Vado,
dove i prati sono ridenti
e il sangue dei papaveri
veste la morte di antifone
nuove.
Perchè il genio è figlio del Caos
e sempre mi mossi tra ossa
col gelo tra le dita
e febbre nelle tempie.
Vado
sciorinando l'ultimo lutto
come una stola di porpora
appesa al filo del mio destino
abbandonando
manichini di gesso di ruoli
imposti,
lasciando ai vermi le loro
razzie di putredine.
Vado,
nel tempo scaduto che avanza
il non tempo,
oltre gli orti delle misere vanità,
prendendo dalle tasche tutto il mare
che misi nelle tasche negli inverni.
Così,
vado,
con passo di margherita
e l'ambra nel cuore,
finalmente libera di nutrire
il suolo spianato di ogni universo.
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