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Il romanzo di Castel Porziano

Poesia

Simone Carella Paola Febbraro Simona Barberini
Stampa Alternativa

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 21/08/2015 12:00:00

 

Alla fine di giugno del 1979 si consumò sulla spiaggia di Castel Porziano una delle kermesse letterarie, e non solo, che sarebbero passate alla storia. Basti vedere già allora il risalto che ne diede la stampa. Era un periodo, quello, in cui regnava lo spaesamento sociale, politico e culturale. Eppure c'era chi come Renato Nicolini, l'amato Assessore del Comune di Roma alle politiche culturali, seppe andare in deroga al grigiore di quel periodo e mentre c'era la tendenza a chiudersi in casa in una vera e propria temperie da coprifuoco, ebbe il coraggio di inventarsi l'Estate Romana, che quel coprifuoco tendeva a sdoganare e che in effetti per diversi anni riuscì a fare riportando nella Capitale quella voglia di vivere e di condividere, attraverso numerosi eventi culturali, la città, che oggi invece sembra, ormai da qualche anno, nuovamente appannata e ingrigita. In quel contesto Nicolini ebbe l'idea di sposare la celebrazione di quel Festival Internazionale dei Poeti celebrato dal 28 al 30 giugno del 1979 sulle spiagge  e tra le dune del Lido di Roma. Il Festival fu ideato da Ulisse Benedetto, Mario Romano, Franco Cordelli e Simone Carella, il quale insieme a Paola Febbraro e a Simona Barberini, nel 1999, raccolse la sbobinatura, ovvero la trascrizione, dei nastri audio registrati durante l'intera manifestazione, nel libro Il romanzo di Castel Porziano. Tre giorni di pace, amore e poesia, che è stato nuovamente riproposto da Stampa Alternativa in questo caldo giugno del 2015, corredato da un’interessante appendice iconografica con le immagini degli articoli usciti allora su riviste e quotidiani.

Il libro riporta per intero le parole di quell'evento, che invece, per quanto riguarda le immagini, fu invece filmato da Andermann. Come dice Simone Carella nella Prefazione al libro, nel filmato di Andermann si sente soltanto la voce di chi era sul palco, mentre la folla dei poeti di spiaggia, i minestrones, chiamati così per via di un minestrone preparato per tutti gli astanti, appariva muta. Il libro ha il pregio di ridare voce anche al pubblico. Insieme e in combutta alle voci dei poeti della Beat Generation e del Gruppo '63 e di altri giovanissimi poeti invitati per l'occasione e alle parole affastellate nei ghirigori strampalati e non-sense della ragazza Cioè, a causa di questo suo frequente intercalare, che sarebbe diventata, quasi, l'emblema di quella manifestazione poetica, che voleva parlare di poesia a trecentosessanta gradi e in tutte le salse e a tutti. A tutti significava soprattutto voler parlare di poesia a tutti i giovani, che in quella temperie culturale avevano una qualche difficoltà a trovare casa. Nel senso che il posto da occupare nel mondo era fornito ai giovani da modelli più o meno diversi e diversificati. E così ci si ritrovò nella (a)rena un pubblico variegato, che andava da chi in quel periodo faceva parte delle Comuni, a chi era epigono dei figli dei fiori, ai tanti giovani sborghesiti e in piena contestazione dello status quo o d’altro canto di giovani sempre più imborghesiti o che lo stavano diventando. E, così, non ci si poteva meravigliare se nelle discoteche a pochi metri di distanza da Castel Porziano infuriava la disco music di Hot Stuff di Donna Summer o I will  survive di Gloria Gaynor. C’erano anche tanti giovani che pensavano che, come in molti pensano ancora oggi, la poesia fosse quella cantata dai cantautori come De Gregori, De Andrè o il Battisti uscito qualche mese prima con Una donna per amico. Fatto sta che in quella che per gli organizzatori sarebbe dovuta essere la Woodstock romana della poesia, ci si trovò davanti a un pubblico dalle varie sfaccettature, dove però ebbero la prevalenza coloro che contestavano, contestavano un po’ tutto, e nella fattispecie contestavano la poesia e soprattutto contestavano i poeti. Fatto è che nel pieno di una dimensione post-moderna in cui, per citare il filosofo Feyerabend, anything goes, ogni cosa va e andava bene, in un relativismo spinto all'ennesima potenza, dove un po' tutto era lasciato al caso e all'improvvisazione, l'iniziativa fu quasi un fallimento, se non per il fatto che su quel palco di travi di legno e tubi Innocenti issato su sabbie piuttosto mobili e quindi con una stabilità, che si manifestò subito precaria e che in effetti crollò sotto il peso della folla, passarono a declamare i loro versi numerosi poeti, più o meno famosi, o che tali sarebbero diventati, che fecero o avrebbero fatto la storia della poesia: Fabio Garriba, Maria Paola Fadda, Daniela Ripetti, Victor Cavallo, Milo De Angelis, Aldo Piromalli, Dario Bellezza, Maria Luisa Spaziani, Valentino Zeichen, Giuseppe Conte, Cesare Viviani, Dacia Maraini, Renzo Paris, Sebastiano Vassalli, Giorgio Manacorda, Amelia Rosselli, Luigi Fontanella, Bruno Bossio, Johann W. Von Goethe, Mario Appignani, George Barker, Antonio Porta, Ivano Urban, Alberto Gasparri, Maurizio Cucchi, Erich Fried, Robert B. Harrison, Desmond O' Grady, Allen Ginsberg, Jacques Roubaud, Allen Gascoyne, Ignazio Buttitta, Marcel Fleynet, Jacqueline Risset, Patrizia Bettini, Delfina Vezzoli, Corrado Costa, Peter Orlovsky, Jiga Melik, Angelo Pasquini, Stavros Tornes, Fernanda Pivano, Thomas Gorfas, Johannes Schenk, Eugeny Evtushenko, Volker Von Torner, Enrique F. De Jesus, Gerard Bissinger, Gregory Corso, Ted Jones, Bryon Gysin, Diana Di Prima, John Giorno, Ted Burrigan, Giulio Basile, Ann Waldman, Meo Cataldo Dino, Miguel Algarin, William Bourroghs, Amiri Baraka.

