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Raccolta di saggi di Ivan Pozzoni
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Letteratura

La resilienza dell’artista nella «desertificazione»

EDITORIALE

La resilienza del nomade artista nella «desertificazione» del mondo tardo-moderno

(Ivan Pozzoni)

 

     La «desertificazione» del mondo tardo-moderno, cagionata dalla vittoria assoluta di nuove forme di sfrenato cyber-capitalismo interessate a a] annientamento dei vecchi modelli di comunità e dialegesthai [L’Arrivista, I/1], b] iper-trofizzazione della dimensione narcisistica del consumatore [L’Arrivista, I/2], c] sponsorizzazione di modalità esistenziali volte alla movida e al divertimento o al disinteresse verso ciascuna attività di smaltimento di rifiuti umani [L’Arrivista, I/3], d] incoraggiamento dell’instaurazione di un silenzio definitivo contro «voci» scomode [L’Arrivista, II/1], e] umiliazione di ogni concezione chorastica della vita [L’Arrivista, II/2] e, infine, f] trasformazione borsistica della nozione stessa di «valore» [Le bonhomme], decostruisce un mondo solido in un anti-mondo di acqua e sabbia, costringendo nuovi nomadi ad arrancare sulle sabbie della «liquefazione».

 

Chi sono i nuovi nomadi? C’è una categoria, cosciente, di nomadi managers (I), rafforzata dall’isolamento dell’assenza di «legami» (sostituiti dal binomio connessioni / disconnessioni) o dall’attitudine, incontrastata, a muoversi con la celerità del movimento silenzioso, interbancario, delle linee telematiche del worldwideweb, con zaini vuoti, e favorita dalla volatilità dei confini internazionali e dalla crisi dello Stato moderno, che, col sostegno di cyber-capitali fantasma, concorda, da fortilizi inavvicinabili ubicati in no-where zone, ristrutturazioni bancarie, delocalizzazioni aziendali, fluttuazioni dei mercati e fallimenti statali; c’è una seconda categoria, incosciente, vittimizzata, di nomadi turisti (II), i rimanenti miliardi di esseri umani, costretti ad assoggettarsi ai disastrosi effetti della «desertificazione», vincolati a territori delocalizzati, esclusi dall’energia fraterna di una costruttiva identità comunitaria, lobotomizzati dall’intervento chirurgico costante dei mass-media, trasformati in immagini, frame, senza «voci», categoria che, lontana da ogni fonte di concreta «decisione», subisce fame, disoccupazione, crisi di ruoli sociali, conflitti inter-etnici, migrazioni, schiavitù, rottamazione. Dalla seconda categoria di nomadi turisti emerge, inattesa, dal fango del binomio acqua / sabbia, la figura dell’artista, auto-cosciente dell’esilio e della deterritorializzazione, interessata ad assaltare, mediante raffinate strategie di «guerrilla»artistica tardo-moderna, i fortilizi dei nomadi managers (I) e a frantumare le catene dei nomadi turisti (II), e idonea ad istituire una terza categoria, del nomade artista (III), orientata alla missione dell’«acciòn poética», del risveglio delle coscienze intorpidite e massificate, della resistenza contro ogni forma di dominanza e ad edificare, nel o fuori dal «deserto», cattedrali di comunità.

 

Contro i nuovi modelli volatili di cyber-capitalismo fantasma e in difesa di ogni sua vittima collaterale sorge, dal fango, l’etica missionaria della resilienza artistica, infiammata ad insegnare a tutti a navigare; in un «deserto», fatto di acqua e sabbia, convivono tre categorie, ontologicamente differenziate e difficilmente comunicanti, di nomadi, managers (I), turisti (II) e artisti (III): l’ufficio di consolidare mondi, da anti-mondi, distribuendo resilienza, è affidato esclusivamente all’artista, e al fare «arte», come unico rimedio contro il morir di sete in un deserto d’acqua.

