E dico che la sera arriva silenziosa
I sassi nelle vene cominciano a scolpire
Il verbo del passato
Posandolo fra resti e volontà
E dico che i miraggi sono nei deserti.
Potrei seccare a venerarli fieno.
Assetarmi all’infinito
Per un patto simile alla gioia
Che possa definire
Qualcosa d’opportuno,
Affabile pietà, per noi
Che a volte inceneriamo
Sfidando la speranza ogni mattina
E dico che basta la nebbia a fare la follia,
Ragioni uguali al pane,
Campi di preghiere inesaudite
Dove sbocciano le spine
Ingentilite al vento là dove piega un po’
Soffiando gettate d’evenienza
Credo al destino, fatica e delizia;
Al fuoco spento e al freddo della morte
Adesso, appena specchio, voltandomi compresa
Mia è l’ombra imprigionata
E tutto il resto è attesa,
Miniere di cadute e poi bastoni
Ché il passo a malapena si conquista
Trainando l’esperienza
Cos’è questo sole a comparsa che mi tormenta addosso
Fingendosi splendore esagerato;
È un ladro d’equilibri e di bontà
Mentre sveniamo il tempo
Nel fondo del bicchiere
Bevendo frattaglie in armonia
Avrò lividi e rughe, domani
Giudizi come grano da trebbiare
La posa innaturale del dolore
E forse amerò il cielo
Murandolo a metà
Marina Minet
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