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La favola di Viola

di Valentina Grazia Harè
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Pubblicato il 26/10/2010 10:27:49

Viola era una casetta tutta viola, in campagna. Viveva tranquilla e dolce: i ragazzi invitavano i loro amici e allora le pareti della casa si inarcavano lievemente, così sorridevano senza darlo a vedere.
La sera, tutte le sere, si restava a recitare la preghiera, tutti i componenti della famiglia. E Viola poteva, a fine giornata, chiudere le sue finestre e riposare. La notte trascorreva per lei piena di dolcezza e di sogni di belle giornate e di corse di ragazzini.
Certe volte capitava che Viola, per la troppa nostalgia nei confronti dell'allegria dei bambini, gettava giù dal letto, tutti i suoi piccoli abitanti. Come se avesse una potente mano, sotto i materassi, e via giù, buon giorno!
Poi le tazze erano già pronte sul tavolo al mattino; quando il latte era troppo caldo, Viola azionava i ventilatori, metteva un po' di musica e danzava piano, in modo da svegliare anche i padroni di casa. I bimbi credevano le tazze le mettesse mamma Livia, e quest'ultima pensava che le mettessero loro, invece no: era la piccola Viola l'artefice di tutta questa magia. E la cosa triste è che nessuno lo avrebbe mai saputo, forse.
Un giorno il signor Danilo, però, ebbe un'idea malvagia: la casa doveva essere venduta. Che ne sarebbe stato dei suoi bambini e dei discorsi del signor Danilo alla moglie, Livia? Ormai Viola era affezionata a tutti loro. Allora la casina, che rifiutava fermamente questa idea, si mise un piglio così severo che le spuntarono delle crepe sulla parete.
Un mattino arrivò un signore che doveva stabilire il valore della casa. Egli passava da una stanza all'altra con aria di sufficienza, e Viola appannava i vetri con le sue lacrime, faceva cadere pezzi di lampadario, apriva e chiudeva gli armadi finché non uscivano dai loro cardini. E tante altre cose ancora. Il perito non sapeva che dire a Danilo.
"Signore, è una casa ridotta un po' male, guardi soltanto queste crepe qua"
Danilo però rispose: "Ma io voglio abitare in città!"
Viola allora gettò fuori dalla libreria, con un colpo deciso, un libricino di viaggio, che parlava della bellezza della campagna. I due uomini rimasero attoniti e l'esaminatore disse: "Ha visto anche lei quello che ho visto io?"
"Sarà stato un colpo di vento", ammise Danilo per non spaventare troppo il perito. Danilo, dentro di sé sapeva che la casa stava iniziando a fare i capricci...
"Dani", disse Livia un giorno, "come mai ci alziamo presto anche di domenica? Mah! a me non riesce proprio di dormire in questa casa!"
"Hai ragione, la nostra casina Viola, da un po' di tempo a questa parte è ribelle. Forse non accetta la sua vendita"
"Certo, anche a noi mancherà, ma che fare? La città ha il suo fascino"
In quel momento Viola buttò fuori dal forno un fumo terribile, tutta la rabbia che aveva dentro, giusto per ricordare come sarebbero stati in città: invasi dall'inquinamento.
Danilo tossì. Livia era sconcertata.
"Sì, Viola, lo so, ma noi abbiamo necessità di andare a stare in città: non possiamo viaggiare ogni mattina e alzarci sempre alle cinque e mezzo"
Improvvisamente l'orologio a pendolo cominciò a segnare tutte le ore, come impazzito. Poi si fermò alle cinque e mezzo, come per dire: "andavene pure a lavorare, io voglio stare sola"
Il suo umore era a terra. Era una casina inconsolabile. Persino i bambini, quando sprofondarono nelle loro poltroncine, davanti alla televisione, furono ignorati da Viola. Prima invece loro si facevano carezzare le braccia dai braccioli di velluto.
Venne il momento che il contratto giaceva lì sul tavolo. Viola lo guardava di sbieco e le finestre piangevano, le crepe erano delle smorfie.
Danilo si avvicinò, lo guardò e disse alla moglie: "Vuoi farlo tu, per cortesia?"
Livia era come paralizzata. Il tempo stringeva, gli acquirenti non potevano più aspettare.
Nessuno dei due si muoveva.
Giovino, il bimbo più piccolo, in camera sua, guardava la televisione, ed era molto seccato perché la finestra si apriva ogni due minuti, facendo entrare aria molto fredda. "Ma perché non si vuole chiudere?" Ma Viola lo faceva per il bene di tutti.
Fin quando il bimbo scoppiò a piangere, e la sua mamma vide che aveva la febbre, e come scottava!
Niente, fin quando non gli passa non possiamo andare via di qui" Livia era un po' dispiaciuta, ma secondo loro era questione di tre giorni al massimo.
Questi tre giorni passarono allegramente, malgrado la febbre. I ragazzini giocavano coi videogiochi, posavano i piatti di pop-corn per andare un attimo al bagno e, gnam! le poltroncine e i divanetti se li ingoiavano.
Allora si mettevano a saltare, soprattutto i più piccoli, sugli stessi divanetti che, si sentiva una risata sonora, morivano dal solletico...
Ma tante volte, alla sera, Viola veniva riacciuffata dalla tristezza. I suoi bambini, tutte le dolcissime monellerie che facevano... chi glielo avrebbe ridato, tutto questo?
Però capitò che una volta andando a letto, Livia e Danilo si accorsero che c'erano dei cuori disegnati nello specchio. Doveva succedere qualcosa di speciale... si guardarono, ma subito capirono che... sì, era arrivato il momento della confessione:
"Amore, io sono... doveva essere una sorpresa...", la donna esitava.
"Non mi dire!"
"Eh sì, aspettiamo un bambino!"
La felicità sovrastò tutto, anche il dolore per dover abbandonare la bella casina.
Dunque un nuovo arrivato, pensò Viola, e si mise a fare della pioggia che sbatteva sui vetri, una graziosa musica.

