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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Demoni, fantasmi, apparizioni

Saggio

Ilaria Natali
Le Cáriti Editore

Recensione di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 22/11/2013 12:00:00

 

Tradizione e memoria culturale si coniugano in questo libro di Ilaria Natali dedicato al ‘soprannaturale negli scritti di Daniel Defoe’, scrittore inglese vissuto nel XVIII secolo, la cui trattazione trova il proprio peculiare interesse nel proporci alcuni scritti poco conosciuti (alcuni tradotti per la prima volta in italiano) e, nel riproporci quelle che furono le tendenze letterarie e teoriche di un’epoca, il Settecento, definito il secolo «dei lumi della ragione», detto anche dell’ ‘Illuminismo’. Questo lo sfondo, tuttavia, prima di parlare di questo libro, permettetemi di spendere qualche parola su Daniel Defoe e il XVIII secolo in cui egli visse ed operò. Un secolo di grandi trasformazioni formative, di innovazioni sociali ed economiche, dell’avanzamento tecnologico in generale, nel progresso culturale dei popoli, in cui si decuplicò la crescita dell'alfabetizzazione, nacquero le prime istituzioni laiche che si prefiggevano lo scopo di diffondere la formazione intellettuale e la scienza, e che determinò il conseguente mutamento della condizione culturale e il formarsi di una cultura al passo con i tempi. Di fatto la nuova cultura formatasi in Inghilterra e in Francia poi diffusasi in gran parte dell'Europa, fu caratterizzata da una nuova fede, quella nella ragione e nel potere illuminante della conoscenza, proponendo una concezione laica della vita. Basato sui principi d'uguaglianza e di libertà di tutti gli uomini l' ‘Illuminismo’ portò cambiamenti in vari campi, abbandonando l'idea radicale della storia tracciata dalla Provvidenza di Dio. Sebbene la Chiesa cattolica fosse vista come la principale responsabile della sottomissione della ragione umana nel passato, e la religione in generale fosse indicata come causa della superstizione e dell'ignoranza, l'Illuminismo non fu un movimento anti-religioso e si schierò contro ogni forma di fanatismo lottando in favore della tolleranza, cioè della possibilità per chiunque di professare liberamente la propria fede. Nato a Londra nel 1660, Daniel Defoe (*) morì a Moorfields, nei pressi di Londra nel 1731. Indicato come il padre del romanzo inglese, fondò la rivista The Review, destinata a durare dieci anni e diventare una pietra miliare nella storia del giornalismo. Quasi tutti gli articoli erano dello stesso Defoe, che, pur dichiarandosi indipendente, in realtà aveva un accordo con il primo ministro Robert Harley, che gli aveva promesso l'amnistia per vecchi fatti di bancarotta in cui era coinvolto. In ogni caso, l'opera giornalistica di Defoe fu pionieristica; si ritiene che egli abbia in pratica fondato il giornalismo tabloid. Come giornalista, in realtà lavorò attivamente con lo scopo di convincere il Parlamento scozzese ad accettare l'Atto di Unione con il Parlamento inglese, poi stipulato nel 1707. Nel 1714, sempre lavorando sotto mentite spoglie per il governo, riuscì a entrare nella redazione di un settimanale giacobita. Scoperto sei anni dopo, si vide costretto a porre fine alla sua attività di giornalista. Nel frattempo, dopo l’evento Moll Flanders (pubblicato nel 1722) e considerato la sua prima grande opera letteraria, aveva continuato a scrivere romanzi; nel 1715 pubblicò The Family Instructor, e nel 1718 quello che sarebbe diventato il suo più celebre romanzo, Robinson Crusoe. Subito dopo, scrisse due romanzi sequel di Robinson Crusoe: Ulteriori avventure di Robinson Crusoe e Riflessioni