Ovunque posi il mio cappello, quella è casa mia
Marvin Gaye
Ho appena terminato di sfogliare “Zacinto mia”, l’ultimo romanzo di Antonio Piscitelli. E’ difficile abbandonare questo libro che pian piano mi ha conquistato e che adesso rimpiango sia finito troppo presto. La sensazione è quella di chi, leggendo, si sia rispecchiato in questo viaggio narrativo che è un po’ la storia di tutti noi. Sì perché di vero e proprio viaggio nella storia e nelle passioni umane si tratta. Un viaggio a “doppio senso” nell’animo umano e nei tormenti che si celano in ogni vita passata che meriti di essere vissuta. Scorrere le pagine di “Zacinto mia” significa innanzitutto rivivere nei panni del protagonista, Arturo Niccolis, una parte fondamentale della storia patria: dal secondo dopoguerra, in una Napoli (che è Italia tutta) devastata dalle macerie prima, poi speranzosa e assetata di vita durante il boom economico, fino agli anni bui del terrorismo e delle morti causate dal colera. Napoli e la sua gente che è specchio di tragedie e sublime bellezza; ossimoro d’amore e morte dove il protagonista, insegnante idealista, si scontrerà drammaticamente (proprio di duello si tratta) contro i suoi più grandi amori: quello politico, sulle orme dell’esperienza dell’amato padre, e quello sentimentale, del tutto totalitario e dirompente che sconvolgerà le certezze del protagonista. Da un lato l’esperienza politica maturata da Arturo si dimostrerà fallimentare nonostante l’adesione cieca del personaggio ai dettami dell’ideologia comunista “più ostinata delle religioni… succedanea dei senzadio”. Per questa passione vissuta e bruciata al sole, Arturo rinuncerà persino al suo primo amore, divenuto nel tempo consumato e sbiadito sodalizio umano. Con l’arrivo di Marella, (altro personaggio fondamentale del romanzo che nasconde un tragico passato), Arturo sperimenterà per la prima volta l’amore totalizzante, libero (l’amore è un sentimento gratuito che non richiede di essere ricambiato) e ustorio che lo dilanierà ma lo libererà, seppur dolorosamente, da una vita “senza nome”, ispirandone la nuova, fondamentale rinascita umana. “Zacinto mia” rappresenta un “romanzo di romanzi”, costituito da tante esperienze di vita, che ruotano per forza centripeta intorno al personaggio principale come un canone infinito, un preludio bachiano, dove ad ogni azione del protagonista fanno riferimento le storie, le reazioni dei personaggi secondari, che si concatenano, si compenetrano attraverso il fulcro principale, Arturo. L’amicizia che legherà il protagonista con i personaggi secondari (non certo per importanza) rappresenta la sua salvazione spirituale poiché essa si fonda non “dal vincolo di sangue, ma dall’elezione, dalla generosità senza riserve su cui un gruppo fonda la solidarietà”. “Zacinto mia” è inoltre un romanzo in cui il tema del “viaggio”, inteso come liberazione spirituale, approda ad un nuovo stato, ad un “oltre”anelato dai personaggi che, attraverso esso, incrociano nel cammino nuovi orizzonti, terre, pietre e cieli capaci di nuove rinascite e dove Zacinto, nel continuo ricordo, continuamente rivive.