[ Recensione di Federica Giordano ]
Inizio fine di Daniele Piccini è uno studio sulla gradazione della vista.
Lo sguardo che genera questi testi è una messa a fuoco sul piccolo senza che il grande sgrani.
Un approccio che mi verrebbe da accostare al lavoro fotografico di Gabriele Basilico. Lontananze e vicinanze dialogano sul foglio e, misurando l´occhio, sondano la profondità della coscienza.
In questi versi ci sono la vita umana e la “historia” che viaggiano ad altezze diverse, ma qualche volta accade che si riesca a fare un volo di falco molto in alto, che si riesca ad adattare lo sguardo in modo da guardare la sommità di un grattacielo anche standoci immediatamente sotto. Il risultato è un´immagine completamente priva di dimensioni, una forma pura, qualcosa che esisteva nella mente prima della percezione.
Un soffio nel creato, senza centro,
che non leghi più altri alla catena
ma produca una maternità oscura
per le bestie smarrite, per le specie,
generi nuovamente ciò che c’è (...)
L´immagine del soffio ri-creatore ricorre numerose volte nel corso della lettura. Rappresenta sempre un momento di epifania e di speranza. Si tratterebbe di una nascita “piú vicina alla verità” rispetto a quella della ragazza che mette alla luce un figlio per la seconda volta (di cui si parla in un altro testo). Ancora una volta ritorna in causa il concetto di “gradazione”.
Anche Luigia Sorrentino in Olimpia scrive così: "la sua giovinezza si spense \ divenne una cicala \ poi solo una voce, un soffio \ divenne”. In questo passaggio c’è un processo di riduzione, di ritorno allo stadio primitivo delle cose, l´atto prima del quale nulla esisteva: il soffio. Il soffio di Zefiro che sospinge Venere nella celebre scena di nascita botticelliana.
Piccini conferisce a queste esperienze di lucidità visiva un valore importantissimo per l´individuo. Il ricordo diventa un bagaglio di esperienza che ha perso il legame con la realtà, addirittura dimenticato dall´autore.
Lascio che mi trafori quello sguardo
di antica madre: lo metto tra gli altri
moniti che dimentico nel sonno
Questo dimenticare nel sonno ha un sapore molto classico. È come se Piccini avesse bevuto l´acqua del fiume della dimenticanza; inoltre il sonno, nella storia del pensiero antico, rappresenta lo stato d’incoscienza opposto alla filosofia. L´uomo è un dormiente eracliteo secondo Piccini, un dormiente che però conserva il valore di alcune esperienze come un “monito”. E il monito non si dimentica. È proprio attraverso di esso che l´autore riesce a rimanere molto ben ancorato con la lingua sui sensi e sul corporeo: lo slancio ideale della sua penna non si configura affatto come descrizione mitica o idealistica. Piccini resta una vittima felice della gravità che lo trattiene, permettendogli di apprezzare i picchi, le vette, le altitudini.
Questo legame terreno si configura come un attaccamento filiale e biologico.
Fa’ che ci sia, tra una lucciola e l´altra,
ancora la mia vita.
Ho molto apprezzato il modo in cui viene colto il dinamismo dell´esistenza. “Questo enorme sibilo di mondo che si assesta”, scrive Piccini descrivendo un momento astorico di disgelo, un´evoluzione calata in un´atmosfera da Pangea. Anche in questo verso si percepisce, seppur in modo meno esplicito, il confronto dimensionale tra micro-macro mondo, cosmo e individuo.
Bello anche il modo in cui il “l´eterno femminino” trova posto nella pagine di Inizio fine: una donna che, anche quando viene, è sempre madre, tiene sempre accesa la fiamma azzurra della coscienza, sfuggendo alla meccanica del godimento. La donna di Piccini è dispensatrice di piacere e alternativa alla storia, una mater matuta salvata dall´anacronismo.
Andiamo dove vuoi: spazio del gioco
è il fianco che contiene giá il guizzare
del nuovo nato, e niente è piú sicuro
Nella seconda parte della raccolta, il forte vitalismo viene adombrato dal cumulonembo pesante del male.
viene il pensiero che il male non è
che si possa scacciarlo, e che si annidi
in ogni nostra opera (...)
L´autore percepisce in modo chiaro come si compia quotidianamente un disastro, la zavorra quotidiana che ci tira verso il male, gli inferi vissuti che non hanno nulla di mitico.
Piccini infatti non trova metafore grandiose per la morte, preferendo descriverla con il tratto morigerato di Giorgio Morandi: un “buco nella tela”.
Inizio fine, pubblicato da Crocetti nel 2013, è una raccolta poetica che si muove verticalmente a varie altezze, un lavoro che, come giustamente sottolinea il titolo, apre e chiude continuamente finestre sul mondo.