serie di Robinson Crusoe. A Robinson Crusoe seguirono numerose opere minori, incluse diverse false autobiografie (di famosi criminali o di altri personaggi pubblici, come nel caso della cortigiana "pentita", Lady Roxana) e una quantità di romanzi (tra gli altri, Memorie di un cavaliere, Il capitano Singleton, Il colonnello Jack e La peste di Londra). Defoe non era in realtà interessato a creare o sviluppare il romanzo a fini letterari. Egli era soprattutto un giornalista e un saggista, ma anche un professionista della penna pronto a mettere il suo considerevole talento al servizio del miglior offerente. È senz'altro significativo il fatto che prima di dedicarsi al romanzo, buona parte della vita di Defoe fosse già trascorsa: quando scrisse il suo capolavoro, il Robinson, aveva già 58 anni. Inoltre, pubblicò i suoi romanzi cercando, in generale, di farli passare per storie vere (memoriali e autobiografie) per renderli più appetibili al pubblico dell'epoca (non si deve dimenticare che il motivo principale per cui Defoe scriveva era, a quanto pare, la necessità di pagare i propri debiti). La messa in scena ebbe successo, e solo molto tempo dopo la pubblicazione si comprese che i libri di Defoe mescolavano fatti veri (nel Robinson Crusoe la storia del marinaio Alexander Selkirk) con dosi generose di invenzione letteraria. La miscela di realtà e finzione, attendibilità e sensazionalismo, propositi edificanti e gusto del racconto a fine d'intrattenimento costituiscono nella scrittura di Defoe quel genere intimamente ibrido che è il romanzo moderno. Starà poi ad altri, successivi scrittori di diversi paesi sfruttarne le potenzialità; ma di certo la prima sintesi narrativa funzionante (prova ne è il successo di cui ancora godono oggi questi libri) è stato l'astuto e "disonesto" Daniel Defoe. Ma perché di un ritorno oggi al ‘soprannaturale’ e perché proprio Defoe? L’ampia materia letteraria di cui si compone questo libro è stata trattata in passato da eruditi con migliaia di volumi, discussa e analizzata, o meglio ‘eviscerata’ dall’involucro di quella Magia Bianca cui essa è di riferimento, e che sempre viene occultata a più riprese ma che, non ha mai smesso di esercitare la sua forte presenza ed essere visitata da milioni di persone in tutto il mondo, anche a loro/nostra insaputa, e tale da interessare anche chi non ha mai approfondito un certo ordine di studi. Ad essa, oggi, non si fa più riferimento, tuttavia è simbolo della ‘materia dei sensi’ costitutivi la natura umana. Il riferimento apre a quella parte dell’ ‘inconscio’ (Jung, Freud e altri), insito del nostro ‘Io’ interiore: “..fra la carne che trascina in basso incatenando alla terra lo spirito che solleva e spinge in alto; fra la ragione che pretende di spiegare i fenomeni della vita e della morte; fra il dubbio che annienta e deprime e la fede che esalta; fra l’odio che distrugge e l’amore che crea, l’amore, principio e fine dell’Universo” – (cfr. Jean d’Essigny (**), prof. di decrittazione medioevale e dei segreti della magia pentacolare), e materia di questo libro in particolare. Poiché non mi è possibile esprimere un giudizio neutrale intorno all’operato di una ricercatrice, quale dimostra d’essere Ilaria Natali, che scava nel profondo filologico dei testi, mi limito a spostare l’obiettivo da una vera e propria recensione, nell’opportuna circostanza di semplice notazione. Per le ovvie ragioni che l’autrice non pone qui una ‘tesi’, bensì si limita a veicolare il lettore attraverso le interiorità letterarie di una materia molto discussa e che prende origine dalla ‘tradizione orale’ secolare, se non addirittura millenaria (satanisti, manichei e altri); la