(nella traduzione di Marica Larocchi)
Seguendo il flusso dell’acqua (presenza visiva costante nell’esperienza contemplativa della natura), che l’autore trasforma in una metafora pullulante di significati, la trama poetica de “L’eau promise” di Flaminien traccia, attraverso l’autobiografismo, un percorso investigativo sul destino dell’uomo, dalla sua culla fetale di liquidi umori materni al traghettamento sulla sponda dell’oltre, cui allude perfino l’immagine di copertina del pittore cinquecentesco Joachim Patinir, raffigurante Caronte che attraversa la palude stigia.
Del resto niente più dell’acqua, la cui esistenza è sperimentabile con tutti i sensi, presenta una maggiore fecondità mitopoietica, coniugandosi con l’inquieta e instabile forza creatrice della natura come con la vertigine dell’immaginazione, con la mobilità del pensiero e con il farsi senza sosta del linguaggio, cosi da stare a fondamento di molti testi e opere d’arte sulla creazione e della stessa filosofia presocratica, a cui Flaminien allude nella bella poesia dedicata ad Eraclito fanciullo, che comincia con “Davanti a casa”.
Il fiume di cui parla l’autore francese, come ogni altro scorrendo dalla sorgente alla foce, diventa luogo di “semente” e di “silenzio”, cioè immagine di vita e morte fittamente intrecciate, come nella quattordicesima poesia della prima sezione, dove alle bianche lapidi del “camposanto sull’altra sponda” fa da contrasto il bianco movimento “da un greto all’altro” di “tortore ancelle”; o nel gruppo di testi che rievocano “il mattatoio in bilico, / sbrecciato, oppresso d’edera” dalle cui vittime colava “sull’onda in verticale” il sangue caldo “sciolto dai corpi”, che spesso sporcava il suo corpo di bambino, il quale risponderà alla folgorazione del rosso, disegnando con il sangue sul fondo nero del muro un pesce, illuminando la tenebra e facendo sì che il segno trasformi ogni cosa “in materia incantata”.
È evidente il riferimento alla poesia, che, conservando ciò che naviga sul flutto sempre nuovo ed effimero dell’esistenza, permette, come si legge in un altro suggestivo testo della raccolta, “di custodire l’enigma / per cui le realtà si accendono, grazie a noi”.
La natura materna dell’acqua risuona con empito lirico nella maggior parte della raccolta, ma raggiunge la sua massima espressione in due testi de “L’eau promise”, nel secondo e nel ventiseiesimo della prima sezione, in cui è appunto dominante la figura della madre del poeta, nel primo assumendo in sé la forza archetipa del principio originario, mentre “innanzi al guado” “perde le prime acque” prima di generare il figlio di cui è pregna; nel secondo risanando con l’amore la pulsione caotica del fiume che, straripato dai suoi argini, invade la casa, fino a giungere sotto il letto dove madre e figlio dormono insieme “serena finitezza”. A questa ricomposizione amorosa, quasi un ritorno alla vita uterina, rimanda una delle ultime poesie della raccolta, in cui si spiega anche il perché della scelta del titolo, quando recita. “Dell’acqua-una, / siamo la gente nomade/ promessa nell’ora del compimento, / quando la fluida conciliazione / della mente avrà vinto la sventura.”
Quest’acqua promessa ( e come non ricordarne la simbologia rituale?) ha anche una funzione catartica; infatti, chiedendoci costantemente se siamo buoni: “Buona è l’acqua, buona davvero; / e tu sei davvero buono?” ( 10, sezione prima), “Sozzura, la nostra, sozzura” ( 4, sezione terza), ci invita ad imitarne il dinamismo gaio ed innocente. E allora “In che modo si è fiume?”, si chiede l’autore, e la risposta è “labbra aperte al passaggio / di un abbandono vasto”.
in questo invito, dunque, che il lettore della poesia di Flaminien deve ravvisare il senso del tempo e del suo manifestarsi in forme viventi sempre nuove, ma senza che quelle passate non abbiano il riscatto della memoria e della poesia, e che dal punto d’arresto non nasca qualcosa di simile ad una visione, un altro tempo duttile e felice del dono, della promessa, una rivelazione come quella che la madre faceva al bambino, “Grazie all’acqua / La terra si è fatta / a noi più vicina”.