[ Intervista a cura di Paolo Polvani ]
Valdo Immovilli, è nato a Reggio Emilia. Attualmente vive ad Albinea. Le sue prime poesie sono uscite all’inizio degli anni ‘70 sulla rivista TAM TAM, diretta da Adriano Spatola. Per diversi anni ha collaborato con TAM TAM e le edizioni GEIGER, fondate a Torino da Adriano Spatola e suo fratello Maurizio. Ha pubblicato il suo primo libro nel ‘77, con il titolo sarcastico e provocatorio “Mi faranno santo”, con la prefazione di Giulia Niccolai. In seguito Valdo Immovilli ha pubblicato “Parigi e le altre”. Infine, nel romanzo “Il cacciatore di mosche”, pubblicato con lo pseudonimo Aldo Komenov, è raccontato come avvenne l’incontro con Spatola, che nel romanzo assume il nome di Giulio:
- Mi ricordo di quando incontrai Giulio la prima volta. Avevamo letto un articolo su una rivista, dove si parlava di lui e si diceva che abitava da quelle parti, così, assieme a Dante che era allora il mio migliore amico, andammo a cercarlo.
- Giulio, oltre a essere un riconosciuto e apprezzato poeta, pubblicava una rivista e una piccola collana di libri che curava con amorevole attenzione.
- Dante e io, ovviamente, portammo con noi le nostre poesie; dopo averle esaminate, Giulio non disse nulla, un nulla che nell’ansia dell’attesa risuonò nella nostra mente come un tutto; tutto il peggio che ci potesse dire. Accortosi poi del nostro scoraggiamento cercò di rincuorarci ma Dante non si rincuorò affatto e da quel giorno non lo vidi più. Io apprezzai la sincerità, fu così che Giulio divenne il mio maestro di poesia, ed io lo ricambiai facendogli da autista e da maestro di musica, su e giù per le colline da un’osteria all’altra, cantando a squarciagola in perfetta disarmonia. Nelle lunghe serate invernali tutto era poesia: il cane, il gatto, il fuoco del camino, la neve sugli alberi secchi.
(Per inciso: “Il cacciatore di mosche” è, anche, il titolo di un’opera di Spatola pubblicata nell’’80 in collaborazione con Giuliano Dellacasa, nell’intervista che segue è spiegata l’origine del titolo).
Alla morte di Spatola, avvenuta nel 1988, ha scritto per lui la poesia “Il fuochista”, pubblicata nel ‘93 con le edizioni del Laboratorio di Modena nell’antologia curata da Carlo Alberto Sitta, “I nomi del fuoco”.
Il fuochista
Andata e ritorno, i passi nella neve
la distanza tra la casa e il fiume.
Non c’è più il camino acceso.
L’odore del fumo, il gatto che fa le fusa.
Non avrei mai scritto per te una poesia, prima:
non è mai stato facile sentire la tua assenza.
Andata e ritorno i passi nella neve
la distanza tra la casa e il fiume.
Mi mancano le tue zampate di orso fuochista
i tuoi amabili rigurgiti mattinieri
e i tuoi latrati notturni, quando fingevi d’essere ubriaco.
Ne hai scolate di bottiglie per ingannarci
e non posso credere che hai scolato l’ultima.
La morte è un fatto quotidiano.
La vita rimane l’eterno dialogo tra noi
e l’altro, colui che tutto sa ma poco concede.
*
1) Il tuo approccio alla poesia è avvenuto così come raccontato nella pagina iniziale de Il cacciatore di mosche?
Diciamo di no e anche di sì. Avevo già scritto molti quaderni, quaderni a righe di quelli rilegati con le molle, (dovrei ancora averli da qualche parte); diciamo tuttavia che dall’incontro con Spatola, da quel momento in poi, molte cose sono cambiate. E quell’incontro è avvenuto, più o meno, come descritto nel romanzo “Il cacciatore di mosche”, anche se Giulio ha ben poco a che vedere con Adriano.
Adriano diede un’occhiata, assai veloce, alle poesie che io e Dante gli avevamo portato e poi ci disse che potevamo buttarle nel camino. Tempo dopo mi arrivò un bigliettino dove mi diceva che avrebbe pubblicato due miei testi sul numero di Tam Tam in uscita.
