SU J.A.RIMBAUD
Letture,coordinate e paralleli nascosti
nella geografia di Rimbaud:
testi e temi,loro evoluzioni,legami,sovrapposizioni, scissioni o convergenze interlacciati
“Lascia al lettore ciò di cui è capace anche lui”
L. Wittgenstein -1948
Un ricordo mio personale del Novembre 1991.
100 anni prima moriva Arthur Rimbaud, quella grande e sdegnosa anima , che si era isolata volontariamente dal mondo occidentale ( la palude! ).
Ecco che ebbe inizio “il tempo degli assassini”!
Gli giunga il mio omaggio _ lo ascolterà ? lo accoglierà ? chissà… _ più sincero ed autentico per il suo orribile sacrificio; lui , sì , è stato un autentico lavoratore , operaio dell’universo da scoprire.
Quella morte piena di sofferenze e di solitudini, era in effetti “l’altra vita” ? _ ovvero la duratura eternità decretatagli da chi lo ha infine compreso raccogliendo le sue invettive_ un poco di “vera vita” che lui invece denunciò come “assente ( =”non-presente” ? ).
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Rimbaud e Kafka.
Rimbaud. La rivelazione e il turbamento del sesso, la “sporca educazione cattolica”, repressiva, della madre intransigente e bigotta, meschina e senza grande affetto, stanno alla base della sua rivolta, del suo inselvatichimento con gli altri, della sua ipocondria per le donne e i piaceri del sesso, con la conseguente fuga e rifugio nella letteratura.E quella debolezza innata che gli era stata data, perché ?
Kafka.Il senso di colpa dello scrittore ceko ( alcuni l’hanno addebitata alla condizione ebrea o del sionismo _ ma chi ci crede di fronte alla biografia reale che parla molto esplicitamente!)non ha forse origini nell’ autoritarismo prepotente del padre ? In quel profondo contrasto che poi genera disamore e rancore,in ognuno dei due,ma soprattutto,nel più mediocre,nel padre cioè,in fondo soltanto ‘un mercante meschino’ , storicamente e irrimediabilmente determinato.
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“La poesia trasforma la vita” F.Kafka ( da “Colloqui con Kafka” di G. Janouch: p.23 )-“Il poeta è un cercatore di felicità. Cosa tutt‘altro che comoda” ( da “Colloqui con Kafka” di G. Janouch: p.26 ).
Che strano che Kafka riprenda una idèe fixe di Rimbaud in una confessione consegnata ad un suo giovanissimo amico,Janouch,che poi ci ha riportato più o meno fedelmente. Non poteva certo immaginare (pare dal contesto globale delle testimonianze su lui e dalle opere _diari soprattutto_si possa inferire che non ha mai letto Rimbaud) che un uomo,un poeta,45-50 anni prima,avesse tanto lottato,in un corpo a corpo furibondo,per tutta la vita (compreso il periodo “africano”) per quelle medesime idee ch’egli si lasciava sfuggire pateticamente negli affabili e brevi lampi di colloqui con un giovane aspirante-scrittore.
“Changer la vie” e “j’ai fait la magique étude du bonheur”,ecco,stralciate dall’opera di A.Rimbaud,due pensieri cruciali,idées fixes appunto sulle quali bruciò letteralmente la sua esistenza.
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L’opera rifiutata,ossia abbandonata o anche trascurata e tralasciata : ecco un atteggiamento di poeti e scrittori moderni,sconosciuto agli antichi. Due esempi di primo piano : Rimbaud e Kafka.
Il primo nel 1873 ignora la “Saison en enfer” stampata a Bruxelles , dimenticandosela in pratica nei depositi dell’editore belga, avendone ritirato solo una decina di copie,5 delle quali sembra le abbia di-stribuite a suoi amici(fra i quali ,beninteso,Verlaine per primo e Delahaye più,forse,Germain Nouveau). Il secondo più volte ha espresso al suo amico Max Brod la volontà di distruggere ( bruciare addirittura_anzi in una intervista ben circostanziata l’amica degli ultimi anni ,Dora Dyamant,ammette proprio di aver bruciato,su richiesta di Kafka medesimo,alcuni manoscritti datele in lettura) le sue opere, malgrado molte di esse rimase poi incompiute.
D’altronde si dice che Virgilio,circa 1900 anni prima, avesse avuto tentazioni di bruciare l’Eneide.
In pratica gli amici intimi dei due poeti ,Verlaine e Brod,si fanno carico della pubblicazione delle opere delle loro ‘grandi’ anime con squisito sentimento di amicizia e affinità elettiva,decidendo di far conoscere al mondo il loro frutto,contravvenendo alla noncuranza alla quale i due le hanno relegate,e ai pericoli tremendi dell’oblio (che tutto ricopre inesorabilmente per legge naturale) sotto il quale essi scelsero spontaneamente di velare od occultare i loro intimi pensieri. Qui,comunque ci troviamo, patentemente,di fronte a due rifiuti,che vengono dal più profondo,da decisioni forse dettate da una presa di coscienza di non aver raggiunto,tramite gli scritti, il target che si erano prefissi, quel risultato,bersaglio,o punto di arrivo che in effetti non coincideva con la materialità esterna della scrittura e che lasciava un vuoto nell’anima.
Rimbaud e Kafka sono due scrittori,forse opposti come caratteri e personalità,ma che hanno qualche punto tangenziale, sia pure misterioso o sfuggente,indefinito,e tuttavia stranamente pregnante,che li avvicina asintoticamente. Diciamo che sono una certa sorta di mistici : Rimbaud come disse Claudel “allo stato selvaggio”; Kafka: “spontaneo”, sprofondato nella tradizione ebraico-talmudica.
