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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Commento sul libro

Il libro viene narrato su due piani. La prima parte, nello spazio, ci mostra i rapporti fra la macchina e l’uomo, lascia un vago sapore “à la Clarke”, ma è intelligentemente pensata ed introduce profondi spunti di riflessione soprattutto su cosa rende umani, e cosa fa la differenza fra un sentimento vissuto e sentito e uno semplicemente copiato ricalcando le parole che lo descrivono. Tale schema riflessivo potrebbe anche tranquillamente venire estrapolato dal contesto “fantascientifico” ed applicato al quotidiano, banalmente quotidiano e contemporaneo, se pensiamo a ciò che ci viene spacciato per “reality” ma che di reale non ha nulla, semplicemente ricalca parole usate per descrivere fatti reali, e forse più che un computer che ci strapperà il potere di decidere sul nostro destino, sarà più semplicemente – e subdolamente – un apparecchio televisivo a privarci della nostra umanità, appiccicandocene addosso una d’accatto e decisa da freddi calcoli. La seconda parte, quella della scoperta del modo per fermare il tempo, è narrata un po’ a perdifiato, una corsa in giro per città distanti tra loro per raccogliere indizi, con uno stile che riecheggia un po’ Dan Brown: nei monumenti antichi vi sono sempre elementi misteriosi che sapientemente letti possono rivelare arcani meravigliosi. Probabilmente, riprendendo il discorso precedente, una chiave di lettura dell’opera – opinione personalissima – potrebbe essere di non dimenticare il passato, di continuare a soffermarci sulle opere d’arte che numerose popolano le nostre città piuttosto che dedicarci esclusivamente ai mezzi elettronici, che a lungo andare, ci potrebbero privare di quanto c’è di bello nell’umanità