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Le gazzelle di Thomson

Poesia

Ugo Petrini (Biografia)
Giampiero Casagrande editore


Recensione proposta da LaRecherche.it

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Pubblicato il 25/10/2013 12:00:00

 

[ Recensione di Silvio Aman ]

 

Attorno alla raccolta poetica Le gazzelle di Thomson si è ampiamente espresso Alessandro Martini nella postfazione Circospezioni e spifferi nella poesia di Ugo Petrini, che una volta decifrato il messaggio contenuto nel curioso titolo, ha messo accuratamente in luce le ragioni dell’opera con alcuni importanti rilievi legati agli anagrammi, al tipo di sintassi (capace di legare con armonia da cima a fondo i componimenti, anche laddove divisi da strofe) al carattere delle rime, al tipo di verso e all’uso di alcuni significanti fuori dal loro ambito d’origine, come “eucarestia” di cui rintraccia ascendenze nella profanazione perpetrata dal d’Annunzio segreto e nell’uso che ne fa Gadda in Mercato di frutta e verdura. Mentre per la “tematica da mondo creato” i nomi, da Du Bartas e dal Tasso in poi, andrebbero a moltiplicarsi fino a raggiungere Pascoli, per gli ‘spifferi’ lo studioso può subito ricordare l’Orelli di Spiracoli, come per “l’enigma / di un travagliato vivere” il Montale di Meriggiare pallido e assorto.

Le due note d’apertura, la prima di Magrelli, la seconda dello stesso Autore riferita al comportamento segnaletico delle gazzelle, indicano fin da subito le intenzioni di Petrini. Qui, per ragioni di spazio, penso sia il caso di citare per intero solo quella di Magrelli:

 

La poesia tende alla negazione del linguaggio di consumo. […] Insomma, più il linguaggio si deteriora, maggiore è il bisogno di una sua manutenzione poetica. Ora, in ogni società fondata sullo scambio verbale, la poesia ha la funzione di portare la comunicazione al suo limite ultimo. Come è stato affermato, essa mette il linguaggio in uno stato di allerta, coincidendo con il massimo grado di libertà e di allarme, poiché la sua libertà risiede appunto in un continuo allarme della parola.

 

Cosa fanno le gazzelle di Thomson di fronte al pericolo rappresentato da licaoni e ghepardi? Esse – scrive Petrini – mettono in allerta il gruppo attraverso la pratica dello stotting, intervallano la veloce corsa con alti salti, onde scoraggiare l’inseguitore, e avvertendo il gruppo “con sbuffi secchi e brevi, saltelli sulle zampe anteriori […]” appunto tramite segni d’allerta e allarme di fronte al pericolo, ci spiega il poeta, che in una poesia della sezione La pellicola delle parole – non per nulla a forma di dittico – dopo aver elencato mosse e scorribande di allocchi, volpi, picchi e scoiattoli pronti a precipitarsi sul marciapiede dove rimbalza una castagna d’India, si chiede: E sulla pagina / (la foglia, il foglio?)

 

[…] un bisogno impellente

di avvertire, segnalare

l’accaduto al branco

dei critici lettori.

 

Ugo Petrini effettua dunque una “manutenzione poetica del linguaggio”, indirizzando segni di allarme – ma come? Attraverso la tecnica dello spostamento e i salti dal significato corrente deteriorato a una nuova significazione poetica estesa anche alla forma dell’animale (trasformato in segno linguistico, come nel caso del “ragno a tenaglia / lettera dell’alfabeto aracnide / fossile ecdotico”) ai prodotti culinari e alla visione del paesaggio, che nella quarta poesia della sezione La pellicola delle parole si snoda coi segni di interpunzione della scrittura:

 

In forma interrogativa

alberi, campanili esclamanti

case, punti fermi dell’ameno collinare

e virgole di sole, apostrofi

paesi a capo, parentesi prative

virgolette socchiuse

in una notte stellare

di un paesaggio interpunto.