 

Ivan Pozzoni 

[L'Arrivista, n.3/2012]

 

 

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- Letteratura

La nave dei folli naviga su cattive acque

EDITORIALE

La nave dei folli naviga su cattive acque

(Ivan Pozzoni)

 

     La strada dell’iniziativa culturale Limina mentis, iniziata dal riconoscimento, con l’antologia Retroguardie [2009], dello status di esercito in «[…] ritirata verso casa […]» all’arte contemporanea, attraverso l’affermazione dell’urgenza di riedificare una nuova nozione di comunità, contenuta nell’antologia Demokratika [2010], lo svisceramento della tematica civile della «marginalità» dell’arte, nell’antologia Tutti tranne te! [2010], l’ammissione dell’urgenza di un atto di forza, o di netta cesura, dell’uomo / artista, introdotta con Triumvirati [2010], l’esaltazione dell’ideale della frammentazione culturale, definito con l’antologia Frammenti ossei [2011], il desiderio di restaurare i «[…] mondi di carta […]» delle «voci» dei morti, nelle serie di volumi collettivi dedicati alla storia della cultura antica e moderna, o l’esperienza redazionale, comunitarizzante e militante, anti-sistema de L’arrivista, sbocca nelle conclusioni, mai definitive, della monumentale antologia seriale Labyrinthi. La zattera Limina mentis, come nuova forma di resistenza etica / estetica interessata a combattere vecchie e nuove forme di dominanza, naviga, come la Nave dei folli di Bosch, di città in città, di sanatorio in sanatorio, sulle distese marine della «liquidità» post-moderna, muovendosi nei limiti di una weltanschauung artistica totalmente democratica e attenta a sollecitare, nella vita di ogni uomo / artista, la fabbricazione di sistemi di valore idonei a rifondare un dialegesthai comune, nel momento in cui ogni occasione di dialegesthai sia caduta vittima dell’anti-etica concentrazionista di Auschwitz e dell’ideologia funebre della morte delle comunità tradizionali causata da shock anafilattico (su attacco di sciami anti-comunitari); sortendo da una visione della cultura come «costellazione di frammenti», ogni documento / manifesto di Limina mentis si reinventa manuale di astrofisica, orientato a disvelare ogni tentativo d’essere «voce» nell’accecante orizzonte artistico attuale, senza emarginazioni aristocratiche, o manuale d’archeologia, indirizzato a dissotterrare istantanei messaggi d’esistenza, come se fossero stati affidati a graffiti sui muri dei bordelli di Pompei o a commenti artigianali sui bordi dei vasi etruschi.

 

Perché il fatto che tutti scrivano, «andando a capo» o meno, è da considerarsi una cosa negativa? In un mondo senza fondamenta, delegittimata ogni forma di etica, non deve essere lo scrivere una delle àncore di salvezza della democrazia in crisi? Connesso con l’atto anteriore del teorizzare, lo scrivere, accessibile a tutti, stimolando la poiesis (fantasia – inventiva – costruttività) è uno dei modi di riedificare l’idea stessa di comunità. Lontana dall’essere museo, o collezione di quadri d’autore di fama internazionale, ogni iniziativa culturale deve essere incitamento al teorizzare e allo scrivere di tutti, senza concessione alcuna a formalismi elitaristi, nella certezza, tutta cinica, dell’inferiorità di ogni tipo di forma ai contenuti del narrare. Non rischiamo, con discorsi elitaristi, di assumere il ruolo del Vecchio Oligarca della Costituzione degli ateniesi che, in piena guerra del Peloponneso, ricordava con nostalgia i tratti aristocratici dei bei vecchi momenti andati, con l’unico fine di «[…] abbattere la democrazia in Atene […]»?

 

Svincolata da categorie critiche emarginanti, Limina mentis è un’iniziativa aperta ad ogni modalità stilistica, ad ogni esperienza culturale, ad ogni «voce», e, inoltre, forte di una concezione chorastica della cultura: cultura è lògos, area di connessione tra polis e orde barbare, di dialegesthai tra mura e monti, è confusione (cum-fùndere) tra polifonie cacofoniche; nelle abituali incertezze della «vita liquida» si affermano modelli antologici, e storiografici, post-moderni, vicini all’intuizione borgesiana dell’estrema difficoltà di ogni definizione critica («[…] gli animali si dividono in (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche […]»). Limina mentis ha inteso creare un habitat rassicurante, libero dal rumore di fondo della cronaca e della necro-economia, in cui ciascuna «voce», messa a riparo dalle smanie classificatorie della critica, abbia il diritto di cantare, costruendo weltanschauungen etico / estetiche, nell’ostinato tentativo di dare un senso, vivente, alla vuota nozione moderna di «democrazia».