E , comunque, “l’enfant en révolte” , è stato molto più esplicito di Kafka, avendo un carattere forte e netto, una volontà di diamante inscalfibile. A più riprese ha denunciato una mancanza,una penuria (“la vrai vie est absente” della “Saison”) e l’impossibilità di trovare “le bonheur” (“Saison” e “Illuminations”), che di quella vita sono il nocciolo. Il praghese non è stato da meno nella sua inflessibilità, malgrado la sua fragilità, solo apparente , maturando una resistenza ad oltranza nella solitudine, in un crescendo di raccoglimento in sé stesso,quasi una preghiera alla vita e al mondo unite in simbiosi.*
Non mi vengono in mente altri scrittori che hanno lasciato da parte le loro opere scritte dileguandosi in punta di piedi,anzi congedandosi dalla ribalta pubblica della comunicazione , per immergersi in sé stessi , quasi raccogliendosi,in ascolto devoto dell’anima ferita e annichilita da una sorta di scacco provocato dall’intangibilità delle interrogazioni e delle relative risposte rimaste mute ed inevase.
* Cfr.Canetti,E. ”L’altro processo.Lettere a Felice Bauer”(in “Opere.Vol.2”:pp.101-211),dove in parecchi passi si potrebbe rinvenire molto di quel che ho intuito di Kafka nelle ultime 4 righe.
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Rimbaud e Leopardi.
Considerato globalmente che i loro scritti più conosciuti sono nati dalle sofferenze, si può constatare che mentre in Leopardi le condizioni di dolore sono in lui uno stato _come dire?_ fisico-mentale di genesi organico tuttavia; in Rimbaud invece lo stato fisico-mentale è autoprocurato da lui medesimo. Leopardi difatti recrimina _ a causa delle sue deformità della spina dorsale e quindi per l’aspetto non gradevole percepito _ sulle sue scarse possibilità di procurarsi la felicità (“bonheur” rimbaldiano), maledicendo la sua sorte ( fortuna = ancora “ bonheur” ! Ma anche gli manca la “fors”, cioè “forza”, etimologia alla radice di fortuna ).
Rimbaud decisamente si rammarica della sorte che l’ha fatto nascere in un piccolo centro rurale (Charleville, da lui odiata,così come Recanati sarà ,invece, amata da Leopardi), goffo e maldestro,cioè “paysan”(contadino, mentre Leopardi era “conte”),in una famiglia tiranneggiata da una madre piccolo-borghese,cocciuta e bigotta per di più.È il contrasto,tra due mondi:nobiltà decaduta e borghesia terrie-ra emergente? Il secondo universo che soppianta,storicamente,il primo;un passaggio d’epoca.Sono due uomini che hanno “il male di vivere” _ certamente “romantico” per Leopardi , “decadente” e quindi già assai “moderno” (secondo la definizione di Baudelaire,che l’allievo traduce in “il faut etre absolument moderne!”) per Rimbaud in anticipo enorme sui tempi _ un misterioso e sotterraneo malessere che afferra l’anima di uomini dall’acuta ‘sensiblerie’ e che incarnano in una modo paradigma-tico lo spirito di epoche ben precise. Che strano, purtuttavia, un parallelo Leopardi-Rimbaud, così distanti ed opposti,inconciliabili (forse non solo a primo impatto),eppure da confrontare per ciò, onde scoprire e far risaltare per contrasto nero su bianco(e viceversa)che la loro “scrittura” nasce soprattutto da certe “insofferenze”, da stati d’animo connaturati con una ‘malaise existentiale’ e da condiziona-menti ambientali che fanno scattare un “malheur” insopportabile.
Leopardi scrive, mette in canto la sua impossibilità di raggiungere un “bonheur” sottrattogli da una deformità a cui la natura l’ha condannato “per decreto”.Rimbaud scrive, e scioglie in nitide prose ritmate (strappate o quasi ad un “io alieno”, che è riuscito a stanare con lucido metodo di selvaggio intuitivo),la constatazione irreversibile di avere smarrito per sempre l’innocenza immediata di sperare a poter vivere per un “bonheur” che lo evita come un appestato. Sono due uomini che hanno fallito una “certa” vita ,intravista ,come un miraggio,e mai afferrata, appunto “assente”.Benchè entrambi conti-nuino a rivoltarsi e a reagire al destino inesorabile (Leopardi in maniera più virtuale in quanto non ebbe in dono una eccessiva vitalità;Rimbaud in maniera più spettacolare e prorompente _da qui l’interesse dei suoi innumerevoli biografi_e più spesso anche autodistruttiva),non riescono a rintrac-ciare la felicità immaginata e desiderata ardentemente.In Leopardi la riflessione poetico-filosofica s’innesta in una situazione psichica di morbosa ipersen-sibilità personale,resa ancora più acuta ,se si può ( oppure: provocata?),dalla deformità fisica brutale a cui deve far fronte sin dall’adolescenza che ne ostacola l’anelito spontaneo di ricerca (al diritto) della felicità.
In Rimbaud al contrario _proprio!“ bello come un angelo”_quella medesima adolescenza(in questo sono “gemelli”!)s’adombra e s’inquieta pel medesimo turbamento esistenziale di base piuttosto a causa di un’atmosfera asfissiante da provincia e soprattutto la forte oppressione-repressione cattolica che provocano tramite la famiglia(e in special modo la madre tiranna ed egoista accentratrice,anziché amo-revole ed affettuosa)su di lui una pesante inibizione ad aprirsi armoniosamente al piacere e alla vita. Leopardi,malgrado tutto,s’integra_ è più addomesticato complessivamente con la società e in realtà egli vuole essere assorbito nella “normalità”.
Rimbaud no! Rompe con la società_ e “l’anomalia” usata come metodo, spaventa il perbenismo che quindi lo respinge e lo isola in una dialettica diabolica , da vera “saison en enfer” !
