Centofogli,
contaci in meno
con le dita alzate che colano
manteche di guizzi e di visioni
lievi di verbi e sogni
come un'epifania povera e in digiuno
ed ecco che ti indicano:
poetartista,
facci una gogna e un'ustione
per ogni illusione che avvicina
chi nasce senza razza né ricordi
e canta gli spigoli dei pensieri
dalle forme moncamozze
andando fino ad ogni fondo.
(ed in fondo vi volevo dar piacere
con i crateri del viso di Mercy la snella
con il guinzaglio del cane del matto che canta
con la giacca dell'omino del "Dio non c'è")
Guitto, alta la testa.
Indossa una sillaba di rigo bianco
e turbaci, con le smagliature dei cumuli
i raggi grigi del maltempo,
che ti si legano alla vista come un flusso di refrigerio
e rinascono negli accordi
per piano e per note sommate
di segni di pianeti gemelli
su una passerella sorella,
su cui provi (amo) e riprovi (amo)
una linea astratta, un verso nano
o fletti d'improvviso
l'improvvisazione di una voce
che si genera in monocellule di bellezza.
(ma non abbiamo la stessa madre
che s'incurva a svuotarci
e s'affaccia con il volto di spine girovaghe
a segnarci nel sogno)
Siamo ombre nate da vuoti
nudi, tra il cappio e la bocca
franata alla vita, che passa incuriosita
e ci prende, si congiunge alle ossa
mentre ci domanda
se son nostre anche queste piaghe.
E' allora che saliamo su tavole di cenere
e zittiamo quel suono orfano
con bende di parole.