MAZINGA E L’UOMO RAGNO
(D’un carnevale antico, e nuovo)
Passare la domenica allo specchio,
estrarre la sequenza delle rughe
per farne perno, fingersi più vecchio,
rimpiangere il passato fra le fughe
delle piastrelle sorde ad ogni passo.
Così si sfoglia l’album di famiglia
convinti che ci possa dar la sveglia
con rapidi rintocchi di memoria,
rivedi poi la maschera di Zorro,
lo scudo di Mazinga, l’uomo ragno
gettare la sua tela in bianco e nero
sul volto imbalsamato di chi resta
e in controluce sai, si fa straniero.
E’ vita trattenuta sulle labbra,
riavvolta sulla spola il lunedì
nella promessa nuova del mattino,
resistere alle code in tangenziale,
fuggire il cannocchiale del vicino,
indovinare il titolo al giornale
espedienti tutti, e ali di fortuna,
sopravvivenza spiccia, da manuale.
Il cellulare piatto sotto petto,
la giacca abbottonata, la cravatta
fanno scordar l’azzurro del costume,
la chiazza di colore, dozzinale.
E’ tempo d’oggi, d’attizzare il lume
del quotidiano giogo al carnevale.
PREGHIERA PER L’ANNO NUOVO
Le torme anima od ombra che s’aggirano
per accecanti bolge in questo spazio
ne rovistano il dorso cavo d’aria
truppe devote, a saldo o d’occasione
rincorrono il festone d’amuleti
sottratti al chiaro sporgersi degli occhi
s’incuneano agli scheletri di grucce
predate con la furia degli sguardi
s’ingannano alla smania delle dita
perplesse al vuoto tocco delle nocche.
Sgomitanti negli angoli riposti
a cardini di luce più sonora
che squillino prodigi a tersi vetri
rincasano fagotti d’altrui spoglie
o un asso smanicato sotto banco
strappati a denti, a colpi di stiletto
li posano alla quiete di credenze
cassetti madie scatole ed armadi
catalogo dei giorni da scontare
a prossima scadenza indifferibile.
Avvinta nella nuvola d’incenso
dei re veggenti assurti alla tua grotta
Cuna reduce da remoti secoli
d’un fiato limpido spazzane le orme,
Neonato prediletto alla cometa
confondile in un turbine di cenere,
Streghetta di Gennaio, fanne polvere.
IL SENSO DELLA NEVE
L’inverno è l’indugiare del pensiero
il perdersi nel vuoto delle stanze
fuggendo l’aria succube nel gelo
raccogliere le gocce della brina
stillarne fiato a pelo delle labbra
e reggere al tranello del già detto
all’esile lusinga del cantabile:
donzelletta passero assiolo, questa
bella d’erbe famiglia e d’animali
nonna Speranza e ogni caro poetico
vecchiume di lune e favole belle
il pio bove, i cipressi del Carducci.
Altro il timbro degno del nostro tempo
col pollice alle nocche un Vanni Fucci
che uncina, che flagella, che dà strazio
Pluto, Minòs ch’avvinghia alla sua coda
Flegiàs, Semiramìs lussurïosa
e serve una parola rattrappita
potata come un pesco di febbraio
quando sferza le guance tramontana.
Serve un torsolo minimo di voce
senza ravvedimenti, mediazione
stanar l’arpeggio nello sciabordio
delle stoviglie, frugare le pieghe
remote della polvere, scoprire
la chiave del durare in ciò che è breve
lo spazio dove resta illeso il bianco
allo svanire certo della neve.
Poesie quinte classificate nella prima edizione (2015) del Premio Letterario Nazionale indetto da LaRecherche.it: Il Giardino di Babuk - Proust en Italie
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