Ma oramai siamo già, in “piena alienazione” : Marx , quasi più o meno negli stessi anni ( chissà che non si siano ‘incrociati’,ma destinati a non potersi conoscere,nel British Museum,il filosofo mentre indagava sulle statistiche interminabilmente negative per gli operai ,il poeta di Charleville mentre indagava sulle alchimie del verbo in abissi sempre più inaccessibili…) ,la denunciava fra le righe _non secondarie_ del suo “Capitale”.
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Goethe,la “palude occidentale” della dualità,l’Oriente del Vedanta(advaita) e Rimbaud.
“Le filosofie possibili si suddividono in sei più tre marginali; le prime si chiamano le 'sei visuali' (şaşdarśana) e sono la dialettica (nyâya), l’analitica (vaiśeşika), la sintetica (sâmkhya), l’introspettiva (yoga), l’ermeneutica (mîmâmsâ) e la metafisica (vedânta). Le tre marginali sono il buddismo, il giainismo e il materialismo (cârvâka). Le formulazioni di ciascuna tendenza possono essere fra loro opposte, ma i loro significati sono uniti al vertice, nella volontà di liberazione. Scolasticamente si fa l’esempio di cinque frasi di significato apparentemente contrastante:
Dio è nel mondo / II mondo è in Dio / II mondo è Dio / Dio e il mondo sono distinti / Non si può dire se Dio e il mondo sono distinti.
Corrispondono a queste altre cinque:
L’ordito è nel tessuto / II tessuto è nell’ordito / II tessuto è l’ordito / II tessuto non è l’ordito / Ordito e tessuto sono distinti / .
Non si può dire se ordito e tessuto sono distinti.
Quando i maestri di filosofia polemizzano, contrapponendo a una impostazione l’altra, come quando Śankara getta il ridicolo sullo yoga, stanno allenando gli alunni a maneggiare la tecnica dell’argomentazione, perciò a staccarsene, a scrollare di dosso la magia dei significanti. Affilano, dice la metafora venerabile, lo stoppino il cui unico fine è di essere bruciato. Chi assimili questo metodo, perviene al particolare vedânta che è advaita, cioè senza dualità, ignaro di ogni contrapposizione, nel quale gli opposti sono uniti e coincidenti, sicché soltanto ciò che è sincretico sussiste. Il timore che suscita questa razionalità assoluta * è il medesimo che nei secoli ha scatenato le condanne del sincretismo. William Jones stesso dichiarava di temere, divulgando la sua mitologia comparata, di minare le basi dell’ordine civile in Inghilterra.
Goethe fu affascinato dall’idea, divulgata da Sir William, di mâyâ, l’illusione o arte o fantasia cosmica che è madre dell’amore. Quasi soltanto Calderòn e Shakespeare avevano fatto propria quella idea prima che la versione indù si diffondesse. Al culmine della avventura napoleonica Goethe scriveva:
Nord Ovest e Sud crollano,
Cadono i troni, tremano i regni:
Fuggì nell’Oriente più puro,
A respirare l’aria
Dei primi patriarchi.
L’amore,il vino,il canto
Ti ridaranno giovinezza
Alla fonte di Khidr.
Desideroso di purezza e di giustizia,
Ti inabisserai fino alla scaturigine
Ultima delle generazioni,
Dove esse da Dio ricevettero
La divina sapienza in un idioma
Terreno e la loro mente
Non scoppiò per lo sforzo.
Eppure Goethe,dimentico di quei versi, reagiva contro la 'bizzarria,la confusione,l’oscurità dell’India', come fece Friedrich Schlegel dopo che aveva cercato salvezza nella 'culla dell’umanità' ". **
da: E.Zolla-”Verità segrete esposte in evidenza. Sincretismo e fantasia.Contemplazione ed esotericità” (Venezia, Marsilio Editore,1996:pp. 20-21).
*Hegel fra tutti toccò l’apice del rigetto, in una pagina perorante contro il mondo indiano fatto di menzogna e inganno,minaccia all’operosità civile dell’uomo, in nulla migliore dell ‘Africa feticista.”
** Gozzano pubblicando nel 1911 un resoconto di un viaggio in India lo intitolò difatti ”La cuna del mondo”
Dunque Goethe, sgomento per l’imperialismo napoleonico, libertario e tollerante com’era,da vero poeta, è uno dei primi a evidenziare il pericolo della “palude occidentale”, nella quale più di 50 anni dopo si troverà impigliato fino al collo un altro poeta,Rimbaud,che andrà proprio verso quell’Oriente alla ricerca dell’ultima ‘scaturigine’ preconizzata ed invocata nel poemetto goethiano. Chissà che Rimbaud non l’abbia letto, elaborando poi, da buon “sincretista” quale era indubbiamente, per conto suo nella “Saison” e poi realizzandolo da uomo concreto attento ai “significati” (sostanza) piuttosto che correre dietro i “significanti” di una improbabile e infruttuosa (ai suoi occhi) carriera letteraria, bruciatasi prima di intraprenderla. Insomma il “tramonto dell’Occidente” è profetizzato non solo,secondo il sesto senso che i poeti sempre posseggono in sommo grado ( come gli Sciamani, beninteso ), ma è già in stato di avanzamento irreversibile dopo i due Napoleoni ( in particolare dopo Sedan ). Non c’era più scampo. Il materialismo del capitalismo e del pensiero borghese aveva raggiunto l’anima,corrompendola nei suoi migliori;difatti con Baudelaire e Nerval siamo già all’alienazione, l’artista non è più autore , l’irruzione dell’altro è cosa fatta,l’erosione del centro diventa ineluttabile, soprattutto perché prepara la imminente ”morte di Dio” nietzschiana.
