Il tuo telefono
è diventato il mio talismano;
eredità di affetti
tramandata nelle cose.
Lo guardo, ci appoggio l’orecchio
per credere che ci sia
dentro la tua voce,
ancora incastrata tra le valvole.
Silenzio. Nessun miracolo.
Riattacco. Squilla il telefono.
***
Rumore bianco
Trema alla soglia della bocca
il fiato prima di farsi parola.
Moto minimo del corpo,
sussulto biologico
in attesa di consegnarsi
al mondo nella lingua.
Rumore bianco. Nevica intanto
e la neve tiene memoria dei passi.
Ora nessuno è più in salvo,
ora non possiamo nasconderci.
***
Gli scricchiolii della sedia
deserta nell’angolo in attesa.
Il dialogo dei termosifoni spenti
nella calura d’agosto.
Custodiscono il ricordo, le cose,
di atti trattenuti nel fondo della materia.
La verità delle giunture e degli spigoli,
vibrante sotto la scorza ruvida,
nell’assoluta calma del mondo circostante.
***
Non so più se tempo o spazio
mi separano da quei giorni.
La campana ha decretato l’ora implacabile
in cui cammini abbagliata dalla luce
e per sempre dentro quei lampi.
L’ora in cui ti vedo di spalle
e non so se il ricordo o il passo
mi riportano dove stavi - tra le nebbie del tè
salite dalla tazza e altrettanto effimera -
in un altro posto, un’altra ora, in un’altra circostanza.
***
Kintsugi
Kintsugi chiamano i giapponesi
la tecnica di riparare con l’oro
il vasellame crepato. Arte minuziosa
e, insieme, preziosa teleologia del dolore.
Ma le vene celesti sui polsi
che si aggregano e disperdono
in ramificazioni casuali
dicono altro;
di certo che l’uomo non può
rimettersi insieme applicando un metallo.
Lo scandalo di vivere è questo:
rattoppare, mettere punti.
Andare in pezzi senza un collante.
***
Ritorni e slanci
Gli stratagemmi e le astuzie
per spiare, braccare le tracce
dell’assenza spiazzate di colpo
alla fine dell’autunno e dell’alfabeto,
dove si spengono i roghi del nome.
Il sentiero di capre che ho percorso
Mi ha condotto indietro alla mia porta.
Alla fine del rigo. All’inizio del gioco.
[ da Fehlen, Matteo Galluzzo, Giuliano Ladolfi Editore ]