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Raccolta di poesie di Blumez
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Entrarono in casa e Catherine non sapeva nemmeno il suo nome. Lui accese la lampada a petrolio e lei si tolse le scarpe all’angolo del letto. La notte si appoggiò alla finestra con discrezione lui le offrì dell’assenzio mentre si sfilava la gonna. Le labbra un po’ sdegnose i capelli rossi come un dipinto di Rossetti quando lui andò allo specchio Catherine staccò la guêpière. Srotolò le calze lentamente fino alle ginocchia sulle cosce la neve. Lui fingeva di non guardare e lei scoprì il seno. Distesa svogliata su un fianco un piede svelò l’altro fra le lenzuola la sua bellezza era un chiaroscuro. Solo allora chiese allo specchio: “Catherine, quanto prendi?” Sorrise Catherine nei brividi che toccano la paura e l’ebbrezza: “Nuda qualche franco in più”. “Va bene” rispose e si voltò. Si sedette al cavalletto di fronte ad una tela e prese a disegnare. Incominciò dagli occhi gli occhi di Catherine non erano ancora nudi. |
*
La tesa premeva contro il vetro
si piegava ma
lui non doveva togliersi il cappello: una mancanza
nei confronti di Dio.
La tesa si rigirava
e si appiattiva sugli interni del locale,
dal vetro si poteva immaginare
una distesa di silenzio lacerarsi al centro come
un tessuto stretto ai fianchi.
E man mano che si sfoderava verso l’esterno
un crescendo intenso
più intenso
di rumori illegali di un vecchio speakeasy,
i tacchi veloci delle ballerine di charleston
il profumo dei distillati al chiaro di luna.
Il vetro era così pulito da prendersi tutta Chicago
i grattacieli
e per poco il lago Michigan.
Ma quando il sole sgattaiolava tra i grattaceli
e si specchiava in alcune ore del giorno,
sparivano lestofanti gli interni, la musica, i tacchi.
Si compattava il silenzio
e il tessuto si faceva morbido.
Lui non si preoccupava della tesa
nient’affatto
il naso e le mani contro il vetro finché
gli si avvicinò uno molto casual, con il borsalino in testa
e gli chiese il perché.
Lui rispose: “La vede la stella a sei punte?”
Ma non la vedeva.
“La stella di David, disse,e indicò sul vetro”
Si levò il cappello premendo sul pizzicottato e appoggiò lafronte:
non la vedeva.
Riuscì solo a mettere a fuoco la linea dei liquori
sopra il bancone di legno,
sopra la distesa di sedie rovesciate sui tavoli
con le gambe che si intrecciavano ai grattacieli.
L’ebreo raddrizzò la tesa senza togliersi il cilindro
una mancanza di umiltà verso Dio
e se ne andò.
“E’ perché si vuole sempre guardare più lontano”, disse.
L’altro restò col borsalino in mano,
sconsolato e questa volta
guardò sul vetro.
“Ma allora lei, fariseo,
perché guardava dentro, così vicino al vetro da rovinare la tesa del suo cilindro?!”
E l’ebreo: “Io la stavo solo baciando”.
*
Non è impaziente. Non è come lei.
Bisogna sempre essere grati a qualcuno
se per una sera ci si trova al centro di un letto
con il plaid e una gamba scoperta dalla parte del camino
uno da parete, senza legna.
E attendere.
Per un attimo
e chissà quant’è un attimo
attenderla,
forse è il tempo in cui il jazz si raffreddi sul comò senzafar rumore,
e senz’altro il tempo in cui lei,
che si è alzata di corsa,
ed è andata scalza nelcorridoio,
tornerà.
Vale la pena dismettere il torpore dalle ciglia
e voltarsi con il profilo dentro il cuscino
che sa di rose della Normandia
per capire come si fugge
per la curiosità di fissare i tendini negli incavi delleginocchia
bruni come rosso Tiziano.
E attendere.
Magari attendere e tra i pensieri
una specie di moderno charleston
un pezzo di Parov Stelar, per intendersi.
Pensieri che vivono tra agonia e mistificazione
pensieri, quasi non fossero suoi:
Mi congederò
come tutti i giovedì e
farò finta di non attenderla domani alla biblioteca, perfarmi dire
“come sei stato ieri?”
C’è sempre ieri nell’indifferenza
c’è ieri nella farsa
e ieri nel come-se-fosse-niente.
Faccia pure!
Io mi prendo una sigaretta e il tempo da impiegare
per non innamorarmi.
Che male c’è a non innamorarsi.
La mia mano è grande solo per una stupida sigaretta
nel momento in cui porta alle labbra il vizio
e alla testa il piacere.
Se la solitudine è una vanità,
io mi sento distratto ora dalla sua presenza
in casa sua, nel suo letto.
Si sono conosciuti quando
le dita strisciando sulle pagine sono finite sulla pelle
o, secondo lui,
dopo un’ elaborazione di dati
per cui le probabilità si sono soltanto attraversate.
Lui ha una fronte spaziosa e consenziente
e ha acceso quella stupida sigaretta.
Lei ha smesso di correre per il corridoio
fino al telefono lasciato su una mensola,
che ha smesso di ululare perché gli ha detto
con voce da giansenista:
“pronto, amore”.