V'è un confine sacro
tra ciò ch'è mio
e ciò che è del Tutto
un muro di pietre ammorsate a calce
ed è da questo lato
ch'io inizio il mio lavoro
inutile ed infinito
(infinito perché inutile)
che però io
nei giorni dal sole deputati
pongo come pietra d'inciampo
senso all'esistenza
che pur muove a riso certi Dei
Ed in quei giorni io m'inginocchio
(non davanti a loro)
nel fiato che si gonfia
e nel sudore
cerno quel verde che s'ostina
e che pur io vo' rimosso
con mano assai 'sassina
e lo rimovo
gli estirpo via la vita
Le fesse tra i cementi bigi
di vasche a espurgo destinate
tra piastre e piastre
che delinean corte
tra commessure
limiti d'utili caditoie
dettan l'azione alle mie mani
('sassine)
che svellono quel verde dalla vita
e quando ch'ei resiste
con atta lama
rompo all'infelice
lo filo de lo stelo
Poi
se questi garbi gesti non s'abbastano
aspro liquame spargo su quei resti
sui germogli
a disseccarne stirpe
con l'aiuto del sol
che vita o morte spande
m'illudo d'esser 'bbono
in questo fare
pur se Natura schernisce ogni mio gesto
Di quel che vedo
ciò che mi piace
l'aiuto ad avere loco et foco
con ogni cura che posso immaginare
e quando dal prato decimo li fiori
fingo che sia 'nu fatto naturale
e che l'artata bellezza
che nelle stanze porto
sia meno pesa del danno che 'l brucare
di qualsivoglia bestia
al prato gli farebbe
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S'alza l'uomo ch'è in me
la cui anima non sa
ben che pensare agli atti suoi
quieto il respiro
mal'incrostata ciascheduna mano
vanno gli occhi per li metri pochi
che 'l mio orgoglio
la convinzion di mente
chiamano a torto "miei"
sforzandone misura
è tempo di rientrare
è tempo d'altre azioni
(Tratta dalla raccolta inedita
"De rerum domesticarum")
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