Pubblicato il 02/04/2011 15:30:16
(Il blocco del lettore)
“I libri non sono la vita” (Il comandante dei vigili del fuoco; dal film “Fahrenheit 451” di François Truffaut)
Da anni comprava libri, senza leggerli. Non si trattava di una diramazione della ben più nota “patologia” che colpisce chi scrive – il blocco dello scrittore – dal momento che non aveva mai avuto alcuna intenzione di farlo. Di scrivere… Questa volta la paura non sorgeva dinanzi alla ignota e famigerata pagina bianca: terrore degli scribacchini esordienti e degli scrittori affermati, tormento esorcizzato dagli aspiranti premi Nobel per la letteratura a suon di pagine scritte di notte, brivido oscuro dei romanzieri, precipizio apnoico degli editorialisti. La pagina, in questo caso, era piena: riempita da Altri, da persone sfiorate nelle biografie e mai realmente conosciute, da scrittori che avevano sacrificato meravigliose giornate di sole e di svago in nome dell’eternità. E che giacevano, chi da secoli, chi da pochi anni, in qualche famoso cimitero, sotto una lapide a sua volta ricoperta da una rinsecchita corona di fiori gentilmente deposta dai membri dell’associazione bibliofili durante il giorno dei morti.
L’ebbrezza elettrica che lo sorprendeva in libreria, mentre sfiorava la copertina di quegli oggetti stampati, era scientificamente indefinibile ma reale negli effetti! Lui amava veramente i libri: li bramava, li pedinava, li inseguiva sui cataloghi e sulle bancarelle dei rigattieri, a volte si abbandonava a pratiche di autoerotismo intellettuale mentre li toccava morbosamente o mentre leggeva le note in quarta di copertina. Li osservava in lontananza mentre venivano manipolati da occhi stranieri… I suoi libri. In alcune occasioni aveva fatto finta di non essere interessato a un titolo ed era uscito dalla libreria a mani vuote, contento per quella strana dimostrazione di resistenza data a sé stesso. Resistenza che la maggior parte delle volte non durava per più di ventiquattro ore: il giorno dopo, quasi alla stessa ora, si precipitava in maniera agitata nel luogo del misfatto per cercare nuovamente, con il volto sudato e visibilmente provato, il tomo snobbato. Puri giochi! Masochistiche simulazioni tra innamorati dispettosi. Non poche volte era successo che, avendo trovato lo spazio nello scaffale del negozio, fino al giorno prima occupato dal libro agognato, terribilmente vuoto a causa di un acquisto fatto da qualche indegno lettore di passaggio, aveva diretto i propri passi disperati verso una libreria di ripiego alla ricerca del volume perduto. Figlio disperso e nuovamente desiderato da un padre disattento e sciocco. Isterici capricci da collezionista, avrebbe detto qualcuno. O, forse, un osservatore più malizioso avrebbe potuto parlare di carenze esistenziali compensate dalla cultura. Una cultura libresca e autogestita che, a quanto sembrava, da anni non riusciva più a vicariare una consistente perdita di vita.
“Leggere, o non leggere; questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender libri contro un mare di triboli e, leggendo, disperderli.”
L’entusiasmo provocato dall’acquisto, tuttavia, durava solo pochi minuti. Dopo aver riposto la carta di credito nel portafogli ed essere uscito dal luogo pubblico dove consumava i suoi ripetuti stupri culturali, i passi dell’uomo, già meno entusiasti rispetto a quelli con cui era entrato in libreria, si dirigevano verso un’abitazione che ormai conservava appena lo spazio sufficiente per soddisfare le basilari azioni del vivere civile: dormire, cucinare, lavarsi… Tutti gli altri spazi incolti, non utilizzati da mogli esigenti e figli invadenti, erano stati nel corso degli anni rielaborati e ripensati in funzione di quegli eterni e muti compagni di strada: i libri. Geometrie angolari e librerie sopraelevate concepite per sfruttare anche le restanti porzioni di volume: zone che, al di sopra delle teste degli inquilini, il più delle volte sono “terra di nessuno”. Mensole coltivate come i giardini pensili di Babilonia sfidavano una quieta gravità addomesticata; titanici scaffali a muro ricolmi di quelle leccornie letterarie, che avevano pettinato dolcemente i pomeriggi del suo passato da lettore accanito, mostravano con orgoglio di aver raggiunto un equilibrato compromesso con l’universo circostante. Le leggi riguardanti il baricentro erano diventate dicerie e la perfetta disposizione dei pesi libreschi in quella casa era destinata a riscrivere certe presuntuose pagine nei manuali di statica adottati dagli studenti. I passi attutiti dell’uomo, che trascinava la propria solitudine domestica tra il corridoio tappezzato di edizioni introvabili e il celibe talamo quasi poggiato su colonne di volumi cartacei, giungevano alle sue stesse orecchie come tintinnii abortiti di cristalli avvolti nella carta di giornale durante i furtivi traslochi dell’anima con cui si evita la Vita.
