Guido Brunetti
Dalla mente umana alla mente animale e alla mente delle piante
Come è nato l’universo e come funzionano il cervello e la mente umana sono due grandi interrogativi che il XXI secolo ha di fronte. Ciò che caratterizza l’essere umano è il cervello definito la struttura più complessa e meravigliosa dell’universo conosciuto. Tutto quello che pensiamo e facciamo avviene nel nostro cervello. Noi- scrive Swaab- “siamo il nostro cervello”. Che pesa circa un chilo e mezzo ed è costituito da 100 miliardi di neuroni. Ogni neurone stabilisce un contatto con altri dieci mila neuroni. Si sviluppa così una rete di connessioni lunga circa 100 mila chilometri.
Cartesio ha paragonato il cervello a un organo della chiesa. In virtù dell’enorme sviluppo delle tecniche di brain imaging, nuove scoperte avvengono in continuazione nel campo delle neuroscienze. Il cervello umano ha una lunga storia che copre milioni di anni, ma la scienza del cervello e della mente è agli esordi. Il cervello e la mente rimangono ancora un mistero. Dobbiamo pronunciare- scrive Du Bois-Reymond- non solo “ignoramus” (non sappiamo), ma anche un “ignorabimus” (non sapremo). Grandi neuro scienziati, come Eccles, Penfield e Spery, si sono inchinati di fronte all’enigma del cervello e della mente, di come cioè una struttura materiale possa tradurre un’attività immateriale.
E’ stato Platone a teorizzare il concetto di anima, vista come soffio, vento, principio vitale. L’anima è stata definita come sostanza immateriale, immortale e dunque eterna, distinta dal corpo (dualismo metafisico). Anima e corpo- res cogitans e res extensa- sono due mondi assolutamente distinti (Cartesio).
La classificazione tradizionale divide le teorie ispirate al dualismo da quelle ispirate al monismo, per il quale non esistono eventi mentali, ma solo eventi cerebrali. Con l’avvento delle neuroscienze verso la metà del Novecento la teoria del dualismo perde ogni credibilità. Per il fisicalismo riduzionista, gli stati mentali sono stati del cervello. Mente e cervello sono identici. L’anima è “ridotta” al corpo, al cervello. L’anima, per le nuove neuroscienze, non esiste. In verità, la teoria riduzionista secondo cui la mente non è altro che un’attività del cervello è indimostrabile.
Il cervello degli animali.
Le straordinarie e affascinanti scoperte scientifiche sugli animali hanno segnato il progresso nella comprensione del cervello umano, della medicina, della psichiatria e dell’umanità. Soltanto attraverso lo studio del cervello animale è stato possibile avviare la comprensione del cervello e della mente umana, dei nostri processi cognitivi, affettivi ed emotivi. I modelli animali hanno reso realizzabile una seria conoscenza delle nostre funzioni cerebrali. La ricerca animale sull’insulina ha salvato decine di milioni di bambini da una morte prematura.
Il comportamento di esseri umani e animali risulta in modo simile quando vengono attivati i meccanismi cerebrali. Questa scoperta è stata resa possibile dagli esperimenti condotti sugli animali. Il cane (pensiamo ad Apollo e Kimi che ci hanno dato grande affetto e moltissimi momenti di gioia, serenità e tranquillità), ma così gli altri animali nascono con la capacità di apprendere, memorizzare e utilizzare le proprie esperienze per migliorare i comportamenti futuri. E’ la capacità ad imparare. Qualità che sono da includere tra le funzioni mentali. Questo significa che negli animali è dimostrabile, almeno in un certo grado, il possesso di funzioni mentali.
Ogni animale ha una sua personalità costruita sulla base degli effetti della genetica, delle proprie esperienze e dell’ambiente. Molti autori descrivono la presenza di una coscienza negli animali. I segni di attesa o di delusione negli animali fanno ritenere che esista una coscienza animale. Hanno emozioni, come gioia, dolore, noia, ansia, ecc. I cani “amano, soffrono, gioiscono, sono consapevoli- scrive Marshal- di dover morire”. Ho riscontrato in Kimi il senso preciso dell’empatia e della comunicazione emotiva ed affettiva. Il cane al riguardo si mostra molto “esperto” nel predire cosa farà il suo padrone. Ho verificato questa scoperta in molti comportamenti del mio cucciolo Kimi. E’ una capacità che viene definita “lettura della mente”, ossia la caacità di “attribuzione mentale”.
Lo scienziato de Waal presenta molteplici esempi che mostrano la presenza della morale negli animali. Hanno comportamenti di solidarietà, di cooperazione, di altruismo, che esprimono sentimenti morali. Evidenze scientifiche indicano che tutti i mammiferi sono creature “intensamente affettive”, ricercano cibo ed evitano pericoli e predatori. Gli animali hanno la capacità di individuare chi coopera e chi non collabora, chi è amichevole e chi mostra ostilità, chi domina e chi è subordinato. I cani, ad esempio, sono creature giocose, compiono gesti ludici, invitano a giocare e riescono a comunicare che la loro intenzione è amichevole e non aggressiva.
