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Il Palazzo d’Osiride - museo portatile egizio - reloaded

di L’Arbaléte
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Pubblicato il 16/12/2024 13:31:15

 

IL PALAZZO D'OSIRIDE

(museo portatile egizio)

 

Ἐν τῷ μηνὶ Ἀθὺρ

Κωνσταντίνος Καβάφης

 

 

Et soudain, au milieu de tout le calme nocturne de ce temple isolé dans un lac, encore la surprise d'une sorte de grondement funèbre, encore des choses qui s'éboulent, de précieuses pierres qui se désagrègent, qui tombent, et alors, à la surface de l'eau, mille cernes concentriques se forment et se déforment, jouent à se poursuivre, ne finissent plus de troubler ce miroir, encaissé dans le granits terribles, ou l'Isis se regardait tristement...

Pierre Loti - La mort de Philæ

 

 

 

 

SUL LIMITAR DEL SONNO è trattenuto respir di soglia astrale in cui sconfina il canto naturale d'un ultimo saluto. L'orma s'è persa l'onda e dall'imbuto della veglia non sale odor di mosto o suono vendemmiale che mi venga in aiuto. Così non m'addormento e il vento resto sveglio a suscitare d'un ricominciamento e ricoloro il cielo con il mare d'una torcia terrestre che illumina il silenzio alle finestre.

 

 

L'ACCARTOCCIATA FOGLIA che ancora l'albero non lascia andare è l'amorosa spoglia del suo non esser frutto da mangiare ma fiele che m'intossica e m'imbroglia le vie per ritornare all'insidioso viver sulla soglia tra stare e trapassare. Le vite parallele senza sbarco: chi nella piena notte ha mal d'aurora e di fantastico è piuttosto parco, chi in mare aperto ha scali a mistiche coitali chiede fissa dimora.

 

 

BAMBOLEGGIA lampada d'Aladino! Fa un po' grezzo oriente un bel finale da caffè nervino in un piovoso niente: niente galoppo della stanca mente, niente suon di violino e niente luce eterna eternamente all'ispessito fino, al trapassato eppure fresco senso d'abbandono. Timore dà morte con l'amoroso rifiato del riposo agognato e poi mischiato al denso sanguinante crepuscolo dell'ore.

 

 

MENTE DI GENTIL SIRE ai fragranti cancelli del tramonto gioco si fa del conto dei giorni che restarono da dire. Tutti l'oblio nel tetro impallidire sfiora dei sogni l'ontologico eterno ritorno al confronto con un quieto dormire. Nell'arte d'un sonetto claudicante trova suo ritmo il passo della morte, il fiero non ritorno d'un sole declinante, le sue amorose scorte al fondo d'una valle senza giorno.

 

 

FALSO FIOR seminudo che in pause le correnti d'aria uccidi e la bellezza sfidi, fanciullo scorticato al quale alludo, a senso ora m'affidi alla tempesta rosa, sesso crudo: furibondo lo snidi dal mare dei frangenti che fa scudo. Quieto delfino indiano, in ombre d'ametista ti nascondo. Oh pescherecci in corsa! Nella perenne sera il portolano sfogliato in capo al mondo, dio d'un respiro in soffocata morsa.

 

 

VANIGLITÀ M'ISPIRI angelo maculato d'occidente che i tuoi fervori viri in vermiglia vaniglia d'orïente. Nel plenilunio miri, svelate dalla luce mia dormiente le gelosie martìri del notturno Maestro onnipresente. Nascere ancora devo e teme le mie collere future, le siccità crudeli ed un tramonto intanto in cuore allevo, in quanto sono pure le mie intenzioni, innamorati aneli.

 

 

IN RISPLENDENTE FIAMMA nel tempo travolgente del mio inverno traboccherà di gioia il vecchio dramma del giorno meno eterno. Nel tempo travolgente del mio inverno di nubi vaporante divino senso odierno in sosta a calcolare un pieno istante. Di nubi vaporante il passo barbaro per cui m'aggiro in cerca della pace quale amante presago d'un sospiro il passo barbaro per cui m'aggiro in risplendente fiamma.

 

 

ASSIDUO VIVO uscito ora dall'anima. Trapunta un vento il soave spartito del silenzio a curarmi il sentimento. O l'ombra irremovibile del lento dissolvimento addito o l'impetuoso argento alla stagione glauca d'infinito. Leggera la mia musa olio versando da lucerna vana su notti polverose ecco si contrappunta e fa le fusa per lievità di cose nascoste al pianto nella voce piana.

 

 

PER IL NADIR D'OCCHI MORTI il paesaggio non si può più negare, la vera simmetria da biasimare un rischiato messaggio di vittima predestinata: fare è diverso passaggio che con un solo voluttuoso assaggio illudersi gustare. Si resta intatti, immobili, in silenzio. Si perde l'occasione che fa la fuggitiva prigioniera, la libertà, l'assenzio, nell'ultima deriva di visione concessa a chi dispera.

 

  

 


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