Ma nulla
di ciò che siamo
si mostra in superficie.
Nulla
ci riporta la mente,
pure se la pieghi
in se stessa, se la tendi
fino all’inverosimile,
a scandagliare
il nucleo più segreto
della propria sostanza,
a indagare,
per i vaporosi fondali
del sogno,
l’intrinseca realtà:
uno schermo
la trattiene
e ci lascia
celati a noi stessi.
Solo di tanto in tanto
− contraddicendo
la dura condizione −
un cretto
s'apre qua e là,
a intervalli:
ne sbucano
neri spessori,
cubitali caratteri
di un primordiale alfabeto,
oscuro cifrario
della nostra essenza.
*
È qui,
tra blocchi
di attediati palazzi,
per vie trafelate
d’ansia, più impetuoso
che altrove il vento,
se giunge da Nord
e s'abbatte
a colpi di frusta
tutt'intorno,
in uno strazio
d’imposte sbattute
e vasi franti,
a sfogare così
la collera propria
e quella del dio
che ce lo scaglia contro.
Sebbene previsto,
annunciato
da ogni bollettino
del tempo,
è un soprassalto
il suo accadimento
che ferma il respiro.
Ma tu,
aspro avversario
del dio che lo governa,
catturane più che puoi;
volgi altrove,
a una cima arida
di roccia,
quel delirio dell’aria,
trattienilo
in una morbida vela,
materia palpitante,
sonoro vessillo del cielo.
*
Può darsi
che il vero sia
nello spazio vuoto
tra segno e segno,
nel tempo muto
che attrae
e smorza in sé
tutte le vibrazioni
tra suono e suono.
Può darsi
che sia
nel punto in cui
scompare
ogni riferimento
tangibile di noi,
dove s'interrompe
il filo sommesso
del nostro parlare.
È possibile
che sia
là dove sconfina
dalle cose la materia,
che sia nell'abisso
in cui dilaga,
fuggendo
verso una stasi
eterna di luce.
[ da Ma da un presagio d'ali, Donatella Giancaspero, La Vita Felice ]