Non è impaziente. Non è come lei.
Bisogna sempre essere grati a qualcuno
se per una sera ci si trova al centro di un letto
con il plaid e una gamba scoperta dalla parte del camino
uno da parete, senza legna.
E attendere.
Per un attimo
e chissà quant’è un attimo
attenderla,
forse è il tempo in cui il jazz si raffreddi sul comò senzafar rumore,
e senz’altro il tempo in cui lei,
che si è alzata di corsa,
ed è andata scalza nelcorridoio,
tornerà.
Vale la pena dismettere il torpore dalle ciglia
e voltarsi con il profilo dentro il cuscino
che sa di rose della Normandia
per capire come si fugge
per la curiosità di fissare i tendini negli incavi delleginocchia
bruni come rosso Tiziano.
E attendere.
Magari attendere e tra i pensieri
una specie di moderno charleston
un pezzo di Parov Stelar, per intendersi.
Pensieri che vivono tra agonia e mistificazione
pensieri, quasi non fossero suoi:
Mi congederò
come tutti i giovedì e
farò finta di non attenderla domani alla biblioteca, perfarmi dire
“come sei stato ieri?”
C’è sempre ieri nell’indifferenza
c’è ieri nella farsa
e ieri nel come-se-fosse-niente.
Faccia pure!
Io mi prendo una sigaretta e il tempo da impiegare
per non innamorarmi.
Che male c’è a non innamorarsi.
La mia mano è grande solo per una stupida sigaretta
nel momento in cui porta alle labbra il vizio
e alla testa il piacere.
Se la solitudine è una vanità,
io mi sento distratto ora dalla sua presenza
in casa sua, nel suo letto.
Si sono conosciuti quando
le dita strisciando sulle pagine sono finite sulla pelle
o, secondo lui,
dopo un’ elaborazione di dati
per cui le probabilità si sono soltanto attraversate.
Lui ha una fronte spaziosa e consenziente
e ha acceso quella stupida sigaretta.
Lei ha smesso di correre per il corridoio
fino al telefono lasciato su una mensola,
che ha smesso di ululare perché gli ha detto
con voce da giansenista:
“pronto, amore”.
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