 

Tornando agli animali, il discorso è chiaro: “Etologia e estetica – scrive Martini – vanno qui di pari passo come già l’etica e l’estetica presso i loro maggiori cultori”, e arricchisce il suo esame citando l’interrogazione di Czesław Miłosz nel suo Abbecedario, dove si chiede “come si potrebbe tradurre in polacco ‘l’inglese mindfulness, concetto che per i buddisti racchiude in sé tutti gli insegnamenti del Budda’ e proposta la parola che in italiano corrisponde ad attenzione (voce sotto la quale nella traduzione leggiamo le sue considerazioni) ci dice che ‘significa un atteggiamento di premurosa benevolenza verso la natura e verso gli uomini, in virtù del quale scorgiamo ogni particolare di quel che accade intorno a noi, anziché passare distrattamente oltre. […] Una simile disposizione d’animo, opposta rispetto alle consuetudini della civiltà della tecnica, con la sua fretta e i suoi rapidi flash televisivi, favorisce di certo anche l’interesse per la tutela della natura […]’”

Attenzione direi quasi obbligatoria in un mondo ormai prossimo alla catastrofe dove è messo a repentaglio anche quel poco che resta della natura (sebbene nel momento del pericolo la “classe discutidora”, come in diversa occasione la definì Donoso Cortés, tanto dica e poco concluda) e Petrini non avrà bisogno di seguire il Budda per attivarla, viste le molte poesie dedicate a vegetali e animali. Si tratta, per tentare di definirla, di un’attenzione oggettiva dalla portata simbolica, ma quasi del tutto opposta a quella di Giampiero Neri, il quale, in linea con Leopardi, non sembra nutrire una buona opinione della natura, preferendo osservarla con freddo spirito scientifico, senza quei segni di amorosa attenzione così vivi nei Souvenirs Entomologiques di Fabre, autore da lui prediletto: i suoi animali, quando non mostrano determinate caratteristiche idonee a rappresentare il ‘poeta in maschera’, appaiono come residui di qualche predazione e indice di violenza.

Se vogliamo distogliere lo sguardo dal regno minerale privo di vita (certe sostanze sono sì velenose, ma quiescenti) e dal vegetale, la cui volontà si esercita in modo passivo (le bacche della belladonna se ne stanno quiete sui rami) quello animale, per usare le parole di Linneo, appare vistosamente dominato dalla guerra di tutti contro tutti, e chi, nel nostro tormentato Abendland, mostra “premurosa benevolenza verso la natura e verso gli uomini” (al vertice del regno animale e pianificatori della distruzione) poco si esime dal compiere selezioni tutt’altro che buddistiche, chiedendo ausilio alle scienze onde sterminare insetti e animali considerati molesti e dannosi alla produzione agricola. Generalmente parlando “l’interesse per la tutela della natura” si colloca su diversi registri più o meno adatti a riservargliela, e uno di questi, in Petrini, pare non escludere il venatorio (“La luce / che dal palo della vite / slitta sulle canne della tua Beretta / e sfoga sull’otto della fronte / ànima il mistero di un bimbo / sulla vita e sulla morte […]”. Ciò solo per chiarire che “allarme” e “manutenzione”, in Le gazzelle di Thomson, si accordano bene con “etologia e estetica”, e ancora di più col desiderio di “portare la comunicazione al suo limite ultimo”, ma forse non del tutto col significato chiamato in causa dal termine mindfulness.            

         La negazione del linguaggio di consumo che opera sull’intera raccolta, dove incontriamo significanti come “rinzaffo” “ingrembiulata” “ziblettava”, si mostra creativamente ancor più sovversiva nella sezione Sapori diversi (nel senso di fatti con i versi e differenti) allorché il poeta ci offre animali e vegetali nei ‘paradisi del fornello’ legati ai riti tradizionali e alla convivialità. Non si tratta però di ricette né di “evocazione del buon tempo passato – precisa Alessandro Martini – ma di un presente a cui ci si aggrappa come a un’umile quanto momentaneamente sicura àncora di salvezza”. Il poeta inaugura l’affascinante collana dei caldi sapori con l’interessante etimologia del brusco arancio: Vöt un portügal, nan?:

 

[…]

dono del marinaio

portoghese – ambasciatore

di più dolci idiomi mediterranei –

che fece approdare

il brusco delle arance

sui nostri lidi gutturali

[…]

 

dove il riferimento glottologico passa ai lidi anziché ai parlanti, così come nella quinta poesia di Risguardi sono le guance a far carezze:

 

Guance gialle, geometriche

di una casa sulla curva

carezzano la celebre piazzetta.

