La desideravo da bambino con la bici,
il suo limite invalicabile oltre il cancello di casa,
spartito perfetto per le marcette ritmate sui passi
accompagnati da un fumetto in mano.
Fosse stata a due passi dalla scuola
oppure immaginata;
le montagne in fondo potevano essere il grande nord,
oppure svoltare su una pista sabbiosa.
Desiderarci una moto sdraiata come ai telefilm americani
la mattina in una tv ancora ingenua.
La strada di casa, fuori mano, sempre isolata
e il cimitero poco più in là, come in un film che non ho mai fatto,
sentirmi un po’ un Addams nella testa prima dell’adolescenza.
Il lungo muro buono per i murales,
alle prime idee di appartenenza.
Dimenticarla,a lungo snobbarla,
prima il rigore, forse poi lo studio e un’altra vita,
e a ridosso dei trenta, con la rivoluzione sopita,
la chitarra richiusa, solo con qualche altra lettura,
il proposito di una testa più serena,
per assurdo che sia è lì che richiama,
la strada che incita alla via,
forse che non è luogo d’appartenenza
e devi camminare per forza di cose
e allora non ti lascia nessuno
perché è dato pur certo che ci si solo incontra
e poi si va via, e non ti lascia nessuno
perché è giusto così, si cammina
e quella è la via.
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