LaRecherche.it
Scrivi un commento
al testo di Andrea Piccinelli
|
|||||||||
Il vecchio aquilone ha assaggiato i sapori del pozzo. Silenzio. Il re di picche è tornato con le stigmate di mille feretri in ginocchio – vuole ascoltare il morso della quiete. Ha le gote spente ed il passo celere. Sono tutti morti – protetti dall’Infinito. Bertran de Born – vestito di bianco – ali da pescatore, ghigno di sordido mangiabudella, sputa catrame – i gomiti sul tavolo – con aria di chi ha visto non vedendo niente. Dove è caduto l’ufficiale con le mani in tasca – sorriso ammuffito stile anni Venti – un vomito di violenza e di polvere da sparo cancella l’erba piovuta sul sofà come minestre di vetro candido. Milioni di uomini-insetti attendono il discorso a reti unificate per affogare l’ultimo bicchiere di birra in un’abbuffata di chimica a brandelli. Alla Somme i pastrani odoravano di lavanda. Gloria e orgoglio si impelagarono nei meandri di buie gallerie – battesimi d’iprite. Gli occhi così tragici e insicuri avevano l’impassibilità del fango. Per chi saranno i baci al mattino – le palle di neve – le foglie morte – le bottiglie scolate – le notturne follie? Prima di rincorrere il crepuscolo supremo con voce da villano pronunciò il De Profundis per i reduci dell’infinita battaglia. Le mangrovie vomitavano Napalm. Benvenuti nel Paese della morte in note silenziose. Armstrong conficcò bene la sua croce su un sogno di amianto mentre riflettori bianchi illuminavano la bandiera. Quanti cuori sono stati corrotti da quei vili panni di seduttore prima che un’inalazione di vita bruciata lasciasse il corpo disteso – miliardi di formiche mangiacarneatradimento – e la testa in alto come un ostensorio benedetta dal fuoco di mille archibugieri. Era un cristiano ben addottrinato! Prima dell’impatto risolutore la mattina era calma e limpida – il quadrimotore luccicava nell’aria estiva. Fat Man impiegò meno di un istante e il sole piovve sulla terra in tempeste di raggi gamma. 3000 – 5000 – 10000 gradi centigradi! Né mirti né camelie né ciliegi selvatici. Mai più colline in fiore. Lembi di pelle si staccarono dalla carne – vite umane disgregate. Sotto le insegne regali che lo videro ricucire le ferite nel bosco tra aride sequoie e abeti imprigionati dal verde una languida pioggerellina schiariva gli ambigui ricordi dell’anima. Il vento ha la forma di un grosso bisonte. Le ossa dei crani sono cocci di vita morente distribuiti dentro sacche ben nascoste. La notte è finita in un mazzo di carte. Dentro allo scaffale cosparso di fogli decrepiti in disfacimento Honoré de Balzac – con aria da fanciullo pestifero – ammira stupefatto il tintinnante boudoir seduto alle mie spalle. |
|