Pubblicato il 26/07/2011 19:53:20
Gli occhi vividi sono accesi su segni intermittenti di umanità: profumi di salotto amori percezioni.
Ma un bagliore di fiamma esplode dal fondo di una cattedrale sognata nella stanza di sughero che percorri, Proust, per intero, con le dita. E diventa un respiro ampio la tua pagina; ti respira, come un girasole sente l’aria che gli manca tra le argille ventose del Sud.
Ora, volano batuffoli di ovatta che dal tuo petto spezzato ti portano al chiarore freddo d’una neve parigina, tra librai e musicanti di strada pronti a eseguire quartetti di note, al crepuscolo. Non senti?
Rivolto a questo tramonto purpureo, uno specchio raccoglie i grumi di terra che noi siamo, ora lucenti, ora offuscati da lunghe distanze. Riusciremo a stare sul filo circense che ci conduce al nostro io sommerso?
Le carezze toccano un telo diafano impenetrabile; non servono a uscire fuori da sé. E i corpi opachi gridano come boccioli chiusi di papavero ardente, nel grano ventoso.
Inciampo nei ciottoli del cortile che parlano dalla loro epifania, nel selciato di Venezia, nelle pietre dei campanili intarsiati nel sole di Firenze, nei pasticcini a conchiglia: chissà quali ricami di senso disegneranno questi fili nelle pagine che Proust non ha scritto ancora.
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