Ed io ero contento di sapere che non li aveva bruciati.
Da lì iniziai a frequentarlo, ma in tutto il tempo che ci siamo frequentati, non mi ricordo di avere mai fatto con Adriano dei discorsi circa la poesia.
2) Come sei entrato nella redazione di Tam Tam?
Anche questo corrisponde al romanzo, ho iniziato a frequentare il Mulino regolarmente, mi fermavo a volte per qualche giorno, aiutavo in tipografia. Ero senz’altro tra i più giovani, altri andavano e venivano. Come ho detto, Adriano non è Giulio, non era un personaggio “facile”. Aggiungo anche che Giulia non è Livia e Selina non è mai stata da quelle parti. Lo dico perché qualcuno che conosceva quell’ambiente, si aspettava di leggere nel romanzo una specie di cronaca di quegli eventi. Non era mia intenzione. Io volevo scrivere un romanzo e raccontare cose, che poco o nulla hanno a che fare con quella realtà.
3) Com’era l’atmosfera a Mulino di Bazzano?
Se parliamo di atmosfera allora sì, allora qualcosa corrisponde al romanzo, e forse è da lì, da quella atmosfera che è nata l’ispirazione, o almeno la voglia di scrivere, di raccontare. Naturalmente è la “mia” atmosfera, e per capire bisognerebbe leggere il capitolo “osteria” o “la tipografia” o “ dal pastore, o altro.
L’atmosfera del romanzo è tutta un riverbero dell’ atmosfera che io ho vissuto in quei giorni. Ripeto, che io ho vissuto, e per la quale non posso negare una notevole nostalgia. Ma credo sia difficile trovare qualcuno che non ha nostalgia della sua giovinezza.
4) Quali erano i poeti più assidui ? come si svolgevano le riunioni?
Io mi ricordo in particolare di Sitta, Marie Luise Lantengre, Bisinger, Betrametti e molti altri. A quei tempi, Mulino di Bazzano era veramente un punto di riferimento a livello internazionale per la poesia, ma basta vedere un numero di Tam Tam per rendersene conto.
5) Ricordi qualche episodio particolare?
Tantissimi. E mi spiace un po’ di non averli utilizzati per il romanzo. Ma era impossibile, perché, come detto, Adriano non è Giulio. E il mio intento era parlare di Giulio. Tuttavia i ricordi sono davvero tanti. Adriano era imprevedibile, amava tutto ciò che poteva rompere la monotonia del quotidiano. Quando non era ubriaco era una persona deliziosa, questo succedeva soltanto al mattino presto, appena sveglio, dunque era necessario abitare lì per sorprenderlo in quella condizione. Comunque per lui era indispensabile sempre e comunque essere al centro dell’attenzione, cosa gli veniva sempre in un modo o in un altro, abbastanza naturale.
“Una sera incontrai Adriano e altri, in una osteria, a Reggio Emilia. Era molto che non lo vedevo. Io ero in compagnia di un’amica e mi fermai con loro solo il tempo di un saluto. Il giorno dopo leggo sul giornale “Il poeta Adriano Spatola arrestato”. Leggo l’articolo e mi scappa da ridere: aveva preso a parolacce un vigile urbano. I particolari non me li ricordo, mi ricordo però che andai a trovarlo qualche giorno dopo. Mi raccontò la storia, ed era felice come una Pasqua, l’esperienza di una notte ( o forse due o tre ) in carcere gli mancava, e l’aveva esaltato.
6) Com’è nata la poesia sull’orso fuochista?