 

In Sapori diversi assistiamo infatti allo spostamento (e alla nuova significazione) di certi termini dall’ambito dei riti cristiani a quelli festivi della cucina, come ‘consunzione’, ‘aldilà’ ‘lavacro’ ‘eucarestia’ e ‘transustanziazione’ tutti sapientemente riferiti al brasato che in acqua e vino (l’acqua, secondo il Vangelo, uscì dal costato di Gesù crocifisso, e il vino fu bevuto dagli Apostoli durante la Sacra Mensa) deve appunto subire la consunzione, come del resto avviene per il consommé, nell’aldilà delle cotture, immerso nel lavacro, ovvero recipiente (ma “lavacro” è anche il fonte battesimale) per offrirsi nell’eucarestia degli affetti…

 

[…]

è una lenta consunzione

nell’aldilà delle cotture

in acqua e vino:

 

un rito festivo della vita

celebrato da un mestolo di legno

tuffato nel lavacro caldo delle carni

un’eucarestia di affetti

quasi una transustanziazione.

 

Il termine ‘imprimatur’ riguarda invece la pressione esercitata dal pollice sugli gnocchi, e “resurgere”, la “resumàda”, certo giocando sull’analogia e sulle lettere iniziali “resu-, ma anche perché la sostanziosa bevanda preparata a caldo con uovo sbattuto e aggiunta di vino (cui Petrini sostituisce il più corposo Marsala della nota marca Florio) oltre a formare una spessa schiuma, costantemente mantenuta dal cucchiaio posto al centro del coperchio forato, fa anche risorgere i deperiti. La sezione, davvero gustosa, specie sotto il profilo linguistico, procede con le sue leccornìe barocche:

 

Nel vulcano della purea

l’ombelico s’allarga, tracima

e rivoli colano ai piedi

delle pendici dove

lo sminuzzato si oppone

fa diga alle perfide cipolle

o ai brandelli di fegato

[…]

 

Per gli ossi buchi abbiamo:

 

Sì, sì, ginocchi infarinati

in gremolata, dove il bello

viene di dentro:

con il molle dell’osso, il midollo

l’occhiale animale, cannocchiale!

[…]

 

 Scrive Martini: “Dell’uomo, del suo essere, godere e patire, è presente innanzitutto la manifestazione sensoriale e della sua arte è esaltato l’aspetto più elementare, più a ridosso di quei vegetali e animali: l’accudire il cibo secondo i riti delle nostre madri e delle nostre nonne”. Cibarsi di animali è estraneo al buddismo, ma l’atto di mangiare si accorderebbe col pensiero di Novalis, preso in esame da Antonello Gerbi in Il peccato di Adamo ed Eva, Milano, Adelphi, 2011: “Conoscere e nutrirsi restano per Novalis espressioni equivalenti”. Il poeta tedesco va oltre giungendo all’equazione Mangiare = amare fisicamente… e molto è dato conoscere a chi orchestra sapori puntando a conquistare l’amato.

Il prezioso documento delle ghiotte ritualità familiari rappresenta un’isola felice collocabile, credo, nell’infanzia del poeta (ma nel libro appare, simbolicamente, nella zona delle memorie, cioè quasi alla fine) anticipato nella terza poesia della prima sezione, che vede moltiplicarsi i riferimenti al declino e alla morte, ma anche quel processo naturale in cui vita e morte si cedono alternativamente il passo. In quella poesia Ugo Petrini paragona ogni soggetto non più giovane a un “tronco / sempre più chino su sé stesso / per compensare la fragilità degli arti / e per sentirsi più al sicuro”. Costui, accorgendosi di aver raccolta esperienza e sapienza “che sarebbe un peccato dissipare”, col passare degli anni

 

presta più cura alle radici

ai volti ai luoghi ai sapori

dell’infanzia e assumendo

posizioni fetali intraprende

lentamente il viaggio a ritroso.