Gli animali sono intelligenti: possono risolvere problemi e sono dotati di “flessibilità cognitiva” (Marsh). Essi sono in grado di mappare e ricordare il contesto spaziale del loro ambiente. Sanno dove è casa e dove cercare cibo. Di qui, la scoperta che molti animali hanno sistemi nervosi. Tutti i mammiferi sognano. Il nostro cucciolo Kimi quando sogna scuote le zampe, emette strani suoni o muove la bocca.
Nei mammiferi, l’accudimento per il benessere dei piccoli è un “obbligo”. La cura dell’altro denota l’emergere di ciò che alla fine confluisce nella “moralità” P.Churcland). In questi comportamenti sono coinvolti l’ossitocina e altri oppioidi. L’avere cura di sé e dei propri piccoli è una funzione fondamentale del cervello, il quale è “programmato e organizzato” per la cura di sé, dei piccoli e degli altri (Porges).
Gli animali hanno poi sentimenti emotivi. Lo studio di questi meccanismi cerebrali negli animali rappresenta un sicuro percorso scientifico per comprendere i sentimenti e le emozioni degli esseri umani. Esistono quindi “somiglianze cerebrali e di comportamento” tra l’uomo, il cane e gli altri animali. Alcuni autori hanno parlato di “psicologia degli animali”.
La mente delle piante.
I fiori e le piante non sono soltanto un delizioso ornamento, sono esseri viventi che hanno “una vita mentale”. Essi sono capaci di percezione, movimento, decisione, orientamento, interagire tra loro, cognizione sociale, elaborare strategie finalizzate ad uno scopo.
Le piante poi sono generose, opportuniste, competitive. Hanno una vita sociale, percepiscono i segnali provenienti dall’ambiente circostante e adottano comportamenti necessari alla sopravvivenza (Darwin). Queste capacità rientrano nella definizione di “processi cognitivi”.
In sostanza, le piante- scrive Umberto Castiello nel suo libro “La mente delle piante” (il Mulino)- “sono intelligenti”, e dunque possiedono “una psicologia” che può essere studiata e verificata, analizzando il loro comportamento in termini di stimoli e risposte (S-R). A queste conclusioni stupefacenti e incredibili sono pervenuti gli scienziati sulla base di numerosi esperimenti effettuati in Italia e in altre parti del mondo.
I dati della ricerca rivelano che i comportamenti delle piante sono “molto simili” a quelli che si osservano negli animali. In realtà, le piante non hanno un cervello, ossia un sistema nervoso. Come è possibile allora parlare di processi cognitivi nelle piante? Finora, non abbiamo una risposta.
Evidenze scientifiche sostengono che le piante sono organismi che possiedono “tutti e cinque i sensi comunemente conosciuti: vista, udito, tatto, gusto e olfatto”. Le piante sono capaci, come abbiamo detto, di percezione, riescono a ricevere informazioni dall’ambiente circostante e interpretarle. Attraverso meccanismi fisiologici, esse percepiscono stimoli luminosi, tattili, uditivi, olfattivi e gustativi, proprio come gli esseri umani e gli animali. Percepiscono inoltre la temperatura, l’elettricità, l’umidità e i campi elettromagnetici.
Gli “occhi” delle piante.
Attraverso molecole fotosensibili (fotorecettori) simili a quelle dell’occhio umano, le piante percepiscono la luce e sono quindi capaci di “inclinarsi” verso quella direzione. Oltre alla luce, le cellule (che agiscono come lenti) permettono alle piante di “vedere” il mondo circostante, come riconoscere la forma e le caratteristiche di altre piante. Anche le radici sono dotate di recettori idonei a “catturare la luce” (Yokawa).
Le “orecchie”.
E’ stato Darwin a studiare per primo la percezione uditiva delle piante. I suoni, recepiti attraverso piccoli organi, hanno la capacità di indurre nelle piante “modificazioni fisiologiche”. Il suono poi influenza la crescita delle piante ed ha la capacità di modulare l’espressione genica. E’ stato dimostrato che il canto degli uccelli determina “un aumento” dei germogli nelle piante di zucchine (Schwartz). Il rumore dell’acqua che scorre nel suolo induce nelle piante di pisello un aumento della crescita delle radici in direzione della fonte dello stimolo acustico. Altre ricerche evidenziano che diversi stili musicali sono in grado di “determinare” effetti sulla crescita delle piante, come ad esempio un aumento della lunghezza dei rami e della fioritura.
Il “tatto” delle piante.
Le piante hanno la capacità di percepire e interpretare gli stimoli tattili, almeno dieci volte meglio degli esseri umani. I segnali tattici servono a valutare i pericoli, ad approntare le contromisure e a modificare la loro crescita.
