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Reliquiario - reloaded

di L’Arbaléte
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Pubblicato il 09/12/2024 13:40:52

 

RELIQUIARIO

 

 

GENESI PATAFISICA DELLA POESIA NATURALE

 

Non c’era niente di niente qui in principio, era tutto coperto dalla Gana, perché tale fame è la vita della morte, e così si creò un mentale (pensando fosse per me questo mentire) e si adorò per quello e mentre adorava fu prodotta l’Acqua, finché pensò ch’era una fiamma che scaturiva nell’adorazione e come la sua gioia pervadesse infallibilmente chi sapesse come la fiamma sappia acquistare in un tempo liquido il nome di Fiamma.

 

L’Acqua fu dunque la prima Fiamma e la sua schiuma solidificata Terra e, fatto questo, forse era un po’ stanca, ma il suo nitore d’essenza venne ancora fuori e fu così il Fuoco, che desiderò per sé come forma seconda, un corpo generato dai coiti del darsi falsi nomi mentali e, di menzogna in malessere un breve passo, diede alla luce e al buio l'Aria, in cui mise a sospirare le sue notti, l’albe e i mezzodì e i meriggi interminabili crepuscolari e le sere di funebri fedeli pensieri.

 

Le creature, i Viventi, si sa, sgorgarono già compiuti, di gioia bella e fatta a parte, altra fonte naturale impensabile, e furono subito invitati al banchetto inaugurale dell’Ospite, un buffet: in verità si mangiò male per sempre, della roba in mistica d’abbraccio vegetale bruciacchiata e crudità animali in salsa insuperabile piccante a torroncino, cose da cannibali, del tipo quattrosaltinpadella o miobabbinocaro se non fosse che il babbo restò per sempre incerto…

 

 

Partenza

 

Infine il giorno, un giorno senza sole, che si ritira lento dalla notte… Ultimi preparativi. Già puzza il cibo nel sacco di tela grossa. Io stesso brunito al permanganato. Tutto in blu. Prendi le tue medicine, bende, iodio, bisturi – si passa da tutte le parti con certe cose. Devo dirlo, non ho troppo sofferto. Ognuno col suo pacchetto. Nel mio, cenere e non pesa per questo meno. Disteso solo, faccia al cielo, mosche! Mi dispongo al sonno. Mi tocca, mostra la direzione da dove proviene rumore di festa. Non voglio andare.

 

 

In viaggio

 

M’accorgo che ho sete, che non s’è spenta. Quell’acqua, come l’attendo quell’acqua… Con che attenzione spio ogni rumore… Che sia quell’acqua? No, di nuovo sete! – Ça va? – Merci, ça va. – Alors ça va? Infine abbaiano dei cani, è giorno. Mi viene da pisciare, ma lo stesso non ho forza d’alzarmi. Rinuncio. Non so qual santo invocare. Che fare per avanzare ancora? Più profonda la tenebra e sembra, se mi sollevo, ancora più alto il bordo d’abisso. Poi mi portano una mezza teiera… Vuotata in tre sorsi… Del cioccolato… Alla fine m’alzo e vado a pisciare.

 

 

Una visita agli scavi

 

Ho ricopiato il mio itinerario, rettificando certi punti. Temo nuove difficoltà. Qui è endemica la scaramuccia e ad allontanarsi troppo dall’accampamento si rischia. Oggi mi sono spinto alle rovine. Mosche a migliaia, anche se le piaghe sembrano migliorare. Non è vasto l’orizzonte che ho sotto gli occhi, chiuso in un feritoia strettissima. Una cosa m’ha aiutato a tornare, l’idea che avrei avuto tue notizie. Ma invece solo corpi in sudore, tutto si volatilizza dai tappi di sughero l’alcool del sognare.

 

 

Scalata

 

Vacillo un poco per spogliarmi: sole, il sole s’è levato sul versante del nuovo tentativo. Nella stessa ciotola bevo coi cammelli – labbra mie – loro labbra. A quello accosciato una puntura d’olio canforato. Bisognerà lasciarlo. Dolcemente riparte in direzione dell’anfratto giusto. Da qui riprende l’ascensione: non è che una catena ma massiccia, i monti ben piazzati in tutti i sensi. Mi spiego la fatica spaventosa. Al crepuscolo qualcuno mi prende sottobraccio per continuare a piedi. Morto, il mehari. Io quasi lo stesso.

 

 

Sosta ai “Cammini d’Amore”

 

Piove e venta ed è pioggia tanto fitta; la luna dietro le nubi nascosta, alla cieca – spaventoso – avanziamo. Sono appena coperto dai miei stracci, il vento entra come vuole. Sera abominevole: febbre e dolore da vomitare, freddo. Meraviglia! Furono volteggiamenti? Sfiorare misteriosi al di sopra e tutt’intorno alle nostre teste? E cosa più strana per me fu ch’esplosero in quel momento le parole più oscure e le capivo? Tutta l’aria come mossa e riempita di questa vita bizzarra, non vedi che come sei. Poi tutt’affatto notte.

