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La resilienza dell’artista nella «desertificazione»

Argomento: Letteratura

di Ivan Pozzoni
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Pubblicato il 04/07/2024 13:49:34

EDITORIALE

La resilienza del nomade artista nella «desertificazione» del mondo tardo-moderno

(Ivan Pozzoni)

 

     La «desertificazione» del mondo tardo-moderno, cagionata dalla vittoria assoluta di nuove forme di sfrenato cyber-capitalismo interessate a a] annientamento dei vecchi modelli di comunità e dialegesthai [L’Arrivista, I/1], b] iper-trofizzazione della dimensione narcisistica del consumatore [L’Arrivista, I/2], c] sponsorizzazione di modalità esistenziali volte alla movida e al divertimento o al disinteresse verso ciascuna attività di smaltimento di rifiuti umani [L’Arrivista, I/3], d] incoraggiamento dell’instaurazione di un silenzio definitivo contro «voci» scomode [L’Arrivista, II/1], e] umiliazione di ogni concezione chorastica della vita [L’Arrivista, II/2] e, infine, f] trasformazione borsistica della nozione stessa di «valore» [Le bonhomme], decostruisce un mondo solido in un anti-mondo di acqua e sabbia, costringendo nuovi nomadi ad arrancare sulle sabbie della «liquefazione».

 

Chi sono i nuovi nomadi? C’è una categoria, cosciente, di nomadi managers (I), rafforzata dall’isolamento dell’assenza di «legami» (sostituiti dal binomio connessioni / disconnessioni) o dall’attitudine, incontrastata, a muoversi con la celerità del movimento silenzioso, interbancario, delle linee telematiche del worldwideweb, con zaini vuoti, e favorita dalla volatilità dei confini internazionali e dalla crisi dello Stato moderno, che, col sostegno di cyber-capitali fantasma, concorda, da fortilizi inavvicinabili ubicati in no-where zone, ristrutturazioni bancarie, delocalizzazioni aziendali, fluttuazioni dei mercati e fallimenti statali; c’è una seconda categoria, incosciente, vittimizzata, di nomadi turisti (II), i rimanenti miliardi di esseri umani, costretti ad assoggettarsi ai disastrosi effetti della «desertificazione», vincolati a territori delocalizzati, esclusi dall’energia fraterna di una costruttiva identità comunitaria, lobotomizzati dall’intervento chirurgico costante dei mass-media, trasformati in immagini, frame, senza «voci», categoria che, lontana da ogni fonte di concreta «decisione», subisce fame, disoccupazione, crisi di ruoli sociali, conflitti inter-etnici, migrazioni, schiavitù, rottamazione. Dalla seconda categoria di nomadi turisti emerge, inattesa, dal fango del binomio acqua / sabbia, la figura dell’artista, auto-cosciente dell’esilio e della deterritorializzazione, interessata ad assaltare, mediante raffinate strategie di «guerrilla»artistica tardo-moderna, i fortilizi dei nomadi managers (I) e a frantumare le catene dei nomadi turisti (II), e idonea ad istituire una terza categoria, del nomade artista (III), orientata alla missione dell’«acciòn poética», del risveglio delle coscienze intorpidite e massificate, della resistenza contro ogni forma di dominanza e ad edificare, nel o fuori dal «deserto», cattedrali di comunità.

 

Contro i nuovi modelli volatili di cyber-capitalismo fantasma e in difesa di ogni sua vittima collaterale sorge, dal fango, l’etica missionaria della resilienza artistica, infiammata ad insegnare a tutti a navigare; in un «deserto», fatto di acqua e sabbia, convivono tre categorie, ontologicamente differenziate e difficilmente comunicanti, di nomadi, managers (I), turisti (II) e artisti (III): l’ufficio di consolidare mondi, da anti-mondi, distribuendo resilienza, è affidato esclusivamente all’artista, e al fare «arte», come unico rimedio contro il morir di sete in un deserto d’acqua.

 

Ivan Pozzoni 

[L'Arrivista, n.3/2012]

 

 


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