 

 

Nella quinta, dedicata a “le foglie che furono / fronde verdi, sgargianti pendii” (col pallido richiamo a Imitazione di Leopardi, tratta da A.V. Arnault: “Lungi dal propio ramo, / Povera foglia frale, / dove vai tu? […] Vo dove ogni altra cosa, / Dove naturalmente / Va la foglia di rosa, / E la foglia d’alloro.”) il Nostro, contrariamente al Leopardi, intravede già nel loro declino quel processo naturale in grado di trasformarle in “nuova vita”, se non ci si affannasse a scoparle via

 

senza attendere nuove folate

che le riportino in volo

le traghettino altrove, lontano

verso nuove sedi

dove il tempo e l’acqua

le infradiceranno fino a farne

humus: nuova vita.

 

Ma nell’ottava, dopo averci detto che la vita (solfeggio di merli, arpeggio d’insetti, sfarfallio di pollini eccetera) “non basta a coprire / il controcanto della marea oscura / dell’ombra e della morte, della bassura”, elenca una serie di fatali opposizioni che ci porterebbero a rileggere lo scritto di Freud Vergänglichkeit (Caducità) in Opere, VIII, Torino – perché è vero che la psiche funziona per via di contrasti, ma se si passa dal germoglio al ghiacciolo, tale contrasto assume un timbro inequivocabilmente melanconico…  

 

[…]

il germoglio rinvia al ghiacciolo

il polline al fiocco di neve

il turgore vellutato

al molliccio rugoso

il cromosoma

alla nècrosi

la forza della vita

alla polvere del niente

 

il sole alla luce nera.

 

Timbro forse imputabile alla condizione di chi, non più giovane (“sta di fatto che ognuno / con il passare degli anni…”) inverte la rotta e “presta più cura alle radici”, sebbene Petrini, lontano da ogni romantica Zerrissenheit, colga con atteggiamento composto e impersonale i ciclici passaggi della natura, e con essi anche la fatalità di quel che si spera e non avviene. Capita, infatti, di “rimanere svegli finché tutto / sia buio […] / per addormentarsi in pace”…

 

Ma a nulla serve

perché tanto si sa

che sotto l’oscuro

si nascondono

il fuoco del dolore

il rogo dell’ansia

 

e che altrettanti occhi

come asparagi a primavera

attendono solo

di ammirare il sole

e di esplodere la loro

gioia al nuovo giorno.

 

L’inevitabile compresenza di vita e morte, dolore e gioia che investono di sé gran parte di Le gazzelle di Thomson risulta genialmente segnalata dalla girandola “dai petali sgargianti” infissa “nel bianco dei crisantemi / vicino al cancello / socchiuso del cimitero”:

 

[…]

segnacolo del destino

nel gioco dei venti

che congiunge

l’alito dei morti

al soffio dei vivi.

 

Per ciò che concerne la forma, Ugo Petrini usa il duttile e ormai consueto verso libero (prestando grande sensibilità alla divisione  strofica) nel quale si possono, proprio per questo, incontrarne alcuni appartenenti alla metrica tradizionale. Martini, nella sua postfazione, ha infatti notato la presenza di “versi ternari inquietati dal dattilo”, e la poesia che inizia con “La piena dei giorni” contiene, mi pare, ben quattro senari. L’aspetto musicale, un po’ più tranquillo rispetto alla segnaletica sovversione linguistica, adatta la sua parca presenza al flusso del discorso poetico ora con vere rime come -esta -esta, -ita -ita, -ura -ura, ora con assonanze.  

 

S. A.

 


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