 

Ivan Pozzoni

[L'Arrivista, n.2/2012]

 

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- Letteratura

La sconfitta di ogni silenzio come forma di resistenza

EDITORIALE

La sconfitta di ogni silenzio definitivo come forma di resistenza all’inesistenza

(Ivan Pozzoni)

 

      Già difficile da motivare escatologicamente, la morte non deve mai assumere i tratti di una condanna definitiva al silenzio.

 

Dove il rumore di fondo si scontri con un silenzio definitivo, uscendone amplificato, il brusio del vuoto chiacchiericcio heideggeriano domina la scena dei teatri della società, trasformando i vari attori, noi tutti, in burattini muti e senza radici, distanti da ogni nostalgia di boschi d’alberi e mossi, unicamente, dai fili tirati da autorità, non autorevoli, disimpegnate e senza scrupoli. Come non deve fare a meno dell’idea stessa di comunità interindividuale, in un post-moderno orientato a diluire la nozione di comunione nell’alveo di strutture fluide come «sciami» o «comunità guardaroba» ciascun individuo ha il dovere di combattere, in vista della realizzazione di una sincera «comunione coi morti», liberando i morti dal silenzio definitivo e svincolando se stesso dalle catene dello sradicamento; ciascun individuo ha il dovere di concretarsi ricettore, neuro-trasmettitore, attore di memoria, registrando e veicolando «voci» di morti, sconfiggendo morte fisica dei morti e morte civile dei vivi.

 

La sconfitta di ogni silenzio definitivo, di vivi o morti, avanza il cammino dell’umanità sulla strada dell’immortalità, rendendoci liberi dalla morte e nella vita; ogni «comunione coi morti» è forma di resistenza:

 

BALLATA DEGLI INESISTENTI

 

Potrei tentare di narrarvi

al suono della mia tastiera

come Baasima morì di lebbra

senza mai raggiunger la frontiera,

o come l’armeno Méroujan

sotto uno sventolio di mezzelune

sentì svanire l’aria dai suoi occhi

buttati via in una fossa comune;

Charlee, che travasata a Brisbane

in cerca di un mondo migliore,

concluse il viaggio

dentro le fauci di un alligatore,

o Aurélio, chiamato Bruna

che dopo otto mesi d’ospedale

morì di aidiesse contratto

a battere su una tangenziale.

 

Nessuno si ricorderà di Yehoudith,

delle sue labbra rosse carminio,

finite a bere veleni tossici

in un campo di sterminio,

o di Eerikki, dalla barba rossa, che,

sconfitto dalla smania di navigare,

dorme, raschiato dalle orche,

sui fondi d’un qualche mare;

la testa di Sandrine, duchessa

di Borgogna, udì rumor di festa

cadendo dalla lama d’una ghigliottina

in una cesta,

e Daisuke, moderno samurai,

del motore d’un aereo contava i giri

trasumanando un gesto da kamikaze

in harakiri.

 

Potrei starvi a raccontare

nell’afa d’una notte d’estate

come Iris ed Anthia, bimbe spartane

dacché deformi furono abbandonate,

o come Deendayal schiattò di stenti

imputabile dell’unico reato

di vivere una vita da intoccabile

senza mai essersi ribellato;

Ituha, ragazza indiana,

che, minacciata da un coltello,

finì a danzare con Manitou

nelle anticamere di un bordello,

e Luther, nato nel Lancashire,

che, liberato dal mestiere d’accattone,

fu messo a morire da sua maestà britannica

nelle miniere di carbone.

 

Chi si ricorderà di Itzayana,

e della sua famiglia massacrata

in un villaggio ai margini del Messico

dall’esercito di Carranza in ritirata,

e chi di Idris, africano ribelle,

tramortito dallo shock e dalle ustioni

mentre, indomito al dominio coloniale,

cercava di rubare un camion di munizioni;

Shahdi, volò alta nel cielo

sulle aste della verde rivoluzione,

atterrando a Teheran, le ali dilaniate

da un colpo di cannone,

e Tikhomir, muratore ceceno,

che rovinò tra i volti indifferenti

a terra dal tetto del Mausoleo

di Lenin, senza commenti.

 

Questi miei oggetti di racconto

fratti a frammenti di inesistenza

trasmettano suoni distanti

di resistenza.