Livia, indaffarata, preparava le valige per andare nella nuova casa, pensava a tutto lei. Danilo era molto malinconico. Ma quando stavano per prendere le fotografie che erano sul comò, queste resistevano, non volevano staccarsi, erano come piantate nel mobile.
"Viola, dai non fare la bambina, hai già venticinque anni!"
"Appunto!", scrisse lei sul vetro appannato.
Niente, le foto dei nonni, degli zii, degli amici, erano tutte là e neanche un uragano avrebbe potuto schiodarle.
Ogni volta che la donna tentava di strappare una fotografia alla caparbietà di Viola, sentiva nel suo ventre un piccolo dolore. Il suo bimbo si lamentava.
Livia disse, cominciando a capire: "quando tento di prendere una foto, il bimbo scalcia. C'è forse un nesso fra le due cose? Il passato e il futuro. E Viola non vuole"
Danilo completò: "Viola è la nostra tradizione. La casa, la famiglia, ciò che molti hanno dimenticato, purtroppo"
"Troppi ricordi, non possiamo andarcene!", la donna disse. Erano entrambi come agiti da una forza più grande di loro, e il vento protervo dei ricordi li travolgeva. Dalla finestra si vedevano albe e tramonti, in successione, tutti quelli che avevano vissuto i coniugi. Tutte le albe che avevano visto nascere i loro bambini, e le sere in cui si erano amati.
"Restiamo, Viola, non preoccuparti più"
Viola spalancò tutte le finestre, un sole radioso e felice cominciò a brillare, e i ragazzini tornarono gioiosi dalla scuola e non c'erano più crepe e ogni cosa era al suo posto. Poi una pioggerella sottile, cominciò a fare da colonna sonora alla loro serata, fino a farli addormentare, e le zanzariere, come mani amorevoli di Viola, carezzavano le palpebre sognanti dei bambini.
Era il sogno del passato lanciato nel futuro.

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