Guido Brunetti
Cervello, mente e coscienza: un legame misterioso
Venticinque secoli di studio non sono stati sufficienti a comprendere il cervello, la mente e la coscienza. Tre parole che nascondono ancora abissi di ignoranza. Nonostante la mole imponente di dati e informazioni raccolti grazie alle metodiche di "brain imaging", tutte le ipotesi non sono riuscite a svelare che cosa siano il cervello e la mente. Per non parlare della coscienza. Finora non esite alcun accordo su una teoria condivisa.
Ogni tentativo di dare una definizione formale di coscienza, appare, come scrive Crik, "fuorviante e restrittivo".
La domanda più cruciale per i neuroscienziati è come la mente, e dunque la coscienza, emerga dall'attività neurale. Alcuni autori sostengono l'inaccessibilità della mente alla comprensione sperimentale, poiché gli stati soggettivi sono accessibili direttamente solo al soggetto che li esperisce (McGim). Altri studiosi invece ritengono che gli stati mentali sono riconducibili agli eventi fisici delle cellule nervose (materialismo eliminativo) e pertanto possono essere studiati come ogni altra funzione osservabile del cervello (Libet). L'esperienza cosciente, per Searle, è un fenomeno reale, un "processo biologico" che coinvolge i neuroni del cervello.
Ci troviamo tra una concezione meccanicistica e un mentalismo altrettanto irriducibile. La mente intesa come un aspetto del cervello (monismo) e la mente vista come un'entità indipendente dal cervello (dualismo).
La storia dei tentativi di spiegare e comprendere cosa siano effettivamente la mente, la coscienza e il cervello è lunga. L'arcano non è ancora svelato.
Nel suo dizionario, Sutherland definisce la coscienza "un fenomeno affascinante, ma elusivo; è impossibile specificare cosa è, cosa fa o perché si è evoluta. Non è stato scritto nulla che valga la pena di essere letto". "Nessuno- aggiunge Fodor- ha "la benché minima idea di cosa sia la coscienza, o a cosa serva, o come faccia ciò che deve fare". Né siamo in grado di spiegare e capire come qualcosa di materiale (il cervello) potrebbe essere "consapevole" (McGim). La mente e la coscienza sono "un mistero" (Quine).
I grandi enigmi riguardano questi problemi: come fanno i neuroni a dare origine a pensieri, emozioni e sensazioni? I due domini, per molti autori, sono tanto dissimili da non essere conciliabili.
In realtà, scoprire in che modo le strutture cerebrali producano la mente è una delle maggiori sfide per i neuroscienziati.
Storicamente, alla base delle idee millenarie sulla mente si trova l'ipotesi della "immaterialità della coscienza" (Eccles) considerata "entità inconoscibile". "Ignoramus ignorabimus". Concetti diametralmente opposti vengono sostenuti da tutta una schiera di neuroscienziati. Lo studio scientifico delle basi neurali della mente e della coscienza- essi dicono- è "empiricamente possibile e direttamente accessibile e trattabile".
Alla domanda di sempre: "Che cosa è la mente?" La maggior parte degli scienziati risponde: "E' ciò che il cervello fa". Il pensiero si basa su eventi cerebrali. La coscienza è perciò una "proprietà" dei processi neurali, un'entità fisica, un oggetto reale, materiale. Insomma, sono i neuroni del cervello a generare la mente e la coscienza.
L'enigma della mente risale ai primordi del pensiero greco e purtroppo continua sino ai nostri giorni.
I primi filosofi tendono ad attribuire la mente a un principio immateriale. L'idea di anima e quella di mente nel corso dei secoli si sono sovrapposti. Il concetto di coscienza invece è relativamente recente ed è stato introdotto da Cartesio. Il termine deriva dal latino "scio", sapere. L'inventore dell' anima intesa come struttura spirituale immateriale e immortale e dunque eterna è stato Platone.
Aristotele credeva nell'esistenza di più anime (vegetativa, sensitiva e razionale) viste non nel senso spirituale del termine e destinata a non sussistere dopo la morte. Anche per l'Antico Testamento, l'anima muore con il corpo. E' stato il Cristianesimo a sviluppare una concezione diversa dell'anima, ritenuta un'entità immateriale che sopravvive al corpo, come avevano sostenuto Socrate e Platone.
Da parte sua, Cartesio ammette l'esistenza di un corpo materiale e di un'anima concepita come un dispositivo non fisico, immateriale. E' una teoria che prende il nome di dualismo cartesiano, ossia la distinzione ontologica tra la mente e il corpo. La mente è una sostanza la cui essenza o natura è esclusivamente il pensare: "Cogito ergo sum", "Penso, dunque sono".