 

 

Ultimo deserto

 

Tu rapiscimi sulle ali possenti. Forte per due. Paura e angoscia per te s’allontanano in giovinezza che si crea e se guardo alla mia destra – a manca, le rassomiglio sedute a parlarti come me e risento stretti i morsetti dell’intelligenza. Benché caritatevoli le prime prove erano incomplete. Ma finisci di trasportarmi fuori dalla bruma, lontano da chi son io, dai tormenti. Tanto batte una volta che non vedo, o il mio cerchio minuscolo talaltra e non ti chiedo più che cosa fare. Sempre nessuno il tepore adorato.

 

 

Mittente

 

«Caro amico, sono ancora depresso – intendi incapace d’essere fiamma, se vuoi. Resuscita ciclicamente questa terra di donne dalla secca sua volontà nata in pieno deserto. L’ho vista morta mentre risorgeva, un flusso di sangue alle guance, al petto calore, ogni ora, ogni minuto contro la mia fatica…» E la lettera termina: «… non mi sono ucciso, spiove, altrove quello che mi permetterà il passaggio.» Chi me l’ha portata aspetta che scriva la risposta. Imberbe, giovane, magro, simpatico. Ci stringiamo la mano. Poi lo rimando con la busta vuota.

 

 

Quaderno - 31 marzo 1912

 

Abbiamo ripreso la marcia, l’alba ne sarà purificata. Diventa facile, intelligibile in cammino. Dimentico tutto. Nulla mi manca: solo una cosa mi prende, m’impegna: quest’avventura. Ci sono già dentro. Bene sapermi capace di calma in una brezza addensata di pollini. Ieri una pecora ha fatto un agnello, espulso con una voce di sangue. Nell’aria si sentiva l’inquietudine – si sono allontanati anche i cani. Siamo rimasti come una condensa di molecole d’oro sulla terra calcinata. Non rosicherà ossa.

 

 

Primo soggiorno nell’oasi

 

M’ha colpito in pieno nell’elemento, là hanno sede le forze più oscure, sento un tempo affettuoso quasi triste e gli odori, le reni, la saliva, viscere. Dopo un abbandono… – Se cantasse una femmina le mani a creare s’alzano un disegno di volontà, ora non c’è ombra attorno al mio corpo. Cinque, sei, sette giorni. Mi mette il sole nel cuore. Far riposare le bestie. Lavarsi con l’acqua fresca d’una voce di donna e dall’orecchio al cuore la voce s’è persa, semplice il gusto e nel sonno le ritrovate sorgenti carnali – … ci s’abbandona.

 

 

In prima luce

 

Prima luce a est. La marea veloce in un glissando porta immense ombre. Davanti a me stagnano pezzi d’acqua; poi come una nube vasta con isole di terreno disseccato – miraggio. Frasi mi tornano in mente e ne fremo: «Non desiderare con troppa forza, gli dei gelosi ti ostacoleranno.» E come la desidero! Malgrado gli dei… è questa la sola risposta. Talvolta dei veri accessi di rabbia. Somma dei giorni in orrenda topaia, le pulci, la spossatezza, le piaghe; e se i cammelli fossero rubati? Ma questa frase oso appena scriverla.

 

 

Fiori d’henné

 

Ormai siamo separati, ciascuno è entrato in se stesso e medita dentro. Nella piana. Cespi spinosi come bruciati dal fuoco. Poco ci manca che il gran vento mi disarcioni. Sera. Sul punto di svenire. Ero, ero… Lo sento, le nostre età che compiute saranno, dopo entreremo in un'altra. – Accetti di viaggiare dentro un sacco? – Che ci dai per andare più lontano? Sembra d’avere gli occhi volti al cielo, un essere che cammina all’indietro. Oggi le Palme. Ma quelle sere in cui i fuochi rischiarano muraglie, città del deserto… – Sì, per poco.

 

 

La voce

 

– La tua voce mi spaventa e insieme rapisce il mio desiderio… Ostaggio d’amore segreto, in cui mi trasmuto quando tu sei con me… Non è più giorno d’offerta, leghi rose sul rosaio, innaffi di vino la vigna, il latte lo si dia agli armenti, si faccia luce al sole, l’olio alle piante, stupisca nessuna meraviglia, dai grigiori ordinari… Ma che ci faccio qui? Con cosa pagherò le guide? Storie… Chiedono storie e non ho più da darne. Il suo riso era un cristallo in frantumi. Guarisci nel ronzio di primavera, io feci voto di arrivare al nulla.

 

 

Mektoub

 

Il vuoto tra che sarà ed è stato. Il comfort è alle 6 del mattino quando mi trovano. – No, via! Tenete le donne lontane… Ar-Rahîm… – Zitto! Non siamo noi a guidare chi amiamo. – Gran lavoro di coltello… Con gusto… Devono proprio averci messo un sacco di tempo… È tutto dissanguato, il sole farà il resto. – Fruga nelle tasche! Dà qua! Cos’è, una carta? Un mistero? Oro? – L’infedele ha scritto che è stata una donna a condannarlo al deserto… Uomo sciocco! – Chi era, un disertore innamorato? – Quell’agnello è mio! – Non lasciamolo così, seppelliamolo.

 

 

 

 

 


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