cui ‘entità’ è d’appartenenza a quel ‘mondo sensibile’ ed ‘estremo’ che sfocia nel ‘soprannaturale’, ivi annessi quei sinonimi e contrari che la ‘tradizione’ accoglie in sé. Scrive Henry Bourne (ecclesiastico citato dall’autrice del libro): “Non c’è niente di più comune nelle località di campagna di una famiglia che si raduna attorno al focolare in una sera d’inverno a raccontare storie di apparizioni e di fantasmi. Niente da obiettare; ma questo accresce la naturale pavidità umana, e spesso fa sì che queste persone immaginino di vedere cose che appartengono solamente alla loro fantasia”. Apparentemente, era anche ritenuto legittimo che il mondo dell’occulto fosse rappresentato in determinati generi letterari, come osservato da P. M. Spacks (citato dall’autrice): “Sebbene nel diciottesimo secolo gli atteggiamenti nei confronti della realtà del soprannaturale fossero variegati e spesso ambigui, anche i critici più razionali generalmente ritenevano che i personaggi soprannaturali avessero un posto legittimo nel testo poetico e teatrale”. Pertanto, possiamo qui parlare di sovrumano, trascendente, prodigioso, miracoloso e, soprattutto, di spirituale, mistico, ascetico, inerenti a un ‘mondo estremo’ (al di là, paradiso, inferno ecc.), ultimo, finale, grandissimo, luminosissimo cui fanno riferimento le religioni dei popoli abitatori di questo mondo che anelano ad esso, e con le dovute ripercussioni socio-politiche, economiche ed etiche, che ne condizionano la sopravvivenza. Al giorno d’oggi, e ne siamo tutti pressoché coscienti, regna una strana mescolanza di volgarità e raffinatezza, di avarizia e liberalità, di crudeltà e di valore, di mollezza e di energia, di oppressione e prevaricazione che favoriscono, da un lato un ritorno al ‘naturale’ (terreno, umano, magico ecc.); dall’altro un’ulteriore spinta verso il ‘soprannaturale’ o sovrumano (contemplativo, religioso e mistico), che sfocia nello straordinario, nel sublime, ecc. L’autrice, Ilaria Natali, dà risalto a un aspetto più di altri che, invero, spoglia i testi da lei oculatamente analizzati e li riveste di ‘attualità’, quella stessa che deve aver spinto Defoe al recupero (non propriamente integrale della tradizione), ai fini di un ritorno alla ‘fede religiosa’ cosiddetta ‘moralizzante’. Sebbene la ‘morale’ non fosse lo scopo principale dello scrittore, il suo operato è di tipo ‘moralistico’, semplicemente perché li restituisce a una ‘consuetudine’ e a una indubbia ‘moda’ letteraria tipica del secolo che l’ha prodotta (gothic, horror, fantasy, fiction) ed entrata nel quotidiano svolgersi della vita. Certe ‘cose’ esistevano perché esistevano e perché nessuno le aveva mai messe in discussione: “Con le nostre fantasie diamo forma a tante apparizioni quante ne vediamo realmente con i nostri occhi, e molte di più (...). Ma da ciò non consegue che non ci siano cose di questo genere in natura; che non ci sia rapporto o comunicazione tra il mondo degli spiriti e quello in cui viviamo, (...) che gli abitanti delle sfere invisibili non si prendano mai la libertà di fermarsi quaggiù sul globo terrestre, o di far visita ai loro amici (...). La domanda, a mio parere, non è se gli spiriti vengano veramente tra di noi o no, ma: chi sono quelli che vengono?” – così scrive D. Defoe e che l’autrice Ilaria Natali ha tradotto per noi, spiegando, nelle note al testo il modo in cui ha operato: “Nel corso della trattazione, ho definito genericamente gli ‘esempi’ inclusi nelle opere occulte di Defoe con i termini ‘storie’, ‘racconti’, o ‘resoconti’. Queste definizioni possono apparire problematiche, poiché lo statuto del testo è spesso ambiguo: non è presentato come fiction, ma come