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Linguaggio universale e ,ancora,sinestesia.
“Trouver une langue;_Du reste,toute parole,étant idée,le temps d’un langage universel viendra!....Cette langue sera de l’âme pour l’âme,résumant tout,parfums,sons,couleurs,de la pensée accrochant la pensée et tirant. Le poëte définirait la quantité d’inconnu s’éveillant en son temps dans l’âme universelle:il donnerait plus_que la formule de sa pensée,que l’annotation de sa marche au Progrès! Enormité devenant norme,absorbée par tous,il serait vraiment un moltiplicateur de progrès!Cet avenir sera matérialiste,vous le voyez, _Toujours pleins du Nombre et de l’Harmonie , ces poèmes seront faits pour rester.” J.A.Rimbaud,”Lettre à P.Demeny”(Charleville,15 mai,1871).
La previsione di Rimbaud 125 anni fa si è infine realizzata col Multimediale!
Un mezzo che,gestito dal computer,ci potrebbe permettere di usufruire appunto di suoni,colori e profumi (volendo sottilizzare,no!Ma se intendiamo usare le Immagini Fotografiche di un ambiente,che sarà così ”autentico”da riprodurre “de visu” il suo “profumo caratteristico” di “ambience”).Insomma si attua la sinestesìa dei cinque sensi se vogliamo. Più moltiplicatore di così…
E’ evidente che il “Numero”e l’ “Armonia”sono dati dal Computer ed i suoi Algoritmi “in tempo reale”. E non manca la”Lingua Universale”, Internet,che permetterà a tutti di esprimersi e quindi sì la “poesia sarà fatta da tutti”,in quanto la platea è mondiale e “pubblicare” è divenuto non sogno virtuale, nella”rete delle reti” ma più reale del reale.
All’inizio sarà ancora babele universale,per la diversità delle lingue,ma in seguito ci saranno sforzi per arrivare alla”lingua universale” * (speriamo non un altro “esperanto”) in cui tutti potranno esprimersi e capirsi (già ci sono HTML e WEB,come antesignani o il JAVA,ad esempio!).
A proposito di sinestesia ho letto un “Incontro” con uno dei “padri della poesia visiva”,Eugenio Miccini,dei redattori della rivista “La Taverna di Auerbach”,proprio nel N.1 dell’autunno di 11 anni fa(1987),in cui il Miccini dichiara di”...Aver abbandonato la poesia ‘lineare’ perchè sentivo che la parola letteraria risuonava di echi sinistri,di ridondanze pletoriche,insomma di insufficienze comunicative e,per così dire, sinestetiche”.
* Cfr. a questo proposito e per ‘babele’:Eco,U.”La ricerca della lingua perfetta”,Bari,Laterza,1993 ( ma stampato in contemporanea da 5 editori in 5 lingue:Beck,Monaco;BlackwellmOxford;Critica, Barcelona;Du Seuil,Paris e Laterza ,Bari beninteso). E ancora cfr.Zumthor, P.”Babele. Dell’incompiutezza”.Bologna,Il Mulino,1998 (Ediz.orig.Paris,Du Seuil,1997).
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Rimbaud e l’abbandono del ‘mestiere’ di poeta (della poesia). Ovvero la grande rinuncia.
La decisione di rinunciare, di abdicare alla poesia,di non sentirsi più poeta,invertendo e cassando risolutamente quell’identificazione di riconoscersi poeta confessata nella famosa ‘Lettera a G.Izambard del 13 maggio 1871’(il ragazzo esce dalla pubertà e si risveglia adulto 4 mesi prima di scrivere a Verlaine nel settembre dello stesso anno),è unica nella storia della letteratura, non ci consta un antece-dente così perentorio e irreversibile, tanto da cambiare il certificato della propria personale esistenza*. L’annuncio viene dato,tautologicamente,nella prima pubblicazione,(“Une saison à l’enfer”) sconfessan-dola nello stesso tempo della sua volontà di omologazione presa in concreto per averla voluta pubblicare interamente a sue spese !E sospettiamo che “Les Illuminations”erano in avanzato corso d’opera,e il poeta di Charleville era ben consapevole della sua eversività e novità assoluta di forme e linguaggio,no?Eppure,”Enormità divenuta norma,assorbita da tutti…”(“Lettera del Veggente”), l’abnorme impatto con il milieu e la pratica simbolista del mondo poetico suo contempo-raneo,non poteva che approdare ,nella violenza inedita del suo configurarsi tutto eversivo,a quella impasse claustrale. D’altronde il limite d’arresto è tanto più immediato e netto quanto più dirompente si fa la forza d’urto. Questa è la fisica, almeno quella dello spazio e tempo ristretti (euclideo beninteso) Evidenza non abbastanza compresa da molti esegeti di Rimbaud è che per lui l’arte era un mezzo e non un fine, non voleva diventare un pontefice o un potente nel milieu artistico, ma voleva solo servirsi dell’arte e del linguaggio per modificare la vita(contemporaneo di quel Marx che, altro utopico assolutista, cercava i mezzi per modificare il mondo!).
