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Mark Dark. L’aiutante della morte

Romanzo

Stefano Stronati
Europa Edizioni

Recensione di Maria Grazia Maiorino
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Pubblicato il 20/05/2016 12:00:00

 

Il gioco delle parti di Mark Dark

 

 

L’autore di questo libro, Stefano Stronati, mette in chiaro fin dal titolo qual è l’argomento di cui parla: Mark Dark è l’aiutante della Morte, quella con la lettera maiuscola, con il lungo mantello nero e la falce luccicante – la protagonista dei racconti dell’orrore, l’ombra lunga che vorremmo cancellare dalle nostre vite. Una sfida? Un gioco? Un corteggiamento? Un sogno?

Sulla soglia troviamo una parola, poggiata lì a modo di esergo o dedica, una sola, “Grace”, con il suo riflesso tra parentesi, un gradino più sotto, “(Tolleranza)”. Poi c’è una premessa, brevissima, ma è già una chiave di lettura – un ingresso – dopo la formula di rito del ‘tutto inventato’: “Le uniche cose vere, naturalmente, sono le anime e la morte. Se guardate bene, infatti, anche adesso ci volano intorno”. E il lettore accorto intuisce subito che lo attende un viaggio insolito nel quale è immediatamente coinvolto. Entriamo in un sogno, seguito dal silenzio irreale del risveglio: così, in una specie di vuoto di coscienza prende corpo un pensiero appena sfiorato e lasciato andare, la morte è il materializzarsi di quel semplice desiderio di morire … L’atmosfera solenne e terrificante dell’inizio presto si stempera nel dialogo fra la Signora e Mark; si affacciano l’ironia, la complicità, l’amicizia, e anche lo scherzo.

Con mano leggera e con notevole capacità inventiva, l’autore crea una trama avvincente di situazioni mai prevedibili, perché c’è sempre uno scarto, uno spiazzamento - l’esplorazione di un pezzetto di mondo sospeso fra sentimento e volontà, fra la noia e la pesantezza della realtà e la fuga nell’immaginazione, tra consapevolezza del limite e volo dai confini della terra alle galassie.

Il movimento è continuo, avventuroso, piacevole e pieno di inquietudine. Scandito da spazi bianchi, irregolari, importanti, che rendono la pagina simile a uno spartito perché creano un ritmo particolare -  e, quando le righe si rarefanno e assomigliano ai versi di una poesia, si sente battere una risonanza più profonda, come un colpo di gong.

Si respira l’assillo del quotidiano nelle pagine di questo romanzo, dovere lavoro fretta routine corse contro il tempo sembrano risucchiare anche i due protagonisti, rendendoli omologati e rassicuranti nei comportamenti e nelle scelte, ma la vita continua a offrire spiragli di sorprendente libertà all’aiutante della Morte, proprio grazie a quella temuta e pericolosa vicinanza che continuamente gli rivela un’altra faccia, un’altra possibilità di conoscenza delle persone che incontra e di se stesso.

Egli ha una vera vocazione all’empatia grazie alla quale riesce ad entrare nelle sensazioni, nei desideri, nell’amore degli altri. Ogni scambio diventa possibile, tutto sembra liquefarsi e raddensarsi oltre i limiti e gli orizzonti umani; anche i gesti partecipano a una sorta di rarefazione. Ci sono momenti molto belli, descritti con una dolcezza che rasenta l’indicibile, come il passo seguente: “Fermò la donna e fermò il tempo: un attimo, un delicato abbraccio, lasciando andare le sensazioni, sfiorando il delicato collo con le labbra, avvicinando la bocca alle graziose orecchie, senza toccarla, sospirando un lieve ‘arrivederci’ e sussurrando altre parole in una lingua non identificabile, completando il saluto con un ampio movimento delle mani, che non arrivavano alla pelle, ma sfioravano il corpo, penetrando l’aura della donna. L’essenza della ragazza sentì l’addio e sentì che il saluto era definitivo.”

Ci sono atmosfere che fanno pensare a quelle del film Il cielo sopra Berlino, di Wim Wenders:

“Ma i pensieri della gente sono molto di più di quanto le persone che li generano possano captare.

Mark li sentiva tutti insieme

Dai sentimenti più profondi a quelli più ignobili, dalle frivolezze agli apprezzamenti sulla barista, dalla disperazione all’armonia dei pensieri più semplici.

(…) La prima ubriacatura di vita”.

Ci sono corpi che sembrano anime e anime che sembrano corpi, sdoppiamenti e fughe, disfarsi e ricongiungersi della materia come fanno le parole sulla pagina, prestando ascolto a una loro musica misteriosa che è parte essenziale del gioco. Accade di scoprire legami irrinunciabili e di darsi appuntamenti nell’aldilà. Si ode nel sottofondo della storia, come un basso continuo, l’ invito ad assaporare ogni istante di vita.

Per una felice coincidenza ho ritrovato la parola “Grace” dell’inizio del libro nella citazione, riportata dal giornale che stavo leggendo, di un frammento da “Il sale della vita” dell’antropologa francese Franςoise. Héritier: “C’è una leggerezza, una grazia tutta speciale nel puro e semplice fatto di esistere, al di là di tutti gli impegni professionali, dei sentimenti intensi, delle lotte politiche e umane: di questo, e di nient’altro, mi sono sforzata di parlare. Di quel piccolo ‘di più’ che si offre in dono a tutti noi, e che chiamerò il sale della vita.” Gli esempi che seguono, in un elenco di associazioni spontanee, sono molti sono molti, quello che noi stessi non vediamo o non arriviamo a valorizzare adeguatamente: percezioni, piccoli piaceri, dettagli dolorosi o allegri, momenti di buon umore, curiosità, luoghi, istanti del quotidiano.

Ritornando al nostro Mark Dark, credo che sia questa la sua ricerca, condotta tra le pieghe di un sorprendente gioco delle parti con la morte. Il richiamo sottinteso e vibrante a scoprire il sale della propria vita nell’armonia delle cose semplici, senza mai perdere il contatto con quelle invisibili. Ogni istante, compreso il dolore, compreso il pianto. Le parole finali della Morte sono emblematiche a questo proposito, di nuovo evocano la nostalgia degli angeli di Wenders per i colori e i profumi della terra: “E vorrei vedere se sono in grado di piangere. Io, che non potrò mai fare la tua scelta, io che dovrò lasciare sempre tutti alle spalle, io che non potrò mai entrare nella tua ‘ciotola’ per dissolvermi insieme a chi voglio: in quelle acque oscure, per poi volare come Luce oltre il confine.”

 


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