Tours, 24 giugno 1923 – Parigi, 1º luglio 2016 – in memoria
VI
Mi svegliai, ma ero in viaggio,
Il treno aveva corso tutta la notte,
Adesso andava verso grandi nubi
In piedi laggiù, fitte, alba che squarciava
A momenti il laccio della folgore.
Guardavo l’avvento del mondo
Nei cespugli del terrapieno; e ad un tratto
Quell’altro fuoco, sotto un campo
Di pietre e di vigne. Il vento, la pioggia
Spingevano il suo fumo verso il suolo,
Ma una fiamma rossa vi si rialzava,
Prendendo a piene mani il fondo del cielo.
Da quando ardevi, fuoco dei vignaioli?
Chi ti aveva voluto qui e per chi sulla terra?
Dopodiché fece giorno; e il sole
Lanciò da ogni parte le sue migliaia di frecce
Nello scompartimento in cui dei dormienti
La testa dondolava ancora, sul pizzo
Dei cuscini di lana blu. Io non dormivo,
Avevo ancora troppo l’età della speranza,
Dedicavo le mie parole alle montagne basse,
Che vedevo avvicinarsi attraverso i vetri.
VII
Mi ricordo, era un mattino, d’estate,
La finestra era socchiusa, mi avvicinavo,
Vedevo mio padre in fondo al giardino.
Era immobile, guardava
Dove, cosa, non sapevo, fuori da tutto,
Curvo come già era ma rialzando
Lo sguardo verso l’incompiuto o l’impossibile.
Aveva deposto la zappa, la vanga,
L’aria era fresca in quel mattino del mondo,
Ma impenetrabile è la freschezza stessa, e crudele
Il ricordo dei mattini dell’infanzia.
Chi era, chi era stato nella luce,
Non lo sapevo, non so ancora.
Ma lo vedo anche, sul viale,
Che avanza lentamente, tanta fatica
Che appesantisce i suoi gesti d’una volta,
Ripartiva per andare al lavoro, quanto a me
Erravo con alcuni della mia classe
All’inizio del pomeriggio ancora senza durata.
A quel passaggio, visto da lontano,
Siano dedicate le parole che non sanno dire.
(Nella sala da pranzo
Del pomeriggio d’una domenica, è in estate,
Le persiane sono chiuse per ripararsi dal caldo,
La tavola sparecchiata, ha proposto
Le carte poiché non esistono altre immagini
Nella casa natale per ricevere
La domanda del sogno, ma poi esce
E subito il bambino maldestro prende le carte,
Sostituisce a quelle dell’altra mano
Tutte le carte vincenti, poi attende
Febbrilmente, che la partita riprenda, e che quello
Che perdeva vinca, e così gloriosamente
Che vi veda come un segno, e di che nutrire
Non sa, lui bambino, quale speranza.
Dopodiché due strade si separano, e una di esse
Si perde, e quasi subito, e sarà
Comunque l’oblio, l’avido oblio.
Avrò cancellato
Cento volte queste parole ovunque, in versi, in prosa,
Ma non posso
Far sì che non ritornino nella mia parola.)
[ Da Le assi curve (2001), Mondadori, traduzione di Fabio Scotto ]