 

Ivan Pozzoni 

[L'Arrivista, n.1/2012]

 

 

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- Letteratura

La tristezza come resistenza contro ogni destino da rifiuto

EDITORIALE

La tristezza metodologica come forma di resistenza contro ogni destino da rifiuto umano

(Ivan Pozzoni)

 

     Ciascuna società nasconde una distintiva, caratteristica, cartografia dell’inferno, in cui si dibattono, tra atroci dolori esistenziali, tutti i rifiuti, i vari scarti, della società medesima, cioè i «caduti sul lavoro», i «morti, o reperti archeologici», le «vittime sociali collaterali», «eroi, e sconfitti».

 

L’odierna società dei consumi, nella sua distintiva cartografia, colloca il suo centro an-etico in un’esistenza votata al consumo, identificato col conformarsi alle regole di una vita trendy, dotato di un efficiente sistema di smaltimento dei rifiuti umani, non idonei ad adattarsi ai dettami di tale vita, e orientato a trascinare i non-idonei, i non-adatti, dal centro stesso ai margini della società, in un vortice esistenziale di condanna al non-ritorno; nell’odierna società dei consumi, attenta a massimizzare i ricavi emotivi individuali e a minimizzare i costi di gestione sociale, i costi eccessivi scaturenti dal mantenimento di meccanismi elaborati di organizzazione del controllo / dominanza sull’essere umano (simili al Panopticon di benthamiana, o focaultiana, memoria) sono abbattuti sostituendo all’organizzazione del controllo forme di smaltimento immediato dei disadatti. La vita trendy, centro an-etico, e anestetico, di una società dei consumi in cui o si è consumatori o si è consumati, consiste nell’esaltazione accentuata del successo (danaro; carriera; bellezza), nella critica crudele ai fallimenti individuali (miseria; mancanza di lavoro; bruttezza), nella realizzazione di un’etica narcisistica, egoistica, menefreghista, senza interessi comunitari, cioè nella valorizzazione di modalità nichilistiche d’esistenza; chi, vittima dei canoni inarrivabili di una vita trendy rea di innescare un’incessante corsa all’ottimizzazione di sé (fitness), non riesca a sottrarsi all’etichetta del fallimento, o cade nella banalità d’una esistenza inautentica (vuoto chiacchiericcio heideggeriano) o è martirizzato dal dolore, trafitto da ansia, stress, frustrazione, divenendo, senza nessuna speranza di risanamento, materiale di scarto indifeso davanti ai suddetti meccanismi di «marginalizzazione» e smaltimento. Snaturata da una sorta di innaturale sindrome di Stoccolma e accompagnata dallo smarrimento di senso della nozione stessa di comunità, ogni resistenza individuale allo smaltimento è frantumata; e, inoltre, la fluidità del Post-moderno rende accessibile a tutti, in ogni momento della vita, il baratro del rischio di una inattesa rottamazione, nel caso in cui si diventi in-adatti ai dettami della vita trendy. La fluidificazione dell’esistenza rende ciascuno di noi vulnerabile al rischio della «marginalizzazione».

 

Come reagire, senza arrendersi, alla dittatura del consumismo? L’uomo di cultura, contaminato dalla natura marginale del disadattamento, deve farsi terrorista contro modelli di reificazione e sfruttamento dell’umanità, reagendo all’ontologia, nichilista ed annichilente, resa attraente dalla moderna maschera del divertimento ad ogni costo, della vita trendy, con un deciso, ed energico, richiamo ad un’etica della tristezza, in uno dei diversi significati etimologici del termine (tèrere), intesa come metodologia di resistenza (come Bauman intende il «pessimismo» jonasiano); etica della tristezza è abbandonarsi alla sconfitta dell’orrore altrui, dedizione continua alla ricerca della salvezza dell’altro, in situazione di rottura d’ogni logica da «dilemma del prigioniero», di vittoria su ogni manifestazione di mentalità economica. Diviene onere morale irrefutabile dell’uomo di cultura continuare a intrattenere relazioni di condivisione emotiva coi c.d. materiali di scarto, rifiuti umani, e introdurre azioni di rivolta contro i valori di «mostri» (élites nomadi inafferrabili) e vita trendy, somministrando, in dosi adatte alla resistenza sua e altrui, il farmakon della serenità esistenziale mediante moderate inoculazioni dell’antidoto del dolore e della sofferenza, in modo da mitridatizzare ciascun essere umano a destini di marginalità e smaltimento, e evitando, così, a sé e ad altri, irrimediabili assassinii morali.

