Pubblicato il 30/03/2011 01:03:05
È soltanto la pulsione verso l'irreale che mi spinge a vivere la mia vita reale.
Il mio sogno era una specie di strana poesia. C'era una casa che non aveva fine incassata in una base di tufo grezzo e pareti scricchiolanti in continuo movimento e fuochi accesi nella terra, agli angoli delle stanze. Decine e decine erano i visitatori, alcuni conosciuti, alcuni no. Sembravano fantasmi nel buio delle discese, passeggiavano con le ragazze osservando automobili a metà che fuoriuscivano dai muri. Alcuni mi portavano dei doni e io promettevo loro che li avrei indossati, ma avevo solo un paio di pantaloncini luridi di fuliggine e il muco al naso. I bambini mi venivano incontro tirando pietre. Io avevo una verga gigante. Li percuotevo sulle mani per far loro vedere che nel gioco del più forte non c'era vittoria. Percuotevo tutti. Mi voltai e avevo alle spalle un trampoliere con le sopracciglia calate sugli occhi. Percossi anche lui preventivamente. Per progredire – mi disse. Distolsi lo sguardo, portai la mani alle tasche, abbandonando la verga e presi a fischiettare verso una salita. Per progredire. Per rivoluzionare – disse ancora, alle mie spalle. Alzai un pugno, ma non so se mi vide.
17 febbraio 2011.
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