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Quasi un poemetto

di L’Arbaléte
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Pubblicato il 27/03/2025 13:05:03

 

QUASI UN POEMETTO

2012-2025

 

 

Un nulla ci lega a vita

 

Aveva pianto. Una cieca notte di lacrime; incontrò l'aria del mattino come fresco monossido. E lei ripetè il gioco, risalendo fino a lui sui ghirigori del ghiaietto, gli occhi all'abbraccio della linea deviata, a sbando d'estensione bianca:  Mi compiaccio dell'eterno! Ho spento fuochi a pelo d'acqua e ti aspetto in silenzio come un soldato all'alba di un duello.

  

Ho paura

 

Scaviamo buche nelle nubi per nascondere quel nostro potere, l’infinito, oppure cinerea una sera prega, ricrea carne, come fu l'Alfa ora è l'Omega di una stanca attesa. Ma se è nulla tra le due corde — l'una verde nata, l'altra nera morte — nulla potrà, nulla terrà, se non lasciarci insieme a riconoscerci in un fremito. Questi giorni sono migliori quando non si va da nessuna parte e l’amore è un serbatoio di lentissimo mutamento.

  

Ti voglio

 

Amaro e doloroso, arreso poggio la guancia sulla spalla della notte. Veglio. Ti voglio. Come d'un fuoco il crepitio nel corpo libero e divampa, te lo dico, come tristezza da balenante a fuggitiva nelle leggende dell'amore. Dirtelo con l’oblio riarso ma non ho più fuoco, parlare di te è il freddo silente respiro d'un cielo negato.

  

Delirio meridiano

 

Se freni l’avvenire un ruscellante dio s’abbarbica, già rampicante. Come fare con te, ché presto provo diletto nel recidere radici per volare, seme disalberato, a un’aldilà dell’amore, approdando, nudo non più nudo, ai violati spazi dei demoni furiosi con cui lotto? Che mi s’innesti al centro dei tuoi fianchi, al tramonto di un antico paradiso, sarò la vigna dell'ebbrezza tua, cintura d’usignoli trillanti a notte eterna e un’alba sola.


Vento e polvere


— O in cento albe ancora, bermi d’un fiato, di schiena, in sorsi, rabbia a portarmi via e intelletto e tempo, estirpate radici dell’ateo mondo da noi adombrato, 
sminuzzarne al vento ogni cima di delirio e farne polvere, mio amato, tu fanne polvere di rimpianto! Io, che mai ho creduto se non al vento, di Ehēcatl vivo i minuti e muto sangue al tuo lontano fianco e se mattina scorge ancora sui muri quell’abbaglio, è il lampo del mio amore che non ha pace e il cranio duole come duole il tempo, che di se stesso conta l’ingiustizia delle ore e unguenta la mia fuga. Ignori il mio avido volteggio e muovi al mio tacere, ignori bagnando di voce la mia gola, e questa tua Musa fu l'ultima sventura.

Con tempeste da bambola stormiva sviando l’orizzonte dal suo scopo, per attirare forme d’avvenire, eccettuando il nuvolio sospeso d’esser due sotto sigillo, l'idolo disfatto dallo scambio di bocca, l'ambra nuda di lacrime impazzite.

  

La vita solitaria

 

Spazi d’alba affollati di profili, vedo sul fondo d’un bicchiere vuoto l’oggi incerto alle stelle da morirne, giravoltando verso il primo incontro, amoruccio rollato in sigaretto e prendo il vento, mi rimetto al caso. Ricordi? Vivevo in vecchi palazzi dagli arabeschi blu dove attendevo sempre una donna in giardino: il giorno. Ora non sarà domani che fu già ieri, gesti oscuri, appena fatti dimenticati, un gocciolio di sangue tra cielo e me, tra nuvoloso e ombra.

  

Epitaffio

 

Cette âme qui ne fut jamais tout entière avec nous,

qui nous a passé entre les mains comme une ombre

rêveuse et téméraire.
                                                                 
J. Rivière

 

Si sognava petit poète — era sempre en arrière dei suoi progressi — e per tempo si diede a praticare a lungo una chimera “dell’intento”, avventurandosi per vie d’opacità dall’altro lato della trasparenza, devoto d’infelice ammirazione à la folie; ne visse l'autentica caduta spirituale, ne confermò la continua affermazione biologica, opposta legge alle brusche mutazioni negli esseri viventi, in falsa, persistente ipotesi evoluzionista, naturale vaglio, adattamento al milieu, struggle for life.

— Che si acceda a un deja-vu del reale e non sarà più pauroso rimare determinate stelle col finale revirement dell’estro soggettivo al gorgheggio dei valori oggettivi unitari nel mio sfogato dramma (come dire che ambiva a risarcire il romanziere, con cui divideva un quadro astrale, la certezza nel perdono divino e il gusto per l’inachevé, mentre giocava all'Olimpia dei Contes d’Hoffmann, automa dal cuore in gabbia e attendeva lo schianto, il grande stridio d’ingranaggi rotti e molle distorte e un cardellino accecato ridotto a libertà).

— Oh, non parlatemi di quel poeta…

  

Non tutte simili virtù

 

Su tutto il corpo scrivo il nome, finché sazio è il piacere e la stanza è oro abbagliante o le sue pareti la gioia, no, prima di mettermi in viaggio la carezza dell’astrazione sull’inafferrabile affetto a considerare un colore soltanto che mi rende eguale, ma sì, in te felice annego... a te, mille fogge diverse, sotto mille nomi segreti.

  

Encore le vent

 

Les jeunes filles, elles, plus se quitter, collage, toujours en rêves, changés les rôles par grelots les mêmes, le noeud gordien trancher.

 

 

 

 


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