 

 

Ivan Pozzoni

[L'Arrivista, n.3/2011]

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- Letteratura

L’a-trofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista

EDITORIALE

L’urgenza d’una a-trofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista

(Ivan Pozzoni)

 

 

     Radicandosi sin dalla modernità ottocentesca sull’identificazione romantica tra arte ed io artistico (lirismo artistico) e nutrita, in maniera bulimica, con l’oltre-moderno, dall’incontro con la società dei consumi, la dimensione del narcisismo è venuta ad assumere, nell’odierno momento storico, ruolo centrale nell’attività di ogni artista.

 

La nozione stessa dell’essere auctor, autore o, similmente, artista, liberandosi da ogni senso etimologico di «accrescimento» socio-culturale, al di fuori di ogni rilettura comunitaria, con modernità e oltre-modernità si rinnova nei contenuti, venendosi a caratterizzare come réclamizzazione dell’io (modernità lirica) o «accrescimento» reclamistico dell’io ad effetto reiterato / immediato (oltre-modernità consumistica), fino ad esaurimento controllato (con correlato celere riciclaggio su nuovi orizzonti di consumazione); l’incidenza delle dinamiche del mercato e dello show-business su tale nozione è massima fonte di nutrimento del narcisismo dell’artista, incanalando ciascuna forma d’arte verso réclame (mercato) e culto dell’immagine (show-business), rafforzando deleteri meccanismi di massa idonei a riconvertire, nelle menti e nei desideri di tutti, i nostri modesti scrittoi in esclusive cattedre di baroni universitari, in amboni di vescovi, in scrivanie di amministratori aziendali, e trasformando ogni nostra iniziativa artistica in ribalta teatrale di consumati attori, consumatori di readingshappenings, sponsorizzazioni, eventi mediatici, concorsi letterari o poetry slams. Diviene urgente: a] neutralizzare ogni nefasta incidenza di réclame (mercato) e culto dell’immagine (show-business) sull’attività dell’artista e b] riattivare automatismi di a-trofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista sia discutendo, insieme, nuovi modi di organizzazione dell’identità artistica, contro il dominio del mercato, sia incoraggiando l’avviamento di forme innovative di esaltazione dell’a-nonimato artistico, contro il dilagare dello show-business. Per introdurre nuove modalità di organizzazione dell’identità artistica, come reazione al dominio del mercato, occorre coltivare una visione non-liberista dell’iniziativa artistica, rifugiandosi, ad esempio, nel rifiuto dell’ideologia antagonistica dei concorsi letterari («concorrenza» senza collaborazione), nella ricusazione della valenza agonistica dell’arte (slams), nell’astensione mirata da ogni sponsorizzazione auto-referenziale; ai fini di diffondere forme di esaltazione dell’a-nonimato artistico, in veste di ribellione nei confronti della c.d. «spettacolarizzazione» dell’arte, serve iniziare a sostenere, ad esempio, una realizzazione sistematica di antologie a-nonime, intese come graffiti sui muri dei bordelli di Pompei, una decisa rinunzia all’egosurfing artistico (culto mediatico dell’ego), e un netto rifiuto dell’etica consumistica dell’evento / happening.

 

La strada dell’a-trofizzazione della dimensione narcisistica dell’artista inizia dallo snodo del riconoscimento dell’urgenza di coordinare iniziative artistiche collettive, solidali, ed a-nonime, connesse al correttivo dell’epigraficità propria dell’arte aedica, o trobadorica, slegata a qualsiasi riferimento al nome dell’autore, ai fini della realizzazione di una concreta ed innovativa comunità d’arte.

 

Ivan Pozzoni

[L'arrivista, n.2/2011]

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- Letteratura

Il dialegesthai come fondamento di democrazia

EDITORIALE

Il dialegesthai come fondamento di democrazia: valutazione, valore e decisione

(Ivan Pozzoni)

 

 

   Che necessità ha la cultura italiana attuale dell’ennesima nuova rivista? Nessuna! Che necessità ha l’ennesima nuova rivista dell’attuale cultura italiana? Nessuna! L’arrivista nasce unicamente dall’interesse ad incrementare un fitto dialegesthai tra studiosi, artisti ed esseri umani, indirizzato a creare nuovo valore.