D’altronde innumerevoli sono state le interpretazioni date di Rimbaud , vita e poesia, ma quella che siamo quasi obbligati a estrarre dall’epilogo della sua esperienza di vita e arte assieme, è quell’ab-bandono della carriera poetica, ossia in pratica la rinuncia alla poesia e ad essere poeta e la scelta di entrare a piedi uniti nella realtà quotidiana ,bruta e violenta, emigrando in Africa, lontano dall’Europa (in primis dalla Francia ),che aveva percorso quasi tutta a piedi, per un disgusto accumulato, saturo fino alle intime ragioni di essere umano,che pena la sopravvivenza elementare lo decide per l’esilio volonta-rio e definitivo.Forse il punto di crisi e non-ritorno è ‘il colpo di rivoltella di Verlaine’ _un fatto senti-mentale,della sua vita intima, del sè segreto_ma che cambia nella sostanza ? Un dettaglio insignificante. Ed ancora, infine, Charles Nicholl:“Somebody Else. Arthur Rimbaud in Africa 1880-91” (Jonathan Cape Ed.,s.d.):“L’interrogativo rimaneva sempre lo stesso: perché ? Perché a vent’anni si volta le spalle a tutto e ci si inventa da capo? Nel bagaglio di Rimbaud rimane ben conservata la lettera con cui un giornalista francese gli annunciava, nel 1890, che in patria si parlava di lui come di un genio della poesia... Lettera senza risposta, e però non cestinata... Perché, dunque, quella scelta?” ** Potrebbe essere ‘la gratuità’ dell’essere umano, la scoperta a quel punto della sua vita ( Il colpo di rivoltella di Verlaine o lo scacco poetico ? ), la chiave che indica una direzione in cui andare per interpretare quella decisione di finirla con la poesia e mettere da parte definitivamente la sua ‘gloria d’artista’ ( un mito alimentato dal romanticismo, antecedente a Rimbaud, se notiamo_ difatti l’artista dopo quell’esempio non è il depositario di un sapere supremo o di ver-ità inaccessibili agli altri, ma un uomo fra gli uomini, anzi,Lautréamont,quasi contemporaneamente,aveva scritto:’La poesia deve essere fatta da tutti’,no ?). Egli( Rimbaud ) non aveva più la fede degli ‘anni da poeta’.Quella ‘fede’ era svanita,ossia frantumata dalle dure realtà indicate nella “Saison”, che rappre-sentano il punto di rottura con la poesia e lo stato poetico( anche quello, massimo_o soprattutto?_delle “Illuminations”, il vertice della emanazione/es- pressione poetica rimbaudiana) da lui sperimentato. Quel“je est un autre”_anche poetica-mente indicato_aveva lasciato il posto all’uomo rude e ansioso dell’Africa, all’‘avventuriero’, all’osses-sione di ‘accumulare una rendita’ per vivere il resto della vita a modo suo in una Europa ‘aborrita’ _alla quale poi in effetti non ritornerà mai se non per morire ‘in patria’, come da tradizione. Quando quindi riceve la notizia della ‘consacrazione’ , per lui non aveva più alcun senso, la ‘bella gloria d’artista’ non aveva più alcun significato letteralmente ( non era nemmeno ‘una beffa’ ), anzi sappiamo che lui aveva ironizzato quando gli chiesero se avesse nel passato frequentato i letterati ( parigini o non ), come dire che era stato tanto sciocco una volta di aver creduto a delle favole stupide da vero fesso e/o allocco. La ‘letteratura come menzogna’ aveva avuto il sopravvento in lui e forse la sua esperienza poetica doveva essere stata di tipo ‘soprannaturale’ ( o surreale, come la interpretarono coloro che crearono appunto il movimento surrealistico ? ) e quindi in definitiva molto più vicino al mistico che al materiale.
Oppure ,probabilmente,e in anticipo si era accorto della ‘mistificazione’ del ‘verbo’ ,ossia della ‘parola’, che poi esploderà nel ‘900 , quella ‘parola’ che ogni giorno, al servizio di tutti gli uomini, serve a far poesia,ma anche ad ingannare,‘verbo’ che ha perso la sua aura ed è divenuto strumento di misti-ficazione , al servizio del commercio e del profitto, comunicazione strumentalizzata ( politica, predica, pubblicità, difesa ed offesa di sè e degli altri,persuasione occulta e lusinga per scopi confessati o inconfessati ecc.ecc.),che l’ ‘enfant de révolte’ credeva pura ,ma che poi ha scoperto ‘falsa’ come la bellezza ‘amara’ perseguita e anzi alla chiusa della ‘Saison’ emerge la convinzione di ‘essere ingannato ?’ e ‘chiede scusa di essersi nutrito di menzogna’ (in ‘Adieu’)!
* Maurice Blanchot ha ampiamente approfondita la questione dell’abbandono della poesia e ‘la fuga in Africa’ ( o l’emigrazione_come diremmo oggi ? ) di Rimbaud . Difatti leggiamo :“Sarebbe stato naturale che l’esempio di Rimbaud avvilisse la poesia e le infliggesse una sorta di morte, contraccolpo di quella a cui l’aveva condannata in se stesso. Invece è accaduto il contrario. La poesia esiste soltanto in virtù di ciò che la minaccia. Ha bisogno di poter soccombere per sopravvivere. Non rinasce che distrutta. Fino al poeta delle Illuminazioni, non era arrivata a chiamarsi in causa se non nelle autentiche catastrofi, rovine fittizie che tutto sommato le restavano estranee. Che un poeta morisse, che diventasse pazzo, suicidio e follia erano soltanto un privilegio episodico che egli doveva condividere con la povertà e l’alcolismo. Ma con Rimbaud essa riesce a scomparire in un disastro realmente poetico, vale a dire immaginario. Si chiama in causa in sé e da sé. Fa subire all’universo la più violenta trasformazione, e tuttavia niente cambia, l’uomo che la porta resta intatto, conserva tutti i suoi poteri, è sempre capace di un miracolo, non è più che se stesso. Ma è a questo punto che la poesia pretende di rinascere sotto la spinta dell’ingiuria prodigiosa di cui è oggetto. Nel poeta che è andato a morte senza cessar di essere ciò che è, essa rivive come oggetto di disprezzo che sopravvive al disprezzo, si radica nella sua assenza, si lascia sedurre da quel nulla che diviene nella purezza