:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Poesie di Menotti Lerro tratte da Estate, 2008-2020

di Menotti Lerro
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le poesie dell'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 07/10/2024 11:36:48

Estate (Poesie 2008-2020), Ladolfi editore 2020

 

Si raccolgono in volume le poesie, i pensieri e le diverse voci che in varia misura, ma tutte insieme, hanno accompagnato il difficile cammino della maturità dell’autore. Difficile, aspro – anche se facile non è per nessuno – poiché vissuto Nel nome del padre, come suggerisce anche la raccolta di versi Il mio bambino, che decreta un’inversione drammatica e amorevole dei ruoli. La figura del padre, si può dire che sia presidio a queste pagine e non occorre guardarle in filigrana per sincerarsene. Ma nella sua scrittura c’è molto altro, ed ecco che gli elementi privati diventano universali ed esemplari, così come lo sono quelli impersonali. È, infatti, in questi componimenti, nella sua seconda stagione – quell’Estate simbolo della maturità come uomo e come artista – che l’autore raggiunge una compiuta singolarità e originalità di poeta, vale a dire una giusta contemperazione di mente e di cuore. Di mente, certo, e anche di cuore, è questa l’impressione del lettore, perché sembra che soltanto qui, nell’effusione lirica della poesia, Menotti Lerro abbia trovato, percorso iniziato fin da giovanissimo, una libera e prima possibilità di espressione.

 

Prefazione di Giampiero Neri

Milano, 9 marzo 2020

 

 

(prima pubblicazione, 2013)

 

GLI ANNI DI CRISTO

 

Libera me, Domine,

de morte æterna,

in die illa tremenda,

quando coeli movendi sunt et terra.

Dum veneris iudicare sæculum per ignem

 

 

I

DEL FANGO E DEL FUOCO

 

Desiderium habens dissolvi

et cum Christo esse

 

Ventidue è il doppio di undici

e io morii il ventidue febbraio del 1980.

Fu nella stagione Peret,

quella che passa senza rimpianti

se non per chi vi muore

una volta all’anno.

Si dice che l’uomo perisca

una sola volta e che poi di morte

si illuda nel tornare alla vita.

 

Nel mercato di via Papiniano

ogni voce è una radio,

ogni volto una stella di luce riflessa.

Io fluisco in silenzio, mi affido

alla corrente; il marmo degli occhi

incornicia ogni cosa, duole il dente,

schivo la bocca di un serpente.

 

Le perle più belle del creato!

Olive greche, alici marinate!

Pesce spada regalato!

Giuro sulla testa del neonato!

 

Il giorno ci è caduto addosso

cucendo vestiti sulla pelle,

tratteggiando ombre sull’asfalto,

lume alto sulle cime.

Abbiamo ricordato zia Giovannina,

i bon bon dalle Americhe,

la borsa marrone con le posate private.

Poi non tornò più. Nessuno ci parlò

del suo viaggio, fine lontana dal principio,

noi non chiedemmo. Basta così poco

per essere dimenticati.

Bambini ingrati.

 

“Vieni Luan, nascondiamoci

nel grande cartone, qui non si

sente rumore, apriremo finestrelle

sull’oceano da affidare a Giano Bifronte.

Sarai la regina del castello, io re,

la corona e l’ombrello. Spariranno

i mostri della notte, il drago infilzato

dal bastone. Saremo liberi!”.

 

“Come possiamo essere angeli

mentre il fuoco divora i pensieri del padre?

Siamo cristalli in preda alla luce,

sogniamo d’essere bambini.

Nessun’ombra alle spalle, mani gelate.

Soffia, soffia sulle mani la neve che hai dentro,

restaurerai le cicatrici, sei un fiordaliso”.

 

Si radeva la barba tra mille sorsetti:

“…quel giorno mi scordai di spigolare…

eran trecento… giovani e forti… morti!

passero solitario dove andrai? donzelletta mia…

Non è la terapia la poesia, ma la pazzia!”.

 

Padre, gli dèi ingenerano negli uomini

la ragione, supremo fra quanti beni esistono.

Io non potrei né saprei dire che queste

tue parole non sono giuste. Sembravi rinato.

 

Poi la vetrina alle spalle, il tonfo che ridesta,

eterno incantesimo; siamo ancora nel tunnel

senza uscite, negli anni di Cristo:

non passano, si accumulano!

Non torneremo a correre pendii

e i nostri ieri rivivranno sul carro dell’auriga

stretti per non cadere, verso la contemplazione,

luminosa neve di Natali all’alito delle fiamme

dove i gatti sognavano l’angelo rosso.

Sovrapposizione folle il volto,

dal nero al velo della barba,

impossibile mappa dei vagoni del tempo.

“La carne è uno scudo lesionato!”

farfugli nel terrore del frammento

“La salveremo con il sale,

di quanto negli occhi rimane”.