Da anni non leggeva più. Da anni, uscendo dalle librerie, ripeteva a se stesso la solita frase d’ufficio con cui tentava miserevolmente di autoconvincersi: “Comincerò a leggerlo domani!” Agglomerati di pensieri scritti e mai letti, si ergevano lenti e muti come stalagmiti di carta negli angoli dell’esistenza. La giovanile sete di quelle parole che aiutano a capire, aveva lasciato il posto ad un più sfacciato e inesorabile disincanto. La vita degli Altri, magistralmente raccontata e stampata in pregevoli pubblicazioni, non compensava la mancanza di una vita propria, come invece gli succedeva facilmente in passato, quando ancora riusciva a credere in un futuro clemente. L’uomo sapeva bene che non era la paura a causare quella sua strana inibizione nei confronti dell’amata lettura. Non erano gli abissi profondi e oscuri che gli si aprivano dinanzi mentre tentava di andare oltre gli innumerevoli incipit affrontati in quegli anni, a causare l’“impotenza letteraria” da cui era affetto. Le indescrivibili e un tempo meravigliose possibilità esistenziali offerte dalla lettura non erano confortate dalla presenza di una “controesistenza reale” con cui paragonarle. Ecco quale era la causa del suo blocco. “Chi non ama, chi non vive e ama la vita non può apprezzare veramente la lettura che è la più pregiata finestra aperta sulla vita stessa, non può penetrare con vitalità il tessuto della storia raccontata e di conseguenza non può sostenere con passione ed energia le numerose ore di lettura, abbandonandosi all’abbraccio materno di pagine amate, sì, ma mai totalmente e intimamente comprese!” – elaborò nella sua mente e dopo un improduttivo tergiversare durato anni un primo vero pensiero doloroso ma realistico. L’ammirevole determinazione con cui cominciava le letture veniva minata da prepotenti voci interiori che puntualmente distraevano l’uomo dal suo obiettivo. Le amate pagine si allontanavano dal cuore prima che dagli occhi e un’insistente coscienza batteva i suoi duri colpi sul portone del tempo. La giostra della distrazione prendeva ogni volta il sopravvento e spesso il lettore ormai sfinito si ritrovava con il libro aperto tra le mani nel tentativo estremo di vincersi e lo sguardo perso tra gli altri orfani di carta che attendevano invano l’arrivo di un occhio curioso e vorace. Ma non quella sera. Non avrebbe tentato, anche quella sera, di leggere uno dei testimoni impolverati che attendevano da mesi e anni di essere consultati: eppure non sembrava una serata diversa dalle altre, non possedeva caratteristiche speciali. L’uomo si distese semplicemente sul letto e accese una sigaretta. E lo fece con un gusto riscoperto e inatteso. La stanza da letto che non conosceva il tocco profumato e femminile dell’altra metà del cielo, conservava antichi strati di libri e fumo ristagnato. Segni evidenti delle numerose e lontane notti trascorse a leggere, quando ancora la fiamma della lettura era accesa, e a tentare di leggere quando quella stessa fiamma aveva cominciato a diminuire in maniera irreversibile.