Ho scritto quella poesia il giorno in cui ho saputo della morte di Adriano. Devo tuttavia aggiungere una cosa: in quella poesia ci sono dei riferimenti molto precisi ad un testo di Gerald Bisinger, in un certo senso è un omaggio a Bisinger che per me è stato ed è tutt’ora un punto di riferimento principale. Con Bisinger ci siamo incontrati al Mulino di sfuggita un paio di volte e non c’è mai stato un dialogo preciso diretto. Tuttavia ci sono, e lui l’ha visto prima di me, molti punti in comune tra il nostro modo di scrivere e intendere la poesia. Bisinger, ha tradotto quasi tutte le mie poesie, e le ha pubblicate ovunque gli capitasse e senza dirmi nulla, ed è stata per me, giovane “poeta” una sorpresa notevole vedermi pubblicato in antologie da lui curate assieme ai più importanti poeti del tempo, a livello internazionale. Una volta mi sono arrivati 500 Marchi dalla Germania, da una radio nazionale, dove erano state lette alcune mie poesie.
7) Cosa ti è rimasto di quei fermenti?
Molta nostalgia, mi è capitato di passare di là, ultimamente. Non posso negare che ho sentito un tuffo al cuore nel vedere le finestre chiuse. Mi aspettavo di intravedere Giulia dietro la finestra, mi aspettavo che il cane mi corresse incontro, e il sorriso indefinibile di Adriano in canottiera, già mezzo ubriaco a metà mattina.
8) Com’è nata l’idea del Cacciatore di mosche?
Tutto è nato dal titolo. Una sera, eravamo intenti alla solita battaglia con le mosche e mi è venuta in mente quella frase. Adriano disse che avrebbe scritto una poesia intitolata “il cacciatore di mosche” con sotto scritto “titolo rubato”. Io scrissi quasi subito un racconto con quel titolo, un breve racconto che corrisponde più o meno a quello che poi divenne il prologo del romanzo. Già allora scrissi anche il primo capitolo. Tutto il resto è recente.
9) Perché hai utilizzato uno pseudonimo per il Cacciatore di mosche?
Non c’è stata una premeditazione, è venuto da sé. Il romanzo è narrato da Aldo in prima persona, all’inizio io e Aldo eravamo la stessa cosa, poi lui è diventato Komenov ed ha preso un po’ le distanze da me, si è messo a pensare e a scrivere in proprio, per cui mi è sembrano onesto che fosse lui a firmare il romanzo.
10) Dove va la poesia ?
Mah! La poesia va dove tira il vento. Posso dirti dove soffio io.
Per me tutto il significato della poesia, è racchiuso in pochi versi di Charles Baudelaire:
Signore, dammi la forza e il coraggio di contemplare
il mio cuore e la mia anima senza disgusto
Quando ho letto questi versi la prima volta sono rimasto colpito profondamente. Benché fossi giovanissimo c’era in me una urgenza: l’urgenza di guardarmi dentro, di fare un po’ di luce in quella immensa confusione. Tuttavia mi ricordo che non capivo il termine “disgusto” avevo più o meno sedici anni e in me, a quella età, di disgustoso non c’era obbiettivamente nulla. Tuttavia compresi che la poesia poteva essere, era, lo strumento che cercavo, di cui avevo bisogno per la mia ricerca. E se avessi mai avuto bisogno di una conferma avrei potuto trovarla in questi splendidi e inequivocabili versi di Ungaretti:
“Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso”
Non è un caso se questi versi vengono ripresi e approfonditi in un discorso sulla poesia tra Aldo e Giulio, nel romanzo “Il cacciatore di mosche”.
Per me la poesia è parte integrande di un più ampio percorso che tocca ogni aspetto della vita ed ha come scopo la ricerca interiore e la conoscenza di se stessi. Lo scopo della poesia non è, tuttavia, trovare il nome a qualcosa che non ha nome, e pertanto non può essere conosciuto e tanto meno definito. Lo scopo della poesia è amare e fare amare quella “cosa” infinita, e descriverne l’odore, il sapore, lasciare una traccia, delle tracce, affinché si sappia che quella “cosa” esiste, confermarne l’esistenza.
11) E l’editoria legata alla poesia?
La poesia non ha un mercato, ed è una fortuna, senza mercato è molto più libera. Le moderne tecnologie creano già un mutamento colossale. Credo debba esserci un legame diretto tra autori e lettori.
Ognuno mette in rete i suoi testi e chi è interessato se li prende.
Purtroppo c’è una invasione tale di poeti e poesie che il rischio è quello della dispersione.
Vedremo come andrà a finire.