Pubblicato il 02/07/2024 19:13:12
A primavera, nella Madrid di locali gremiti, in procinto di accogliere la scintillante e nostalgica movida serale, passeggiando lungo il Paseo del Prado, sono entrata museo Thyssen Bornemisza, salutata da colossali vasi di camelie bianche, rosa, screziate. Qui, alla fine del mio tour, ho 'incontrato' uno dei quadri del mio pittore preferito: il quasi ingegnere navale e artista Edward Hopper. Il quadro ritraeva una giovane donna adagiata su un letto d'hotel in una dimensione surreale e straniante di abbandono. Ho continuato a pensare a Hopper per tutto il tempo, tra le file dei turisti fermi al semaforo, sicuramente destinate al più famoso Museo del Prado. Ogni dipinto è, in realtà, uno spirito. Ed io, nella solitudine metropolitana del viaggiatore, continuavo a dialogare con quella figura di donna, leggendo altre sfumature oltre al significato convenzionale, cioè da critica artistica. Quanti colori può avere la solitudine? E soprattutto, qual è il mistero che tanto mi affascina nei tristi palcoscenici delle figure solitarie di Hopper? Ho portato in un bar, tra murales che raffiguravano un'aria di 'fiesta' quelle domande. e sono apparsi ricordi di me, uniti all'abitudine di fissare le luci nelle case, di notte, soprattutto nelle città, nei palazzi a picco sulla notte avvolgente e implacabile. A differenza di Hopper, però, come una specie di falena inquieta, mi sono vista nell'attitudine di una toccata e fuga, che non cerca di circoscrivere e descrivere niente niente, oltre il sentore di 'quello che potrebbe essere in una di quelle finestre'. Questa mia poesia è ispirata al dipinto di Hopper "Donna al tavolo del caffè". che mi custodisce come un utero; per attrarre briciole di dimenticanza sul tavolo azzurro, come il mare tra gli alberi neri della mente abitati da presenze distratte che mi resta alle spalle, mentre affondo in un caffè Annalisa Scialpi (dipinto di Hopper, dal web)
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