Sulla poesia di Cruciano Runfola
L’INQIUIETANTE ASSENZA DEL BENE
“Bonum sequi, mala fugere” (Cic.) , che potremmo tradurre “abbraccia il bene, rifuggi dal male”: ero tentato di dare questo titolo a queste mie note sulla poesia di Cruciano Runfola in omaggio ai diffusi riferimenti letterari, che danno la misura della sua sensibilità alle istanze spirituali.
Ma avrei messo fuori strada il lettore, perché il cruccio di Cruciano (lo chiamo confidenzialmente per nome) non è, ovviamente, scegliere tra bene e male, ma è più propriamente l’inquietante costatazione dell’assenza di quei valori che dovrebbero costituirsi come “bene” morale e civile.
Invero, l’ansia dell’ uomo e del poeta è la realtà che gli si presenta crudele, inafferrabile, irriducibile. Se potesse, Cruciano questa realtà la metterebbe fra parentesi.
Ma, ovviamente, non può, e, poeticamente, ne fa risuonare solo un’eco, a cui subito contrappone la voce di ciò che dovrebbe o potrebbe essere il “bene”,
…
Sono in una buona parola
Nella tolleranza,nella comprensione
In un sorriso affabile,
in un richiamo amorevole
…
Non sono …
Negli occhi dei cattivi, degli indifferenti,
dei superbi,, degli esecrabili saccenti
…(Vita aeterna p.78)
Cruciano ha un animo di verace poeta, ciò che vede, sente, pensa, ha la “distorsione” dell’istintivo sguardo poetico, quello che vorrebbe coprire la realtà di nobile esistenzialità o liberarla d’un tratto della sua incoercibile durezza.
E’ il poeta che sogna il bene e si rattrista del male, alla ricerca di un conforto che sia la fede o la famiglia, luogo e rifugio di incorrotti sentimenti, che, tuttavia,non appagano, perchè il mondo fuori e la vita incombono minacciosamente.
La vita, in questo mondo, se presunta come valore morale, si rivela, appena calata nel sociale, una trappola senza via d’uscita, perché per Cruciano non c’è dialettica tra bene e male, o c’è l’uno o c’è l’altro, è una dicotomia assoluta, non c’è scampo, non c’è speranza, se non nella fedeltà tutta personale agli insegnamenti del Cristo, e non certo nella buona volontà degli uomini.
L’unica difesa il ripiegamento interiore a ritrovare, quanto meno in se stesso, ciò che è mite, bello, buono.
Si capisce, allora, questo suo affacciarsi al mondo attraverso le parole della poesia, questo confrontarsi con la realtà attraverso la scrittura, un modo per Cruciano di ammansirne l’assurdità
…
Osservo il mare calmo letale.
Il mio abnorme urlo silente plasma il creato
trasfigurandolo in atomo opaco di male
mentre alzo il pugno versus il cielo
la mia mente esplode la mia carne brucia
….(XI agosto, p. 44)
o anche un modo di obliarla per ritrovarsi cullato dal sogno
…
e poi…non ho sentito più dolore
non mi sono accorto di niente
son passato mentre dialogavo
ho lasciato il mio inferno
e ho trovato la beatitudine.
(Il sogno di John, p.50)
Ma è un acquietamento temporaneo, effimero, perché il sole del mattino ripropone l’asprezza del vivere.
E così la poesia non può che essere introversione, riflessione, dove il riferimento alla “cosa”, al fatto concreto, rimane sullo sfondo, si lascia intuire, prevalendo la reazione emotiva con parole che affiorano talora come sospiri
…
Lì staremo bene, amore mio
niente di male ci succederà
non sarò ingannata e violentata
ma godremo della vita mancata
fingerò la presenza, vivrò nell’assenza
sarò un angelo, non Angiolina
(Il fiore, p. 52)
Cresciuto in ambiente contadino, vive degli ultimi bagliori di una civiltà al tramonto, viziata per di più dal torbido, corrosivo, “subitaneo materialismo”.
Di quell’ambiente che non riesce ad accogliere senza riserve e perplessità, si percepiscono tra le pieghe del dettato poetico i valori della semplicità, essenzialità, decoro morale, ma non basta a farne base tematica primaria e prediletta, perché
Figghiu mia, vinisti tuttu diversu
…
Lu munnu un è fattu
di li to sogni a uocchi aperti
lu munnu è ‘milinatu
di la nmiria, di li suordi, di l’avarizia
di la malatia, di la solitudini, di l’odiu. (Patres filique, p.28)
Questo è un punto focale della poesia di Cruciano Runfola: da un lato, la terra, “alma mater”, è legame, memoria, famiglia, ormai irriconoscibile
Niente sarà più lo stesso, Demetra
né le stagioni, né il cielo stellato
il tutto si è smunto innanzi a te
i carciofi, le lattughe, i melograni
il consorte,l’erede, gli avi,
mammona, lussuria, potere
…(Demetra, p.31)
dall’altro la ripulsa della cosiddetta “modernità”, “barbarie”, “vuoto”, “nulla”, dove
…
la polvere della distruzione copre
il tutto, e ormai nel pieno del nulla,
rimane il ricordo del tronco nello stagno
…
(L’anguilla, il tronco e lo stagno, p.43)
Rifuggendo dall’uno e dall’altro mondo, l’uomo e il poeta, inerme a costatare la desolazione morale, e irresoluto, non riesce a percorrere fino in fondo i risvolti culturali ed esistenziali, dove forse avrebbe potuto o ancora potrebbe rintracciare più compiutamente le radici della sua poesia.
Questo potrebbe spiegare,ad es, la propensione a trarre spunti e suggestioni dalla grande poesia antica e moderna, a farne trama mimetica dei motivi che più gli stanno a cuore.
Stretto tra il turbinio della realtà, le risonanze del mondo contadino e gli stimoli letterari, la poesia di Cruciano risente della ricerca estemporanea di armonizzare i vari elementi della sua ispirazione.
La “compresenza”, definiamola così, sembra perciò essere il tratto distintivo della struttura compositiva, sia sul piano emozionale che linguistico, determinando, in genere, esiti stilistici non omogenei.
A meno che non ci soffermiamo sul nucleo emotivo dove si concentrano, a mio parere, tensione, compattezza espressiva ed afflato lirico.
Mi riferisco a strofe e componimenti ,che sono parecchi, si capisce, ma qui ne cito alcuni a mo’ d’esempio : Demetra; Bianco e nero; Lasciami qui; Melibeo; Amore mio; ecc.
L’incertezza stilistica (ripeto, secondo me) assume particolare evidenza in XI Agosto e Agnus Dei, dove enfasi linguistica e forzature espressive rendono il testo nebuloso e retorico, pur non mancando qui e là, come in altre composizioni analoghe, versi corposi, incisivi, trasfiguranti.
In conclusione, il sentimento del mondo di Cruciano ha un sottofondo di “innocenza” (per Pascoli, come si sa, era il “fanciullino”),che è proprio dei poeti autentici;il suo cuore è ricco e denso di trasporto emotivo, ma tutto questo non sempre si traduce in empito lirico, interferendo ridondanza tematica e difformità di linguaggio che, talora, sfiora l’ibridismo come ad es. in Decem.
Se è vero che “lo stile è l’uomo” come sosteneva G.L.Buffon, ripreso dal De Sanctis come principio etico-estetico della critica letteraria, a Cruciano uomo e poeta sospeso tra il “finito” e “l’infinito”, io indicherei come paradigma della sua poesia Demetra e Tesoro, due composizioni esemplari delle radici e del valore di Cruciano poeta.
NICOLA LO BIANCO
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