Il “naso” delle piante.
Con il termine olfatto, si intende la capacità della pianta di reagire a molecole chimiche volatili.. Nelle piante, l’olfatto è uno dei “sensi” più sviluppati, capace di ricavare informazioni olfattive presenti nell’aria, ed elaborarle allo scopo di prendere decisioni conseguenti. Dagli esperimenti effettuati risulta che mettendo in un sacchetto un frutto maturo insieme con uno acerbo, il frutto maturo viene “annusato” da quello acerbo, il quale raggiungerà in tal modo una maturazione rapidamente. Ciò è possibile grazie ad uno scambio di informazioni reso possibile dall’emissione di un ormone vegetale chiamato etilene.
Quando vengono attaccate da insetti, le foglie liberano gas ed emettono sostanze nocive. Esse percepiscono inoltre i loro stessi odori e quelli delle piante vicine. L’olfatto, infine, utilizzano l’olfatto per la loro crescita e sopravvivenza. Il “gusto” delle piante. Come negli esseri umani e negli animali, anche nelle piante l’olfatto e il gusto sono “intimamente connessi”. In risposta agli attacchi di insetti e batteri, esse rilasciano varie sostanze chimiche volatili per avvertire le piante vicine.
Il senso del gusto
Riveste un ruolo importante soprattutto nelle piante carnivore, le quali sono dotate di appositi meccanismi per intrappolare le prede, come insetti, ragni e farfalle. Il gusto è molto sviluppato anche nelle radici attraverso le quali le piante assorbono nitrati, fosfati e potassio.
Il movimento delle piante.
Le piante si muovono. I movimenti sono molteplici e rapidi, come ad esempio i movimenti delle piante carnivore allo scopo di “chiudere” le trappole e ripiegare le foglie dopo una stimolazione tattile. Le ricerche hanno dimostrato che i movimenti sembrano “pianificati” e “guidati” da fattori emozionali per raggiungere un obiettivo.
Le ricerche di Darwin hanno dimostrato che i movimenti delle piante sono “universali” e tendono a crescere e muoversi in direzione della luce. Esse hanno, come gli altri esseri viventi, un orologio biologico, che permette loro di muoversi in maniera differenziata in base alle diverse fasi del giorno.
Le piante imparano e ricordano.
Il freddo, il caldo, la siccità o la salinità non solo possono essere “ricordati” dalla pianta, ma alcune memorie possono essere “trasmesse” alle generazioni future. Le piante apprendono la direzione del sole. Le ricerche hanno indicato che nessuna pianta selvatica potrebbe sopravvivere “senza il ricordo delle esperienze passate”.
La memoria avviene attraverso la trasmissione di segnali elettrochimici, che caratterizzano la fisiologia delle piante. Memoria e apprendimento sono utili nelle piante per difendersi da insetti, molluschi o mammiferi, e da infestazioni di parassiti. Mettono in atto risposte di difesa per mezzo di sostanze chimiche tossiche, le quali provocano la paralisi dell’insetto o di altri animali.
Gli esperimenti in materia infine hanno evidenziato che le foglie di una pianta hanno un comportamento di “apertura e chiusura” dopo una stimolazione tattile (Eisenstein).
La comunicazione nelle piante.
Le piante comunicano tra di loro e con l’ambiente attraverso migliaia di molecole chimiche volatili. Sono messaggi cifrati di suoni, colori, forme e odori. Si tratta di messaggi che vengono ricevuti e decodificati da altre piante e servono spesso per respingere gli insetti. Il morso di questi animali attiva la produzione di sostanze che non solo aumentano le difese della pianta, ma servono anche ad avvertire le altre piante circostanti.
Oltre ai segnali chimici anche quelli visivi hanno un ruolo nella comunicazione tra le piante, cambiando colore, posizione e forma.
Le piante scelgono.
Come gli esseri umani e gli animali, le piante hanno “recettori” che rilevano le informazioni, che servono per prendere decisioni, come ad esempio “quando fiorire e germogliare”. La vita sociale delle piante. Il Sé e il non-Sé. Le piante hanno un’attitudine sociale, come cooperare, competere, evitare o tollerare le piante vicine. Possiedono un Sé, riescono a “distinguere” se stesse dalle altre, riuscendo a “discriminare” elementi provenienti da altri organismi (il non-Sé) da elementi provenienti dal proprio organismo (il Sé).
Riassumendo. Le piante mostrano la propria intelligenza, possiedono abilità cognitive, sensibilità ed emotività, apprendono e ricordano eventi passati
Si fa strada una nuova frontiera, "un nuovo tipo di scienza", che mette insieme- afferma Monica Gagliano nel suo libro "Così parlò la pianta" (Nottetempo)- "la scienza sperimentale e la metafisica- lo spirito- e le fa dialogare".
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