 

In un mondo come il nostro, attratto, nel suo baricentro, dalla calamita / calamità del riduzionismo economico (valore = denaro), non è ozioso tentar di introdurre una clamorosa ri-definizione del termine «valore», riconducendolo all’ambito della morale e dell’arte; riteniamo necessario, ai fini dell’evoluzione della nostra democrazia malata in reali comunità morali ed artistiche, sostituire l’identità valore = bene e valore = bellezza, nelle forme del trinomio valore = bene = bellezza, all’attuale riduzione valore = denaro, mirando nuovamente alla rifondazione di un’etica e di un’estetica, successivamente alle irrefutabili esternazioni della loro dichiarazione di morte e alla cd. crisi della modernità. Consci dell’esistenza di un nesso stretto tra valutazione e democrazia, instradandoci sul cammino dei valori, ci incamminiamo senza esitazione sulla strada di una nuova democrazia, in cui ogni uomo abbia il diritto / dovere di decidere, sulle roventi tematiche dell’esistenza, all’ombra rassicurante di sistemi di valore costruiti con massima autonomia; benché non dimentichi dell’esser schiacciato dell’uomo – novello asino di Buridano- tra aneliti di libertà e desideri di sicurezza o della scarsa incisività di costui nel determinare individualmente il corso della storia, non ci arrendiamo alla solitudine dell’individuo oltre-moderno, e, non smettendo di immaginare la concretizzazione di nuove forme di comunità morali e artistiche, difendiamo l’ambizione di ciascun uomo a esser seriamente umano, nella sua moralità ed artisticità.

 

La solitudine dell’individuo «monade» oltre-moderno, vittima di una carenza di morale ed arte causata, a fine secolo scorso, dalla decisa affermazione dell’inaffidabilità teoretica di ogni meta-récit etico (teoria etica) od estetico (teoria estetica), rischia di sottometterci al dominio dell’eteronomia e alle decisioni di terze autorità nomadi; e ci vincola a ricorrere ad una forma anomala e asinallagmatica di contratto sociale, fondato sulla nozione diseconomica di un mandato in cui i benefici si dividano tra i mandatari e eventuali danni si scarichino unicamente sul mandante (mandato nell’interesse del mandatario). Per aumentare l’efficacia di un contratto sociale informato nell’ambito delle mostruose democrazie indirette moderne occorre rafforzare esso mandato, al di fuori di discorsi vani sul rafforzamento della sua c.d. imperatività («[…] ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato […]», recita l’articolo 67 della nostra Costituzione), affiancandolo ad un coerente sistema di valori morali e artistici suscitato dal corretto funzionamento dei meccanismi di un’etica o d’una estetica individuali; riconoscendo nell’autonomia l’esclusiva radice della democrazia, il binomio assenso / dissenso della democrazia indiretta acquisisce reale energia democratica solo nel momento in cui riesca a sottendere un’autonoma valutazione, un autonomo valore ed un’autonoma decisione. A tutti deve essere riconosciuto il diritto / dovere di costruire contesti di decisione rifacendosi alla formulazione antecedente di sistemi di norme in base a cui emettere valutazioni sulla bontà e/o bellezza di una determinata azione o sulla criticità di una determinata situazione, con la riserva estrema di delegare decisioni a terzi secondo cosciente consenso. Nella lotta tra decisione assoluta o decidere tra alternative altrui, tra anarchia e conformismo, tendiamo alla via di mezzo della tutela di un assenso / dissenso informati dalla ragione altrui, idonei a confluire in una «ragion moderata» distante dai tratti narcisistici e autistico-autarchici dell’odierna show-society. Rafforzando il dialegesthai tra voci differenti, non cadendo nella rete dell’esclusione e dell’emarginazione dell’attività culturale altrui, coltivando l’universalità del diritto / dovere di comunicare, non cedendo all’attrattiva della critica destruens, evitando atteggiamenti aristocratici, si arricchisce l’autonomia d’un individuo in cerca di nuove nozioni di identità e comunità e si bandiscono ogni conformismo ed ogni ortodossia, inclusa ogni ortodossia del difformismo; e, arricchendo l’autonomia o bandendo ogni conformismo, costruendo «mondi di carta», cultura, il mobilitarsi ad attivare una forma reale di democrazia, edificata sulla morale e sull’arte, contribuirà ad assicurare un senso all’esistenza d’una ennesima nuova rivista.

 

                                                                                                                                                                       Ivan Pozzoni

[L'Arrivista, n.1/2011]