 

“Vecchio bambino ingordo,

quale vita vorresti?”.

 

 

Potessi rinascere stanotte,

scegliermi un destino, nascerei ancora

in un povero mattino in una bianca

casa senza porte.

Il vento è una mano sulla pelle.

Non temere sorte o morte.

In chiesa ogni uomo si raccoglie,

rintanato spera. L’occhio distorto

dello spirito stolto da poterlo

ingannare con due arcate

in bella mostra, la questua per il prete.

Fiorirò nell’anno del Signore,

pietra pomice sulla riva dell’estate.

Tra-vestito e l’anima, le ossa.

 

Come l’acqua del Mastellone urla

nelle vene l’amore nel verso che vuole.

Lucciole impazziscono tra i sassi,

la trota smuove lame leggere.

Il saggio ha innalzato gli scudi sulle rocce,

pietra su pietra, io sono stato!

L’azzurro è la poesia dei giorni,

magma che solidifica il cuore.

Il fiume in cui entriamo è lo stesso,

ma sempre altre sono le acque

che scorrono verso di noi.

Al muro le stelle sbiadite

non cadono come d’estate

inseguendo i desideri degli amanti.

 

Fermo è il tempo nel petto del pupazzo

di neve sulla piazza senza braccia.

Non hanno pupille gli occhi

e dai bottoni della bocca

non si espande più fiato.

I passi degli uomini creano

un’altra dimensione. I ricordi

in preghiera, fiocchi caduti:

moriranno domani allo spuntar del sole.

La mano cuce la notte.

Rallenta fino a fermarsi il quadrante

della piazza, matite spezzate.

La gomma cancella le ferite.

 

Don Don Don

 

Seamus Heaney è più vecchio di me,

l’ho capito osservandogli la vena.

Mi ha detto: “Guarda come son fresche

le rose del tuo volto, abbine cura!”.

Poi si è dileguato tra due fogli.

A volte riguardo le mie rose,

penso alla rugiada che disseta nella notte,

il mondo che scompare tra la seta.

Dureranno un mattino le mie rose,

il tempo d’ascoltare il tumulto

delle palpebre accostandosi

al seno imbottito di velluto.

 

Fu a Stonehenge, un sussulto

di macchine fotografiche prima

dell’amore sulle foglie.

Dureranno una notte i sospiri,

tempo d’accostarsi al tumulto

del tuo battito francese.

Come ci ha cambiato la notte,

le immagini sono già distorte

e la speranza sa di rimpianto

senza tempo. Il viaggio finirà

sulla croce del monte,

ci toccherà aver paura,

chiedere perdono.

 

“Hai mai chiesto perdono?

Ti inginocchi vicino all’altare del fiume?

Sotto una quercia secolare

dal petto incavato per nasconderti

quando nel bosco piove e la terra

libera fragranze per proteggere

ogni sua creatura?”.

 

“No, non mi sono mai nascosto

in una quercia. Ho temuto le folgori.

Né mi sono accostato ai fiumi.

Sono rimasto nelle torri più alte,

Babele abbattuta dalle aquile”.

Anything can happen! negli anni del Signore.

 

Andiamo ora nel deserto.

Basterà un dito per scrivere un verso.

Non ci sono torri lì, dormiremo

sicuri tra la sabbia: dolce coperta

in cui avvolgere i corpi e rattopparne i buchi.

“Ho paura!”. “Di cosa hai paura?”.

“Temo l’angelo cattivo!”.

“Torbidissima ombra, unico tormento.

Lascia che io vada da solo

verso l’oasi promessa!

Io sarei nato per essere uno,

non sentire voci alle spalle

quando spuntano traditrici le luci!

Possa la lebbra attaccarsi alle tue ossa!”

 

“Sai che non ho ossa! penso alle tue,

che scricchiolano quando cammini

(io striscio sul ventre) quando dormi

su morbidi cuscini lasciandomi sui muri.

Di te non avrà pietà il Padre,

…non ne hai per nessuno!

L’osteoporosi ti bucherà lo scheletro,

mi vedrai con la luce dentro scomparire”.

 

II

LA TENTAZIONE DEL PANE

 

(continua...)


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »

I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Menotti Lerro, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.

 

Di seguito trovi le ultime pubblicazioni dell'autore in questa sezione (max 10)
[se vuoi leggere di più vai alla pagina personale dell'autore »]

Menotti Lerro, nella sezione Poesia, ha pubblicato anche:

:: Poesie di Menotti Lerro tratte da Primavera, 1997-2007 (Pubblicato il 07/10/2024 10:20:40 - visite: 35) »

:: Four Poems by Menotti Lerro in English Language (Pubblicato il 05/09/2024 10:30:45 - visite: 63) »