Una raccolta di poesie sul viaggio, che apre con una confessione del mito letterario del viaggiatore, cioè di Ulisse (un Ulisse scontento, tornato da tempo e che si accinge a ripartire, ancora a divenir del mondo esperto), è un manifesto tanto potente quanto esplicito del coraggioso progetto poetico di Le anime di Marco Polo, di Giancarlo Baroni, che possiamo trovare vestito di ironica allusività negli stessi versi dell’autore:
«Carta…carta
bisbiglio avvistando
un continente di libri
atlanti mappe bestiari
volumi fotografici:
mi predispongo al viaggio.»
(p. 119)
L’estensione e l’ampiezza dei luoghi descritti (dalle Galapagos darwiniane, alla Roma sotterranea, dalle Nuove Indie e dall’Estremo Oriente alle località nostrane dei Dintorni, dalle cime himalayane alle immaginarie giungle torinesi di Salgari, ecc) e dei tempi narrati, dalle origini alla contemporaneità, assegna ai singoli testi, ai singoli passi di questo percorso, un alone di frammentarietà, da cui, per contrasto, e ricomponendosi il mosaico dalle varie tessere, scaturisce una riflessione acuta ed ampia della vicenda umana.
Il sentimento si fa alto nel momento stesso in cui all’occhio dell’artista è dato di cogliere i dettagli più intimi ed anche più scabrosi delle storie, delle anime dei personaggi e dei luoghi, e farsene voce narrante. Prima ancora dell’esercizio della narrazione, nelle occasioni poetiche di Baroni, viene la scelta, cioè l’atto consapevole e mirato, di cosa narrare. Lontano dallo stereotipo del viaggiatore-turista, le realtà di Baroni attingono ad un rivissuto emozionale, a dispetto del tono asciutto e distaccato (su cui meriterà spendere qualche parola), di accadimenti, relazioni umane e naturali, luoghi di una realtà definita o transustanziati. Che si racconti di aspetti relativamente di minor importanza (l’avverbio è d’obbligo, perché ogni dettaglio di questa Storia in minore tale non si può definire in assoluto e tutto può diventare «storie memorabili», p. 31) o di drammi, cataclismi, implosioni d’imperi (l’assassinio di Athaualpa e la disgraziata epopea dei Conquistadores, lo tsunami del 2004, il lampo di Hiroshima, ecc) l’occhio e la voce di Baroni scelgono sempre lucidità e apparente distacco cronachistico, forti di una capacità icastica e di sintesi non comune e ravvivati, non solo dalla luce intrinseca dei fatti e dei luoghi narrati, ma dalla capacità gnomica di esaltarne il secretum. Ad Amerigo il poeta fa chiedere «capire/ conta quanto scoprire?» (p. 27) e pare in ciò di intravedere un suo motto fondativo e speculare, e cioè che lo scoprire (togliere ciò che copre: l’oblio, la lontananza, la sottovalutazione o la disvalutazione) valga a capire il senso insidiato dell’accadimento. Non a caso «Basta poco/ per ritornare nel nulla che ci aspetta», sentenzia la voce che l’inventiva poetica assegna alla città di Bruges (p. 61).
Baroni osserva i menhir di un’epopea kolossal, cui partecipa il gotha dei navigatori ed esploratori (Colombo, Vespucci, Magellano, Darwin, Livingstone e Stanley, ecc) eppure riesce a rendere un puntiforme ritratto senza gli squilli e i clangori di un’epica enfia ed enfatizzata, ma con sorprendente sobria incisività. S’aggira per le città custodi delle incredibili storie dei loro Santi e lo fa traendo voci di una sconcertante normalità di fronte al miracolo: «Ho così tanto/ da fare che mi sdoppio», confessa come un’ovvietà Sant’Ambrogio (p. 95).
Strumento essenziale per la resa de Le anime di Marco Polo è, quindi, lo stile essenziale e piano, con l’uso rigoroso del tempo presente da parte della voce narrante, che sia un personaggio, un animale, una città, un santo. Talora si fa pura descrizione elencatoria, che mai rinuncia, però, alla scoperta degli eventi e degli oggetti o della visuale con cui essi si possono (ri)evocare e rappresentare. Così nei testi dedicati all’ufficiale esploratore Vittorio Bottego, troviamo un esempio degli accattivanti elenchi di nomina, con effetti suggestivi:
«(in Eritrea a caccia di volatili)
Che varietà d’uccelli
otarde beccaccini falchi falchetti
aironi bianchi e grigi, pernici
galline faraone cicogne pellicani
cuculi chiurli anatre
il gipeto barbuto il serpentario
l’avvoltoio – più di due metri di apertura alare.»
(p.43).
A volte la descrizione è pura cronaca (apparentemente) asettica, puntiforme, tessera di una storia più ampia in via di ricomposizione. Così, per esempio, Attorno alle Galapagos, assume sembianza di un vero e proprio scarno diario di bordo:
«Sale a bordo col preciso/ intento di tenere un giornale/ di viaggio. Toglie// il diario dalla sacca sopra/ la prima pagina scrive/ 27 dicembre 1831.» (p. 37);
«…Darwin/ compie in Brasile 23 anni.» (p. 37);
«Scopre le Galapagos/ il vescovo de Berlanga/ è il 1535.»
(p. 38);
Tale linguaggio, che viene speso e steso uniformemente, anche per situazioni di colore e di ironia («oggi lo vedi a Kathmandu/ nelle T-shirt dei turisti », Uomo delle nevi, p. 53) colpisce come un maglio laddove il calcolato sottotono si scontra con la drammaticità dell’evento, dilaniando il lettore proprio in virtù di un giudizio intrinseco (rinforzato talora da nulla più che un aggettivo chiarificatore), esercitato nella scelta e nella descrizione del fatto in sé:
«Quanto orrore commesso falsamente/ nel nome del Signore// delle violenze racconto la più atroce/ separano i bambini dalle madri/ e li massacrano», (Bartolomé – e i misfatti dei conquistatori, p. 34);
«L’assedio rende deboli resistono/ le mura più della nostra pancia./ Ci promettono salva/ l’esistenza. Apriamo/ le porte e gli spagnoli/ cominciano a sterminarci», (Paesi Bassi. 4.-invece quelli di Haarlem, p. 68);
«La foglia recisa dal ramo mi penetra nella carne/ un lampo incendia questo giardino/ e incenerisce il mio corpo», (Hiroshima 1945, p. 124).
Sostenuta da una voce originale, Le anime di Marco Polo è in conclusione una raccolta ricca e generosa di sorprese, che supera le definizioni semplicistiche e le tassonomie di genere, aiuta a scoprire e scoprirci, a conoscere ed a nutrire la riflessione sulla Storia e sull’uomo.