relazione di un evento, o episodio reale. La ben nota dialettica che caratterizza il rapporto tra ‘cronaca’ e ‘fiction’ nella prima metà del Settecento interessa in modo particolare gli scritti di Defoe e ha portato alcuni studiosi, quali Mayer e Kincade, a mettere in dubbio che le sue opere possano essere definite fittizie. Tuttavia, come nota Ian Watt, «l’aspetto di totale autenticità (...) autorizza (...) confusioni», poiché la «trascrizione della realtà» può essere considerata, in questi casi, una convenzione letteraria. Alla luce di queste osservazioni, ritengo sia lecito attribuire natura fittizia anche a questi testi, presentati come verità documentarie solamente come strategia alternativa”. Fino a prova contraria, spiegano i testi più antichi: “Dove c’è Dio, c’è il Diavolo. Chi crede in Dio crede nel Diavolo. Chi è scontento di Dio e non ha né rassegnazione né paura, si rivolge al Diavolo” (cfr. aut. cit.). Da cui i differenti aspetti (coloristici) della Magia: bianca, rossa, nera. Quella che qui rientra nel nostro interesse e, in primis, in quello dell’autrice è tuttavia la Magia Bianca perché contiene quelle ‘verità’ (praticate anche dalla chiesa cattolica) “..consistenti nel cercare Dio e il suo incontro fatto di Parola, Grazia, Comunione, che insegnano a vivere” (cfr. aut. cit.). Acciò è fatto riferimento in alcuni famosi testi esoterici, per cui il ‘rituale evocatorio’ è parte integrante della Magia Bianca: “Chi utilizza questo rituale, (cfr. aut. cit.), solitamente opera per il bene del suo prossimo ed è indotto a entrare nei pensieri e nei sentimenti cristiani e trovare il segreto dell’amore che non è tesoro umano, ma divino. La scienza sacra della vera magia, quella che aiuta e protegge, si serve del segno della Croce, segno di Redenzione e adopera la Croce, simbolo elevato e le preghiere che aiutano in ogni momento della vita, favoriscono le naturali inclinazioni e possono portare a una evoluzione spirituale”. Troviamo dunque ‘riti amatori per i defunti’; ‘rituali evocatori amorosi per i vivi’; ‘esperimenti di magia amatoria’; inoltre a ‘preghiere per la buona salute fisica e psichica’; ‘rituali per l’accrescimento dell’energia interiore’ e numerosi altri da usare a fin di bene per ottenere protezione, amore, fortuna. Al contrario, in questo nostro mondo frenetico e inquieto in cui tutti vorrebbero primeggiare, molti altri riti iniziatici e settari, in numero soverchiante, sono rivolti ai poteri della mente, i cosiddetti ‘rituali neri’, coi loro infami rituali di sangue che si espongono al male. Ma non di questo ci occupiamo in questa trattazione. È lo stesso Defoe a mettere in discussione quanto da lui stesso affermato in prima istanza, trasferendo il tutto in una ricusazione che ha il sapore del pentimento: “Credo (e non penso o sono del parere), che con le nostre fantasie diamo forma a tante apparizioni quante ne vediamo realmente con i nostri occhi (e anche con le orecchie) nell’inganno, e ci convincono a credere (certezza di plagio), di vedere spettri e apparizioni, e di udire rumori e voci, quando, in realtà (quindi non artificio né fiction), né il Diavolo né altri spiriti (soggetti fittizi), maligni o benigni (accettazione del bene e del male), si son presi alcun incomodo per noi (o almeno nessuno è tornato indietro a dirlo). Ma da ciò non consegue che non ci siano ‘cose’ di questo genere in natura”. “Lo spettro di Defoe – scrive ancora l’autrice – può essere inteso come un’entità ambigua che oscilla tra il messaggio divino e la proiezione interiore: come si vedrà dall’analisi dei testi (inclusa nel libro qui preso in considerazione), spesso è difficile individuare il confine tra