Pubblicato il 04/05/2010 10:50:07
LO SCOIATTOLO E L’ERMELLINO Di Giulia Perroni
Quando la poesia si fa luce, quando dovunque si posi lo sguardo del poeta riesce a cogliere la realtà poeticamente, quando tutta la vita entra in un cerchio poetico e diviene parola cantabile, siamo alla presenza di un dono che qualcuno possiede, avendolo ricevuto dalla natura e che a sua volta sa trasmettere agli altri. E’ il caso di Giulia Perroni, che tutto ciò che guarda, tocca o sente, trasforma in parole e include in un universo poetico che per lei è l’unico universo possibile, entro il quale soltanto sa orientarsi e muoversi. Il che è testimoniato molto bene dalla sua ultima silloge che appare con questo titolo intrigante Lo scoiattolo e l’ermellino, sottolineato ancor più in copertina dai particolari di due quadri famosi (di A. Mignon e di Leonardo da Vinci), tali da offrire lo spunto all’ottimo critico Di Stasi, di fare in postfazione, un’arguta congettura. Il libro è percorso sin dall’incipit da un innegabile dinamismo, da un movimento interno che inizia con la sezione dal titolo Ho camminato in pace e termina con Viaggio negli stretti e di un autentico viaggio si tratta, compiuto dall’autrice entro di sé, attraverso una memoria dei luoghi ove ha vissuto, delle persone incontrate, della natura e delle cose scoperte attraversando l’esistenza, momento per momento. Lungo questo interminabile percorso si compongono e si vengono raffigurando alcuni temi fondamentali, che condensano la riflessione del poeta e la irraggiano in molteplici direzioni. Innanzi tutto vi è il giardino, figura centrale, immagine di una natura partecipe del miracolo della vita , di fronte alla quale il poeta si stupisce di continuo e scruta anche dal punto di vista del mondo animale, ciò che accade intorno, celebrando l’ascolto di ciò che la natura stessa sussurra, in una forma quasi di panismo cristiano. Si legga in merito proprio la lirica che dà il titolo al libro: Lo scoiattolo e l’ermellino /danzano i fuochi del loro cammino). Nel giardino tutto si rinnova e ciò che muore rinasce, in un ciclo di vita inesauribile in cui ogni essere è coinvolto e il tempo, grande unità di misura di questa poesia, si dispiega con stagioni che alternandosi, pure ne segnano la continuità. Un'altra figura essenziale è quella del padre, attorno al quale si concentra il tema dell’infanzia, della tradizione familiare e della terra di Sicilia , ove il passato, il presente e il futuro si incontrano per sempre. Inoltre si affacciano i grandi temi sociali, relativi alla donna, nella sua perenne ricerca di parità di diritti , specie in oriente, o al lavoro, con le tragedie delle morti bianche, agli emigrati e alla loro mancanza di integrazione, il tutto governato e condotto da una pietas che non ha età e che si diffonde dai versi, senza mai dar luogo ad abbandoni patetici. Nelle varie sezioni si assiste a tratti quasi ad un andamento biblico, come se l’autrice volesse rifondare un libro della Genesi ( e l’inizio fu donna/ fu maestrale/….la teologia era maschio…) e ricostituire una logicità dei processi esistenziali, ritrovando quella fede e quella religiosità di cui avverte una sete profonda. Non a caso Gesù è una delle figure portanti di questo testo, spiato nella sua sofferenza, seguito nel suo itinerario di morte e di resurrezione, cercato per la sua parola consolatrice. E ancora, i miti sono l’altro referente, primo tra i quali, quello di Medea; la cultura classica, del resto, fa parte della formazione dell’autrice e ne costituisce anzi, la base ineludibile da cui partire, una sorta di lente per vedere il mondo e nobilitarlo ritrovando gli archetipi di ogni evento e di ogni atteggiamento umano, nella quotidianità ordinaria. Si snoda dunque un lungo discorso narrativo, frantumato in frequenti e brevi flashes e governato dalla vigile attenzione della Perroni che nell’introdurre ogni elemento nel suo orizzonte poetico, stempera colori, armonizza suoni, sfuma immagini, realizzando un’armonia compositiva singolare, in cui la luce si fonde perfettamente con il ritmo fluente del verso. Anafore, assonanze, enjambements si succedono spontaneamente producendo dall’interno una musicalità inconfondibile e accentuando la cantabilità delle parole. Persino nei titoli di alcune sezioni si vagheggia la musica, come in “Menestrelli intangibili”, o in “Minuetti d’ombra”. Si leggano questi versi:
Gelide folate dei venti menestrelli intangibili l’occhio seduce il contemplante andare delle notti bellissime richiamano le luci un orchestrare di candele e di stelle e l’uomo ancora che non sa baciare si inginocchia ed ascolta E ancora:
Da sotto la porta squillava la luna con la bretella di fuoco dei sospiri canti sommessi d’acqua pali e fiori sollevati dai mondi.
Oppure:
Quando viene la musica Gli animali girano il capo Un pifferaio malefico conduce Flotte di nubi in seno alla campagna Dove tutto è dolcezza.
C’è un ritmo spirituale in questa poesia che ricorda i Gitanjali di Tagore, per la sacralità che la pervade, per l’atmosfera rarefatta e assorta che intorno ai momenti della natura, l’autrice riesce a creare. Ma proseguendo il tragitto in questo libro, che è una sorta di diario di vita, in cui ogni istante è rivissuto poeticamente e quindi immesso in un equilibrio esistenziale che è sostanzialmente ordine, ci accorgiamo che ogni incontro con gli altri viene riscoperto secondo un’ottica di riconoscimento dei doni ricevuti e viene quindi rievocato come speciale evento. I poeti personalmente conosciuti come Bertolucci e Pasolini, presenti nella sezione Fiume di cobalto, o gli amici a cui sono dedicate nella sezione Quando Narciso si specchia, alcune liriche, rientrano nella elargizione di doni che il poeta sente di aver avuto e una dichiarazione ( della sezione di Narciso) in particolare fa da spia:
C’è un momento in cui andiamo verso il cielo sciolti da ogni legame ma per tenere fermo l’ancoraggio ai forti doni che ne costituiscono il destino.
In questo cammino guidato dall’ansia di approdare alla serenità della coscienza, alla certezza dell’assoluto e ad una comunicazione universale con la natura e con gli altri, ogni elemento acquista senso attraverso la poesia, come se il dito del poeta toccando le cose, le restituisse al loro valore primigenio e le autenticasse nel loro flusso vitale eterno.
Il poeta abita una casa che il teologo non intende la casa del poeta ha tante aperture e tutte contrastanti perché il vento risusciti dall’androne le colonne delle finestre
La casa del poeta è la sua mente che non ha orizzonti imposti, ma liberi, ove l’universo può entrare, divenire poesia ed abitare per sempre. La Perroni riempie questa casa di natura e di persone, dissemina fiori d’ogni tipo ( che entrano nei versi col loro profumo), vi fa rientrare gli eventi tragici della cronaca e li emenda con la sua pietas , compie un viaggio ininterrotto nel passato e le sue stanze si popolano di memorie che il passato congiungono col presente e infine ritrova intatto il desiderio di abitare la terra come un giardino, l’unico giardino possibile, dove le nostre anime possano crescere e salvarsi.
Quel giardino è rimasto nel cuore come l’unica possibilità di salvezza prima che Adamo fuggisse con la sua compagna triste prima che la storia degli uomini offuscasse l’altissimo silenzio che abita tra le montagne e il mare.
Anna Maria Vanalesti
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