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La parte dell’annegato

Poesia

Laura Accerboni
Edizioni nottetempo

Recensione di Marco Furia
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Pubblicato il 15/01/2016 12:00:00

 

Non tutto è perduto

 

Con “La parte dell’annegato”, Laura Accerboni presenta una ritmata raccolta in cui la sempre più problematica quotidianità viene illuminata da immagini davvero inattese.

“Questo a un pesce

non si dovrebbe fare:

costringerlo

a nuotare tra le vene

e obbligarlo a imparare

la geografia polmonare

di altre specie”

dice la poetessa, mostrando, con articolata messinscena, una sorta di sorprendente rispetto per il dato biologico.

Un rispetto stravolto, eppure presente: forse, ormai, l’attenzione per l’altrui vita (e per la propria) può manifestarsi soltanto in tal modo?

Forse siamo giunti a un punto di non ritorno?

Questo quesito attraversa tutta la silloge senza trovare risposta sul piano del mero linguaggio: né può trovarla, perché l’evidente dato di fatto mostra l’urgente necessità dell’azione responsabile.

Se tutto fosse davvero perduto non varrebbe nemmeno la pena di parlare o scrivere: tuttavia è ben chiaro che la parola comune non basta più.

C’è un vivido senso dell’urgenza nelle immagini proposte.

A pronunce in cui ogni speranza sembra annullarsi (si vedano, ad esempio, i versi

“mentre lasciavo niente

e me lo riprendevo

ad ogni istante”),

si alternano, senza contrapposizione, originali sequenze poetiche in cui il contatto con il mondo riesce ad aprirsi su aspetti inediti:

“non so come

si saluti

una pietra”.

Chi si pone il problema di salutare “una pietra” può pensare di trovarsi in prossimità della fine?

O, forse, può ritenere che a simile prossimità ci si possa opporre soltanto coll’abitare i territori dell’assurdo?

Assurdo non privo, in questo caso, d’interesse per una comunicazione affettiva che, alla fine, ci può ancora salvare.

“Il sorriso nuovo

lo metto solo

quando esco”

scrive la poetessa, ma ciò non vuole dire che il sorriso vecchio abbia esaurito la sua benefica efficacia e che, perciò, non si possa unire al “nuovo” secondo un’inedita fisionomia ulteriore.

Certo

“una casa distrutta

è solo una casa distrutta”,

nondimeno, come sembra indicare quel “solo”, è possibile ricostruirla.

D’altronde

“Tarzan sul materassino”

che

“ha spasmi d’annegato”

non potrà essere soccorso? Non potrà essere restituito alla sua avventurosa esistenza nella giungla selvaggia ma anche protettiva?

E noi, a nostra volta, non potremo ricominciare a vivere in maniera migliore?

Il monito di Laura (perché di questo si tratta) è preciso, composto, succinto: soltanto un alacre e consapevole equilibrio sarà in grado di salvarci.

 


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