya, che metterebbe fine a tutto il disagio e il dolore, restituendo agli animali il territorio con le strade fessurate dalla forza delle radici di erbe e piante, trionfo della Natura sulle case diroccate sotto un’aria finalmente pura da idrocarburi e polvere.
E la sua commossa trepidazione alla vista del fantasma di Ofira a fianco del leone, e della sensazione conturbante di sentirsi ’attraversato’ da Ofira dopo il ’varco’ del cristallo della gabbia e girarsi e non vederla più e capire di averla ’dentro’ a risvegliare il suo ricordo senziente e l’infiltrazione reciproca dell’acqua come simbolo di amore.
Con la partenza da Israele si chiude il racconto e nell’attesa dell’aereo Turi s’immagina sdraiato sulla terrazza dell’amico Amos Cohen, che l’ha invitato per l’Armageddon, a bere l’ultima birra ghiacciata davanti al mondo che si distrugge. E sorridere dell’infinita vanità del tutto.

Si dice che un’opera d’arte si riconosce per tale quando è capace di trasmettere un’emozione. Darshana de Malchut di emozioni ne trasmette parecchie.
Meriterebbe una veste cartacea per diventare un oggetto da poter toccare.
Da leggere.







 Argou - 06/12/2012 19:40:00 [ leggi altri commenti di Argou » ]

La vita in Israele offre una esperienza unica che riguarda la vita in due stati, quello mondano e quello spirituale. Vivendo in Terra Santa non riesci a non concepire questa sensazione cosi intensa e profonda che ti penetra, ti travolge e ti fa sentire quasi quasi eletto, diverso dagli altri che vivono altrove. Questa sensazione ho provato leggendo questo libro, dall’ inizio fino alla fine questo continuo contrasto tra queste 2 vite, tra il sacro e il profano, tra l’ io e gli altri, tra l’ io e Dio...... Gian Maria, tra le pagine del suo Regno rispecchia questa realtà, questo conflitto e nello stesso tempo questa continua ricerca tra qualcosa che non sai se esiste o no, se è vero o è solo una illusione. Non e facile scrivere queste pagine, le parole diventano trappole, diventano illuminate e il loro uso e complesso perchè e l’ unico mezzo di far uscire questa realtà fuori e qua si vede la bravura dello scrittore. Consiglio a tutti a leggerlo e lasciarsi un po andare tra queste pagine “nobili”.
Grazie

 anna - 18/11/2012 22:57:00 [ leggi altri commenti di anna » ]

ho letto il libro nella notte tutto d’un fiato senza riuscire a staccarmi dal computer. bellissimo ,emozionante ,mi ha aperto porte che non conoscevo

 Franca Alaimo - 03/11/2012 00:35:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Non è facile lasciare un commento ragionevolmente breve a questo testo, così ricco ed intenso, di Gian Maria Turi. Credo anche che la sua complessità sia poco adatta alla lettura sullo schermo di un computer, perché i molti rimandi interni esigerebbero la possibilità, così come si fa con i libri "di carta", di tornare indietro, paragonare, rileggere certi passi, rimeditarli.
Inoltre è un testo che, per fortuna, non sta dentro alcun genere, poiché non è semplicemente un racconto, né un diario, né un resoconto di viaggio, né nient’altro che non sia un itinerario della memoria all’interno del quale la descrizione di paesaggi é anche testimonianza storica; il confronto fra diverse civiltà ricchezza di citazioni da testi filosofici, religiosi, poetici; l’elemento autobiografico riflessione sulle capacità ed i limiti dell’uomo, sull’assurdità degli eventi, sul senso della propria vita e della Vita in sè.
Io ho trovato particolarmente interessanti le riflessioni dell’autore nei confronti della relazione tra Dio e l’uomo, tra Dio e il mondo, tra perfezione e dolore, tra "governo del mondo" e compassione.
Di fatto, la qualità affettiva che domina questo libro è, a mio parere, proprio la tenerezza della compassione nei riguardi di tutte le creature in qualche modo "condannate" a vivere nel caos della quotidinaità terrena. Essa lo conduce solo apparentemente sulla soglia della blasfemia, e dico apparentemente perché, poi, quando parla di certi mistici e di certi santi, ne ammira, anche se "a distanza", la follia e la grazia.
Molto toccante anche la rievocazione della donna Ofira, sua compagna per qualche anno, rimasta dentro le fibre dell’anima come degli umori della carne, nonostante il divorzio e la distanza, in virtù di quel procedere per travasi che per Gian Maria è il lascito di ogni vero incontro. La stessa cosa accade, infatti, anche nei riguardi di altri amici rievocati su queste pagine con adesione e realismo del tutto antiretorico.
L’autore dichiara nella prefazione di avere lavorato per molti anni intorno a questo testo; e si vede! poiché la qualità della scrittura è davvero alta e bellissima.
Personalmente, ho capito qualcosa della personalità di Turi più attraverso questo testo che attraverso le poesie pubblicate in questo stesso sito.
Sono affascinata,e lo sono, anche se non condivido molte cose, ed ovviamente non vale dire che ancora più per questo motivo la fascinazione è autentica.

 Dario Chioli - 22/10/2012 23:15:00 [ leggi altri commenti di Dario Chioli » ]

Caro Gian Maria, ho letto con grande interesse il tuo libro, e come già il tuo precedente "Del Regno" - di cui mi pare una rielaborazione - l’ho trovato ricco di sostanza umana e di spunti di riflessione. Mistero e povertà umana così frammisti, sofferenza e aspettative, apocalisse e memoria, e soprattutto il viaggio di chi ha dimenticato donde è partito e non sa dove arriverà...