l’attività (oggettiva) di una presenza esterna e quella della mente (onirica), o della coscienza (della morale) umana. Tant’è, ad esempio, che Defoe impiega per definire le entità spiritiche, sembra essere attentamente studiata. Il termine «ghost» (anima, spirito) è usato solo raramente; sono molto più diffusi in alcuni casi «genius» (spirito tutelare) o «daemon» (spirito incorporeo, manifestazione demoniaca), ancor più «apparition» (anime trapassate), etimologicamente legato all’Epifania (lo stesso della rivelazione di Cristo ai Magi), attestato nel significato di «fantasma» dal 1601”. Come già J. Swift e O. Goldsmith, anche D. Defoe si lasciò coinvolgere dal ‘mistero’ di grande attualità, che rileggeva e rielaborava – avverte ancora l’autrice: lasciando in sospeso le problematiche suscitate dai singoli casi e, forse per non andare ‘contro i principi della dottrina cristiana’, spesso sostiene che: “..tutti gli spiriti di cui si può parlare, o di cui si crede di vedere l’apparizione, devono essere uno di quelli elencati, devono essere un angelo o un diavolo, non ve ne sono altri, non ve ne possono essere altri”. Una sorta di ritrattazione? No. Nei due sottocapitoli che compongono il capitolo primario intitolato “Il corpo e l’anima”, l’autrice spiega come il ‘retelling’ defoliano si appropri della tradizione e della memoria culturale selezionando il materiale narrativo che, trasformato e distorto, implica una modificazione delle storie narrate, per così dire ‘rinnovate’, perché inserite in un contesto diverso dal ‘modello originale’ che, in certi casi, determinano sostanziali cambiamenti di senso. Così come in “il mutamento nella dialettica tra fact e fiction” l’autrice si espone nel dibattito critico, tutt’ora in atto, all’interno del quale «la dialettica tra ‘fatto’ e ‘finzione’ è caratterizzata non solo dalla ‘contaminazione’ di eventi fittizi e reali, ma anche da un’attenta gestione di testimonianze, autore, narratore, personaggi e lettore ideale». Se ne può dedurre che alla base delle storie narrate sia soprattutto la trasmissione di un messaggio fondamentale, religioso o filosofico, una sorta di ‘morale’ che non è intaccata da un intento per così dire ‘educativo’ posto al centro del soprannaturale. Non è forse questa la ‘funzione’ primaria della Tradizione? Lo scopo del suo rinnovarsi costante? Farsi strumento partecipe della Storia degli umani? Del perché continuiamo a voler essere protagonisti del segreto più grande che sia dato, e che ha nome ‘vita’ o forse ‘morte’, e che per questo chiediamo, imprechiamo, preghiamo un Dio misterioso e ignoto, che possiamo soltanto immaginare benevolo? Come a suo tempo scrisse Pirandello (***) parlando con Diogene: “...ma è assolutamente arbitrario il negare che tali disposizioni (umane) non esistessero o non potessero esistere. (...) A buon conto nulla v’è di più serio nel ridicolo e di più ridicolo nel serio. (...) Diverso il pianto, secondo questa critica, e diverso naturalmente anche il riso degli antichi”. C’è molto di tutto questo e altro ancora nella trattazione di Ilaria Natali che il breve spazio di una recensione non richiede di approfondire ma che il lettore attento saprà cogliere dietro l’arcano mondo estremo (e quindi occulto) di questo libro tuttavia stupefacente, ancorché temibile (orrifico) e indimenticabile (come lo sono ‘L’inferno’ di Dante, o il ‘Faust’ di Goethe), certo di trovare segnali e illuminazioni per continuare da solo una ricerca esaltante. Note: (*) Daniel Defoe, ‘L’opera completa’ – Meridiani Mondadori (**) Jean d’Essigny, cfr. in (***) Luigi Pirandello, ‘L’umorismo’ – Oscar Mondadori

 


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