Una concezione opposta viene sottolineata da Freud quando afferma che la mente è identica al cervello e da Darwin, il quale prende le distanze dal dualismo ontologico per teorizzare l'idea dell'evoluzione per mezzo della selezione naturale.
Perveniamo così al ventesimo secolo quando vengono poste le basi per lo studio sperimentale del cervello attraverso l'introduzione di nuove tecnologie che oggi consentono di "visualizzare" il funzionamento cerebrale umano vivo.
Il primo ad esaminare il problema della coscienza è stato William James, il quale respinge ogni metafisica a priori, ogni filosofia astratta in favore di un metodo pratico definito pragmatismo.
Nasce poi una nuova scuola di pensiero nota come "behaviorismo" o comportamentismo basato sul modello stimolo-risposta (S-R). Il suo vero tema di indagine non è l'esperienza mentale soggettiva, ma il comportamento osservabile studiato con mezzi scientifici e non con tecniche introspettive. Sino agli anni '50 del secolo scorso, la mente e la coscienza sono "tabù" nel dibattito scientifico.
Il primato del modello behavioristico inizia ad affievolirsi verso la metà del secolo con la novità delle scienze cognitive, le quali considerano il funzionamento del cervello e della mente come "un tutto integrato", come l'esito di un processo neurale.
Le moderne neuroscienze sviluppano una concezione della mente vista come realtà fisica e perciò suscettibile di esame scientifico. Rinunciando al concetto di una mente immateriale, queste trasferiscono la mente nel cervello. Si consolida in tal modo la teoria del riduzionismo o fisicalismo, l'idea che ogni cosa è riducibile a quantità di ordine fisico. Dunque, la mente- ogni evento mentale- è considerato un "prodotto" dei circuiti neurali dotati della capacità di renderci coscienti. Mente e coscienza sono un prodotto dell'attività cerbrale.
Finora, abbiamo raccolto una enorme quantità di conoscenze, studiato con attenzione i portatori di lesioni cerebrali, esaminato le capacità mentali di individui con un quoziente intelletivo (QI) eccezionale per capire e spiegare il mistero del cevello e della mente. Eppure, il campo di studio è ancora alla ricerca di valide e accertate teorie per riuscire a inquadrare il problema di come effettivamente funziona la mente.
La questione tuttavia resta sempre lo stesso: come accidenti funziona. Non siamo infatti riusciti a comprendere come una mente immateriale ( di per sé non suscettibile quindi di indagine scientifica) potesse interagire con un corpo materiale.
La realtà è che è difficile definire in che cosa consistano la cosciena, gli stati soggettivi, le esperienze personali.
La coscienza manca di oggettività.
Quello che possiamo affermare è che il riduzionismo materialistico o fisicalismo non è in grado di spiegare la coscienza fenomenica, i cosiddetti "qualia".
Non abbiamo "la più pallida idea di come un oggetto fisico possa costituire il soggetto di una esperienza" (J. Levine). Vediamo un oggetto rosso, avvertiamo un dolore, ma dove sono gli eventi capaci di spiegare l'esperienza soggettiva della "rossezza" e la sensazione del dolore?
Concordiamo perciò con altri neuroscienziati, i quali ritengono che gli stati mentali (la mente) siano qualcosa di fondamentalmente "distinto" dai sistemi fisici (il cervello) ai quali non possono essere ridotti (Chalmers).
Anche l'ipotesi asserita ultimamente dal neuroscienziato Michael Gazzaniga nel suo libro " La coscienza è un istinto" (Raffaello Cortina Editore) non ci trova assolutamente d'accordo.
Ma davvero la coscienza è un istinto? E come è possibile che la mente sia un prodotto dell'istinto, ma può essere modificata dall'esperienza personale? Se la coscienza fosse un istinto, gli esseri umani sarebbero come "automi, zombie senza discernimento". Sostenere questa idea equivale a "condannare l'essere umano a una prospettiva puramente deterministica ed avvilente". Sarebbe la scoraggiante "caricatura" dell'uomo come robot alla mercé di "reazioni riflesse".
L'essere umano ha un corpo (cervello), una sostanza materiale, ma ha anche una "essenza", una mente, uno spirito, un Io, una coscienza, una capacità creativa.
"Posso concepire l'uomo- scrive Pascal- senza mani né piedi né testa. Ma non posso concepire l'uomo senza pensiero".
E' lo spirito a distinguere l'essere umano dalle altre creature e porlo in una dimensione metafisica e trascendentale.
E' lo spirito che fa per eccellenza l'uomo.
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