di un’ultima metamorfosi. Ciò che ha dimostrato l’esempio così raro e così temibile di Rimbaud è che la contestazione che è nel cuore della poesia non possa mai trovar fine, che debba arrivare fino al punto d’abolire ciò che essa prova, ma quest’esempio altresì confortante ha dimostrato anche che c’è un al di qua e un al di là della poesia che è la poesia stessa e che, senza questa sua capacità di distruggersi e di trovarsi distruggendosi, essa non sarebbe quasi niente. Il destino di Rimbaud ha un altissimo potere evocativo perché l’aspetto più banale della sua vita non è meno misterioso del lato poetico. In un certo modo, come scrive Amoult, egli diviene un perfetto filisteo. Ha rinnegato tutte le rivolte della sua adolescenza, accetta l’ideale borghese. Lui che scriveva : « Tutti i mestieri mi fanno orrore », non è più che un uomo laborioso che guadagna molto denaro; lui che esprimeva il suo sogno: «Soprattutto fumare, bere liquori forti come metallo bollente... », è sobrio, avaro, ipocrita (« Bevo solo acqua, per quindici franchi al mese, tutto è carissimo. Non fumo mai. ») Il suo rimpianto è di non avere una posizione, la sua ambizione di sposarsi in Europa, avere un figlio, farne un ingegnere. In questo senso, scegliendo il silenzio banale, è proprio la vita inautentica che ha scelto, quella dell’azione (« che non è la vita, diceva nella minuta di Una stagione all’inferno, ma un modo istintivo di dissipare pulsioni di vita »). E tuttavia è evidente che lo seguono lo scandalo intimo, l’infelicità pertinace e un certo non so che d’orribile che gli vela per sempre lo splendore del giorno. Non è soltanto resistenza vagabonda che comincia con il suo rinnegamento e che lo sospinge verso tutti i paesaggi di cui ha trovato in sé l’equivalente sonoro, non è quello smarrirsi attraverso il mondo che come un nuovo Oreste inseguito dalle Erinni e senza la speranza dell’asilo di Minerva, lo condanna a una vita impossibile, ma vi è in lui un’angoscia inesprimibile che lo brucia per niente e di cui subisce l’oppressione in una collera inutile. Niente di più pesante delle sue confessioni : «Bisogna essere vittime della fatalità per cacciarsi in inferni simili! »... «Ahimè! Non tengo affatto alla vita; sono abituato a vivere di fatiche. Ma se devo continuare a stancarmi come oggi e a nutrirmi di pene violente quanto assurde sotto climi atroci, temo che abbrevierò la mia esistenza... Voglia il cielo che possiamo godere di qualche anno di riposo in questa vita,e per fortuna questa vita è la sola, ed è evidente,giacché non si può immaginare un’altra vita con una noia più grande di questa.» E queste parole annunciano le grandi grida finali di bestia ferita, quei gemiti atroci che accusano definitivamente la vita. « Sono un uomo morto... I ricordi mi rendono pazzo : non dormo un minuto. La nostra vita è una miseria senza nome. Ma perché esistiamo? »La vita di Rimbaud dopo la poesia è tanto più misteriosa in quanto non si può sapere se la decisione di tacere è destinata a portarlo oltre la poesia, se è un’esigenza ultima oppure un abbandono puro e semplice. La pagina finale di Una stagione all’inferno descrive il suo rinnegamento come una vittoria, come un nuovo passo avanti : invece della verità poetica, colta e vissuta nell’immaginario,« gli sarà lecito possedere la verità in un’anima e in un corpo ». Ma poi che accade? Non abbiamo nessun motivo di pensare che la vita di Rimbaud — né la sua morte — lo rendano padrone di una verità superiore alla verità poetica. Bisogna al contrario che si perda nella banalità dell’azione e i tormenti che subisce invano. Che cosa gli frutta il suo sforzo di superamento? Assolutamente niente, ed è qui che risiedono il segreto e il paradosso dell’ambiguità. Al di là della vita autentica che rappresenta la poesia, non c’è da cogliere una vita più autentica, ma di nuovo la puerilità, la frivolità di tutti i giorni, l’insabbiarsi subito ed accettato. La sola differenza è che con questo ritorno deliberato alla vita banale, la vita banale è vissuta per quello che è; è il nulla degradante che si riconosce e che tuttavia si preferisce a non si sa quale menzogna ideale;l’accettazione dell’inautenticità le conferisce un’autenticità superiore,crea il solo valore possibile; l’accettazione della parola quotidiana lo mette al di sopra del silenzio poetico. Tuttavia, cancellare la coscienza che accetta ciò che essa non giudica più, è la legge della puerilità. A poco a poco l’assenza poetica diventa assenza di poesia, e questa assenza stessa perde ogni significato, non è più un tormento angoscioso, ignoto,’senza nome‘. Dopo Rimbaud, c’è ancora Rimbaud, ma un Rimbaud che deve « morire di fatica », che non può più parlare se non per dire: « Che noia! Che fatica! Che tristezza!” BLANCHOT M.(da ‘Passi fslsi’)
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‘A une raison’ ( Illuminations di A.Rimbaud).
Oh la Ragione!Questa leva ineludibile di noi stessi...Chi mai riflette su di essa si accorgerebbe che non se ne può fare a meno;e che i pochi attimi in cui distogliamo l’attenzione da essa, affidandoci agli istinti ovvero a nostra “mère nature”_altro punto nevralgico di noi_,entriamo nel mare magnum dell’ irrazio-nale più spaventoso e incredibile,al punto che ,dopo _sempre dopo ce ne avvediamo!_,non ci ricono-sciamo, appunto, perchè siamo entrati nel regno della follia o quasi,avendo commesso le atrocità di cui tratta Goya nella famosa incisione “I sogni della ragione generano mostri!” ( o ciò che ha inve-stigato tutta la vita Michel Foucault ,a cominciare dalla “Histoire de la folie” fino alla “Clinique” e passando per “Raymond Roussel” ,istituendo il fecondo raffronto fra discorso della creazione e discorso della sragione).