Nessuno fu in grado di ricostruire con precisione cosa avvenne quella notte nella stanza da letto dell’uomo, nemmeno i tecnici del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco dopo i primi sopralluoghi nell’appartamento carbonizzato. Forse un corto circuito o molto più probabilmente una scintilla ribelle e di origini sconosciute che s’era avventata sull’acculturata materia cartacea lasciata a pascolare allo stato semi-brado nell’appartamento dell’uomo… O, ancora, la sigaretta dell’uomo che non sapeva più leggere era scivolata dalle sue dita proprio durante quella serata in cui aveva deciso di non aprire alcun libro. Quante volte i telegiornali riportavano la notizia drammatica di persone arse vive per disattenzioni casalinghe o a causa di cicche di sigarette incustodite che avevano dato vita a roghi involontari e mortali. E chi può dire, invece, se non sia stato proprio l’ex lettore rassegnato a lanciare volontariamente nel cestino delle carte o a lasciar cadere la sigaretta fumata solo per metà vicino a una delle tante pile di libri accatastate nella stanza con la speranza nutrita, tra il dormiveglia e il sonno vero, di un liberatorio incendio? L’uomo non mosse neanche un muscolo mentre le prime fiamme, svegliandolo, cominciarono ad alzarsi lentamente ma con voracità tra alcuni poemi latini in edizione tascabile e i romanzi del migliore noir americano: l’incendio forse era cominciato proprio tra quei due generi letterari. Chissà… Le alte lingue di fuoco lambivano prepotentemente il soffitto della stanza e non trovando sfogo verso l’alto ritornavano vorticosamente accelerate verso il basso e il centro della camera da letto, incontrando altro materiale libresco non ancora combusto e letto. Mentre la temperatura all’interno della stanza aumentava in maniera vertiginosa, l’uomo sentì che una profonda e salvifica gioia s’impadroniva finalmente della sua mente stanca e spenta da troppo tempo. Le pagine ripiene di parole e frasi pensate da Altri, pagine che in fondo l’avevano annoiato durante quegli ultimi sterili anni da pseudolettore, cominciarono, grazie all’effetto purificatore del fuoco, ad assumere un aspetto omogeneo. Quelle stesse pagine ora riaffioravano nella mente dell’uomo bianche e libere, lavate dall’inchiostro e pronte ad essere riscritte da avide penne infuocate. La tomba di carta ardeva vivacemente, accogliendo in un ultimo abbraccio rovente il suo solitario costruttore. A causa del forte calore alcune finestre dell’appartamento, esplodendo, lasciarono uscire all’esterno con violenza tutta l’energia fino a quel momento accumulata, sotto forma di fiamme selvagge e vampate di calore che furono avvertite anche dagli inquilini dei palazzi più vicini, affacciati sui balconi per osservare il terribile spettacolo. Non si sa bene se fu a causa dello spavento provato dai curiosi presenti che si trovavano per strada al momento dell’incendio o se si trattò semplicemente di un effetto ottico provocato dalle fiammate che illuminavano la fredda notte della città, ma alcuni di quei testimoni metropolitani avrebbero poi confidato ai vigili del fuoco intervenuti di aver visto “cose strane” quella notte durante l’incendio: leggeri pezzi di cenere infuocata a forma di lettere dell’alfabeto fuoriuscivano dalle finestre insieme alle fiamme e al fumo, trasportate dalla brezza verso sconosciuti limbi letterari… Ma il fumo, si sa, quando raggiunge gli occhi è capace di giocare dei brutti e lacrimosi scherzi. Oppure si era trattato di un fenomeno surreale che sarebbe stato meglio non condividere con gli altri e in particolar modo con la stampa. Le parole non lette e tenute prigioniere per anni negli scaffali impolverati avevano ritrovato, indispettite, la strada per ritornare nel ciclo infinito e arcano delle idee. Lì dove, probabilmente, sarebbero state rispettate e trattate in maniera degna, prima di concedersi a nuove penne e a nuovi occhi. Il fuoco, uno dei peggiori nemici della carta, aveva svolto, in quel caso, un’importante operazione di liberazione e la sua azione apparentemente distruttrice avrebbe permesso la nascita di altri libri e la crescita umana e culturale di nuovi appassionati e instancabili lettori.
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