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Dopo l’amore

Narrativa

Giancarlo Marinelli
Edizioni Guanda

Recensione di Giacomo Coniglione
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Pubblicato il 21/06/2008

“È sempre con il fiume che dobbiamo fare i conti, è lui il nostro punto di riferimento… E non importa se soffriamo, se abbiamo male, se perdiamo tutto, se moriamo…niente spezza la nostra fedeltà”. Un fiume che “fa fatica ad aprirsi sul mare ma che alla fine ce la fa”, un fiume che è memoria e continuità, che è passione e contravvenzione, specchio e microfono della realtà, metafora della vita, e così “i pescatori al Po rubano il pesce, mentre il Po ruba ai pescatori le parole e la voce”.

Dopo l’amore è la terza creatura dello scrittore e regista Giancarlo Marinelli, un cortometraggio di quelle che sono le vicende umane che si dipanano nell’attimo in cui i protagonisti si scoprono non più adolescenti. È il 1998, un anno cruciale perché coincide con i mondiali e con gli esami di maturità, con la perdita della verginità e della invisibilità: “Adesso noi non siamo più invisibili, Mattia. Chi si bacia, chi si ama, ritorna a vivere”.


Mattia, Camillo e Franco. Tre amici, tre animi ancora da raffinare al fuoco dell’amore e delle sue subdole contraddizioni. Giovani che, come le onde, vogliono “cercare di superare il mare, staccarsi dal mare, per abitare sulla terra”. Il romanzo inizia con una ampia panoramica su quello che è il proscenio del romanzo: Scardivari, un anonimo paesino che si perde nella immobilità dei gesti e che si apre in due sole strade: l’asfalto e il fiume. Camillo, bullo e dandy allo stesso tempo, “vive” il romanzo solo marginalmente. Egli compare per lo più con le uscite di scena di Franco, che in paese non esiteranno a definire “un rapatus di gelosia o di follia”, ragazzo sensibile, cresciuto dalla sorella che ora sta per morire, consumata dal tumore. Malattia che diventa topos, ricordo del passato, tormento del presente, assenza del futuro.

Il romanzo prende accelerazione non appena Martina, una graziosa ragazza amata da Franco, si mette con Mattia. Non è solo gelosia quella di Franco: è paura, perché sa che per Mattia questa è solo un’avventura, un modo per vivere il sesso e per dimenticare. Mattia chiuderà la storia per non ferire Martina e lo stesso Franco. Ma anche, e soprattutto, per via di Jessica, una spogliarellista che diventa strumento di vendetta e, suo malgrado, il deus ex machina per far uscire Mattia dall’apatia e dal dolore che, nel frattempo, ha travolto come una piena lui e Martina: “Come sento tutto mio un'altra volta, come è incredibile sentirsi innamorati, anche solo di una speranza, per tornare felici. È come se solo la luce di quella speranza abbia un bagliore così forte da far luccicare, profumare, esaltare anche ciò che prima sembrava merda”. Un amore che sembra nascere spontaneamente dalla corrispondenza degli sguardi.

Nel romanzo trovano spazio anche delle piccole storie veramente originali, che vanno ad intrecciarsi con quelle dei protagonisti. C’è il “medico della benzina”, che diventa angelo della morte, che è sicuro che : “Quando dentro la figa c’è l’odore di benzina vuol dire che è finita… Non sono ubriaco e non sono matto… Vi dico che quella ragazza lì ha il tumore perché ha l’odore della benzina dentro il corpo”. C’è il pianista del cimitero chiamato così perché “il suo pubblico erano i morti e la funzione della sua vita era quella di suonare per loro, di accompagnare la loro morte con dolci melodie; le armonie più allegre, più ritmate e giocose, le suonava per gli amici e i parenti che, dopo aver visitato il proprio defunto, uscivano dal cimitero con l’espressione triste e i visi rigati dalle lacrime”.

Il romanzo si chiude in una camera di ospedale, piantonata da un carabiniere. È la numero 64, un numero non a caso. Se il 32 era il numero della camera d’albergo in cui Mattia e Jessica si erano aggrovigliati e riscaldati, il suo doppio sembra rappresentare, dopo l’amore, un ritorno all’amicizia adulta.

Dopo l’amore è un libro adatto al pubblico giovane, perché nella sua leggerezza, si fa leggere e si insinua fino a costringerti a divorarlo come le leccornie della mamma perché “noi non possiamo fare a meno del fiume… senza il fiume siamo condannati ad essere meno di niente”.

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