Pertanto,siamo condannati ad esercitare,sempre e in qualsiasi frangente,la nostra ragione,o, almeno a metterci in condizione di ben gestirla,a dire il vero,in quanto la ragione si acquisisce col suo esercizio continuo, e non è data,ovvero non è un dono(sebbene ci sia,in effetti,una predisposizione), ma si acquisisce per volontà determinata ed ostinata.
E la ragione occorre! Come ci serve ,sì, anzi,è indispensabile, data la debolezza del nostro cervello.
E’ lo scacco continuo in cui il nostro cervello si ritrova,ad ogni nuova occasione,fa risaltare ancora di più il bisogno impellente della ragione tout court. Altro che “superuomo” nietzschiano! (D’altronde Nietzsche,non è finito folle,indifeso come un bambino,per non aver potuto amministrare “la sua ragione”bene?Non è lui,paridigmaticamente _parlo della sua vita,non della sua opera,che è una questione di ermeneutica o d’interpretazione relative_ ,un esempio di estrema debolezza del cervello,come dicevo ? Ricordare ‘la faiblesse’ ,di cui Rimbaud si è sempre accusato ). Ed a ogni modo,al limite,la separazione fra ragione e follìa è uno statuto pratico stabilito in ogni epoca, proporzionalmente alla civiltà ed alle conoscenze,una linea di demarcazione piuttosto “sociale”,di convenzioni, anzichè facoltà misurabili con precisione,che poi appartengono in proprio al dominio della medicina(e in particolare alla disciplina della psichiatrìa e,poi,alla psicanalisi)che ne stila in quel dato momento storico le coordinate entro le quali supporta le tolleranze dei confini(cfr.ancora e sempre Foucault,che ha dato lezioni in tutta la sua opera su questo).
Tutte le ore della nostra esistenza quotidiana le passiamo misurando con la ragione le situazioni nelle quali ci imbattiamo,a livello sociale interpersonale e a livello intimo personale(psichico),per dare ordine e risposte e prendere decisioni importanti o contingenti,per secondare propri fini o meno. Quante volte siamo sul punto di cedere all’irrazionale ? Oppure ci dondoliamo sull’abisso dello sprofonda-mento più lontano dal razionale, con rischi di cadere nel buio senza possibilità di rialzarci più, perdendo ”il ben dell’intelletto”_come dice il “divino” poeta.
Uno scarto e saremmo assassini,tiranni assetati di sangue,mostri da prima pagina, implacabili carnefici, insensati persecutori,assatanate belve,che della “cosìddetta ragione se la ridono”,per i quali l’irrazio-nale,lo sregolamento, il non rispetto delle “regles du jeu”,sono il comportamento sul quale “(s)rego-lano” le loro azioni e il loro cervello (debole,beninteso,sempre!Malgrado l’apparenza, falsa,di una forza primordiale...).
D’altronde la ragione,il razionale _che spesso possono coincidere anche con l’intelligenza,la capacità di pensare,la creatività,l’ingegno,ecc._ è un esercizio che l’uomo ha privilegiato in ogni sua attività dalla preistoria alla storia,con continuità:lo testimonia appunto il grado di civiltà spirituale (e anche materiale) al quale è giunto dai tempi primitivi dell’Uomo-Scimmia(suvvia diamo credito a Darwin,per un istante!) fino alla complessa Società di Capitalismo Avanzato nella quale ci troviamo,solo considerando il percorso, e senza dare un giudizio di valore e qualità. E’ d’altronde quel che i filosofi dell’Illuminismo indicavano con “progresso”, che, positivo o negativo, che lo si voglia considerare,è indubbiamente sotto molti aspetti un passo avanti,notevole,no ?
E tuttavia la ragione ha dei limiti. Basta riferirsi al personaggio di Ulisse che nel mondo antico (in Grecia in special modo) divenne famoso per l’astuzia e l’intelligenza, ovvero per delle capacità che gli consentirono di sopravvivere a tutti i pericoli e le avversità che la vita gli erse dinanzi; difatti l’eroe d’Itaca si spaccia nell’ ‘Odissea’ per un cretese ; nel Libro XIII lo dichiara nuovamente ad Atena,che gli si presenta sotto le spoglie di pastorello; lo ripete al servo Eumeo,travestito adesso lui medesimo da mendicante; ed infine anche a Penelope nel XIX Libro addirittura fa capire di essere nipote di Minosse. Insomma Ulisse non disdegna l’astuzia,nè l’imbarazza la fama di mentitore_come ogni Cretese d’altronde,secondo una vecchia identificazione acquisita storicamente_ ossia di assumere su di sè la patente di bugiardo. Ma sappiamo che egli non era un cretese , e comunque un cretese che afferma: “Io mento”, è una dichiarazione di non-falso , ossia che dice la verità , pur ammettendo che l’oggetto del sintagma verbale è nella sostanza un atto di menzogna. In effetti ci troviamo davanti ad un paradosso,in cui si percepiscono i limiti della ragione,e del suo veicolo,ossia del linguaggio,che si rivela ambiguo,contraddittorio e quindi pradossale, in cui traspare sovrano l’indicibile che c’è nel reale.
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Lo spirito è ”autorità” _come disse Rimbaud ? Eppure limitato dalla ‘faiblesse de la cervelle’ !.
