Il paese discosto
Se m'accogliesse l'incertezza e io stanco
scegliessi rifugio più oscuro,
saprei aspettarti nell'alba:
come il respiro s'adombra e la quiete
protegge le foglie, incartate nel vento.
Lì troverei un pendio scosceso, adagiato
nel bianco, in mezzo ai pineti.
Lontano giace l'albero ai cui piedi fui bambino.
Più lontano ancora, apposte sui monti,
le terre dei vivi e dei morti.
S'intinge nella carne il freddo al mattino.
E s'anche distratto non m'accorgessi,
pur rimarrebbe l'impronta nera d'un sasso.
Non ho da volgere che un solo sospiro
e leggera una brezza m'investe le lebbra.
Sono fresia proclamata alla notte,
rugiada fra le dita del mare.
In fondo al cuore a non cercarti
Se solo avessi la certezza che amarti
poi bastasse. Stringerei i ceppi al recinto,
i respiri incerti, la convinzione della luna.
Come la pioggia quando solca il suolo,
e ammutolisce.
Avverto un temporale nella notte, una brezza
a trascinarmi via.
Non vedo
In un sospiro, qui, si muore.
Circondami gli occhi, che il cuore ancora duole
a ricucire i passi
Restringi quei fermagli. Ma non odiarmi,
come il vento quando ti respinge;
racchiudimi in un corpo senza voce,
raggela le mie vene in questo prato.
Ad amore appartengo.
In un'altra vita, non vederti. In fondo al cuore
e non trovarti. Mille e mille volte ancora.
[ da La misura del silenzio, Davide Cuorvo, Manni Editori ]