Nella confusione più generale, dove tutto fu, più che organizzato, dis-organizzato, e fatto senza alcuna logica e dove non vi era nessun servizio d'ordine, a dispetto proprio del logos, fu la parola a essere la protagonista di quell'evento. E la parola, più cruda che nuda, è la protagonista di questo libro, come lo fu di quelle serate di poesia e di confusione generale. Il libro, infatti, raccoglie tutto quanto fu detto in quella circostanza. Parole dei poeti e non solo. Parole provenienti dal palco e dalla spiaggia dove era il pubblico. Pubblico che in gran parte era venuto non per ascoltare i poeti, come abbiamo detto, ma per contestare. A un certo punto qualcuno del pubblico disse che era venuto per sentire Patty Smith e non i poeti, di cui non gli importava niente, e allora andassero pure tutti a quel paese. E tra spogliarelli e inviti a mangiare un minestrone preparato per tutti, probabilmente da quelli della Comune, ecco che prendevano la parola, spesso tra i lazzi e gli insulti del pubblico, i poeti. E tra un annuncio di servizio e l'altro, come quando prima di chiamare la poeta Jacqueline Risset, Simone Carella, che conduceva la kermesse, fece un annuncio di servizio per dire che c'era bisogno di un medico, perché qualcuno tra il pubblico aveva avuto una crisi epilettica. Un vero e proprio manicomio!  

