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Il cilindro dell’ebreo

di Blumez 

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Pubblicato il 11/02/2011 21:27:13

La tesa premeva contro il vetro

si piegava ma

lui non doveva togliersi il cappello: una mancanza

nei confronti di Dio.

 

La tesa si rigirava

e si appiattiva sugli interni del locale,

dal vetro si poteva immaginare

una distesa di silenzio lacerarsi al centro come

un tessuto stretto ai fianchi.

E man mano che si sfoderava verso l’esterno

un crescendo intenso

più intenso

di rumori illegali di un vecchio speakeasy,

i tacchi veloci delle ballerine di charleston

il profumo dei distillati al chiaro di luna.

 

Il vetro era così pulito da prendersi tutta Chicago

i grattacieli

e per poco il lago Michigan.

Ma quando il sole sgattaiolava tra i grattaceli

e si specchiava in alcune ore del giorno,

sparivano lestofanti gli interni, la musica, i tacchi.

Si compattava il silenzio

e il tessuto si faceva morbido.

 

Lui non si preoccupava della tesa

nient’affatto

il naso e le mani contro il vetro finché

gli si avvicinò uno molto casual, con il borsalino in testa

e gli chiese il perché.

 

Lui rispose: “La vede la stella a sei punte?”

Ma non la vedeva.

“La stella di David, disse,e indicò sul vetro”

 

Si levò il cappello premendo sul pizzicottato e appoggiò lafronte:

non la vedeva.

Riuscì solo a mettere a fuoco la linea dei liquori

sopra il bancone di legno,

sopra la distesa di sedie rovesciate sui tavoli

con le gambe che si intrecciavano ai grattacieli.

 

L’ebreo raddrizzò la tesa senza togliersi il cilindro

una mancanza di umiltà verso Dio

e se ne andò.

“E’ perché si vuole sempre guardare più lontano”, disse.

 

Quelli rimase col borsalino in mano,

sconsolato e questa volta

guardò sul vetro.

“Ma allora lei, fariseo,

perché guardava dentro, così vicino al vetro da rovinare latesa del suo cilindro?!”

 

E l’ebreo: “Io la stavo solo baciando”.


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