Sono rimasti impressi a tutti gli atteggiamenti ostativi da parte del pubblico nei confronti della poesia e dei poeti, soprattutto italiani, i quali furono ampiamente contestati e ai quali fu impedito di recitare i loro versi, al punto che taluni, come Dacia Maraini, si rifiutarono di leggere, mentre altri come Elio Pagliarani e Alfredo Giuliani non risposero all’appello e altri ancora come Viviani e Bellezza intrapresero un vero e proprio testa a testa nel tentativo di difendere poeti e poesia, che quel pubblico aveva intenzione di distruggere. Eppure, tra i poeti c'erano le giovani promesse della poesia italiana, che oggi sono state ampiamente storicizzate, come Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Maria Luisa Spaziani, Renzo Paris, Maurizio Cucchi, Giuseppe Conte, Milo De Angelis e tanti altri. E a rileggere ora la trascrizione delle parole dette allora dai poeti ci si rende conto come questi recitarono poesie, che sarebbero entrate, nei decenni successivi, nelle antologie della letteratura italiana, come la poesia di Maurizio Cucchi, Dolce fiaba che l'anno successivo sarebbe stata pubblicata nella silloge de Le meraviglie dell'acqua, o i versi da Mana del mare di Giuseppe Conte, o i versi di Milo De Angelis, che fu tra i primi ad aprire la kermesse e lesse: “Quando una cosa naviga nelle unghie/ e da orizzonte a orizzonte cade nella sua radice,/ i tempi già cantati ci guardano,/ e chiunque sia lì, viene, ha amato,/ allora è vero arrendersi all'universo,/ calmo nei solchi di questo legno/ come l'attimo che ride di tutti loro/ o bisbiglia: 'io vi ho inventati'.”

Diverso, invece, fu l'atteggiamento nei confronti dei poeti stranieri, in particolare degli americani, accompagnati e tradotti da Franca Pivano, e infatti soltanto Allen Ginsberg riuscì con i suoi mantra a pacificare il pubblico e far scendere sulla spiaggia un sacro silenzio. Mentre il vero trionfatore della scena poetica fu Eugeny Evtushenko, che fu osannato, mentre diceva: "Essere me non mi basta, fatemi essere tutti! Di ogni creatura, di regola, c'è una copia, Dio, invece, lesinando la carta carbone mi ha stampato nella sua tipografia del cielo in un'unica copia, porca miseria... Ma io mescolerò le carte a Dio. Io confonderò Dio! Avrò mille volti fino all'ultimo giorno, da far rintronare la terra da far impazzire i computers, al mio censimento universale. Vorrei su tutte le tue barricate, umanità, combattere, stringermi ai Pirenei, impregnarmi di polvere del Sahara. Accogliere in me la fede della grande fratellanza umana. E quando morirò come un François Villon siberiano, che ha fatto chiasso, seppellitemi non in terra francese ma nella nostra terra siberiana, su quel dolce colle verde, dove per la prima volta mi sono sentito tutti".

Il romanzo di Castel Porziano è un "libro generazionale", che vuole dare voce ai poeti e a un pubblico di una generazione, che nel bene e nel male ha fatto storia e che in quel di Castel Porziano diede vita a un Festival Internazionale dei poeti, che da subito entrò nel mito. La storia di quella generazione, che è anche la mia, ha significato anche un disagio, che è stato proprio il disagio del post-moderno e che tutti in un modo o nell’altro ci siamo ritrovati addosso.  Certamente, quello fu un periodo di crisi, di pericoli, di confusione, di contestazione, di spaesamento, ma come ci ha insegnato il poeta Hölderlin, là dove c’è il pericolo c’è anche la salvezza. E in effetti, checché se ne dica, quel periodo fu un bel periodo, soprattutto se messo a confronto con quello attuale, nel quale sembra che anche tra i giovani si sia compiuta quell’omologazione culturale, che molto acutamente aveva intravisto Pier Paolo Pasolini.

Il romanzo di Castel Porziano è un pezzo di quella storia e di quella temperie, che non può mancare negli scaffali di chi ha fatto parte di quella generazione, ma anche di chi, non avendone fatto parte, nel bene e nel male, ne ha preso il testimone. E l'auspicio è che dalla lettura di questo libro, che come pregio fondamentale ha quello di volerne perpetuare la memoria, possa scaturire, tra le altre cose, in qualcuno, o in molti, la voglia di ripetere, prima o poi, mutatis mutandis, quella storica esperienza, per rendere ancora una volta omaggio alla poesia e a chi nonostante le molte difficoltà e gli impedimenti continua a perpetuarne l'arte: i poeti.

 


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