Avere pretese di autorità è solo apparenza. Esso vorrebbe sì possedere autorità, come il Papa, il Dalai Lama, lo Scienziato Inventore, il Poeta Immaginifico, e così via...incarnazioni temporali di autorità, pretese autorità,molto relative,confutabili. Perchè,come è buffa l’autorità che si fa mettere in gioco,che razza di autorità è mai? No,amico Rimbaud,lo spirito non è autorità,semmai è il suo contrario esatto,ovvero non dura molto,starei per dire che è quasi inesistente. Sembra il solito discorso “cristiano” di annullamento terreno,di rinuncia,e tuttavia non lo è. Non è l’ecclesiaste del pensiero. Semplicemente è quel che è. (E comunque Rimbaud rimette in discussione quell’auctoritas dello spirito quando nella poetica non assegna all’auctor_ eponimo dell’auctoritas,no?_ meriti nella creazione poetica, coll’efficace esempio del legno che non avrebbe colpe a risvegliarsi violino).E d’altronde la “faiblesse de de la cervelle”,ossia la morale,fa il resto.
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Rimbaud ed “Io è un altro”
Perchè ‘io è un altro’ ? * Pare che Rimbaud, in un periodo di tensione dell’esperienza interiore ,si riferisca all’educazione ‘ricevuta’, per cui la sua mente ( nella sua libertà primitiva ) è stata impressa da idee ( una ideologia sociale dunque ) della cui autenticità dubita in un momento di scelte dell’autocoscienza della maturità(molto in anticipo rispetto all’età che ha ). Interviene concomitante l’esplosione di rivolta contro l’ordine prestabilito dalla società e per esso dalla madre. Egli non accetta le regole vigenti non solo imposte dalla madre ma dalla società del suo tempo. In fondo egli è un conterraneo del marchese De Sade, che è il caso più eclatante di scrittore la cui biografia individuale _ossia i suoi desideri e le sue pulsioni segrete siano emerse e confessate in pubblico_ sovrasta o è la spiegazione dell’opera. Anche per Sade l’io è un altro rispetto al desiderio sessuale che il marchese non riesce a reprimere in nessun modo _anzi, ne è sovrastato. Di fatto in lui s’insinua con energia un’educazione ‘libertina’ caratteristica della cultura settecentesca ? O si tratta delle potenze oscure e delle forze dirompenti del desiderio in lui ‘innate’ ? In questo senso per Sade e per Rimbaud “Io è un altro” ? Ovvero chi ha la lucidità dell’intelligenza razionale e s’interroga nel profondo ( fa lo stesso che tale fenomeno capiti a 15-16 anni per Rimbaud e a Sade a 25-30 anni circa ) su i fondamenti del mondo e della vita, esercitando il libero arbitrio, e si trova in disaccordo con le regole imposte , esce dal ‘falso’ se stesso ricevuto dall’educazione imposta ed entra nella sfera della libertà come individuo dotato di desideri, ragione e sensibilità distinte ,’differenti’ da tutti gli altri, estranei e familiari compresi. Questo sì è un diritto alla vita ( è la ‘volontà di potenza’ di Nietzsche ? ).
Secondo Foucault è la ragione illuministica(che poi è in parte l’attuazione dello sperimentalismo galileano _ o baconiano che dir si voglia_ nelle scienze della ricerca del vero ) ad aver posto sul tavolo della dissezione analitica del pensiero i problemi del potere, dell’egemonia, della violenza e perfino quelli della repressione, non solo storicamente ma soprattutto individualmente anche. In concomitanza con la ragione(che potrebbe anche essere il ‘cogito’ cartesiano ),che eredita poi le lotte e le immolazioni all’idea di tolleranza di, Savonarola, Erasmo, Lutero, Calvino, Giordano Bruno, Campanella, Locke,e dello stesso Galilei. La “morte di Dio” ha poi radicalizzato ed estremizzato in special modo quelli di verità e repressione( legata al desiderio e alle pulsioni innate, per la ricerca della felicità in questo mondo)spogliandoli del velo di metafisica-idealismo depositati da 2000 anni di logocentrismo monol-itico e in parte dogmatico. In effetti la tolleranza,nata durante l’illuminismo(con Voltaire,Rousseau, Diderot,ecc.),non va intesa come disaccordo in base a ragioni epistemiche, morali o di valori differenti, ma come astensione da una repressione reattiva a ‘opinioni e comportamenti devianti’.
* Tutto questo riporta al pensiero di Bion** , per cui non è l’uomo a pensare i pensieri, ma sono i pensieri che cercano un pensatore per trovare la loro espressione, e, quando lo trovano, generano squilibri, ed intensi vissuti persecutori. Il poeta si sente invaso dalla poesia, anche in mancanza di un contenitore adeguato, donde il vissuto persecutorio, di un Io che si trova a dover ricevere una forza che può anche mandarlo in pezzi. La prima formulazione del pensiero “Io è un altro”, che poi nella cultura mitteleuropea avrà fortuna, è di Rimbaud. Questo pensiero _ direbbe Bion_ prima di essere formulato dal poeta era nella sfera dei pensieri-non-ancora-pensati , in attesa di ‘un pensatore’, del “genio”, contrapposto alle istituzioni. E Rimbaud fu davvero violentemente in contrapposizione con le istituzioni, ribellandosi alla famiglia, legandosi al pensiero socialista, interessandosi di occultismo, scandalizzando la bigotta Charleville.
**“W.R.Bion ( Muttra: 1897-Oxford: 1979 ) è stato uno psicanalista britannico. Studioso tra i più noti e discussi, resta ancora una figura di spicco della ricerca psicoanalitica, artefice di importanti elaborazioni della teoria psico-dinamica della personalità tale da istituire un filone ‘bioniano’ della moderna psicanalisi che grazie anche ai suoi contributi, decorrendo dal fondamento freudiano, estese i contenuti teorici e metodologici all’erea della psicosi e particolarmente della schizofrenia. La parte cospicua è la nozione de ‘Il pensiero senza pensatore’ dove Bion, rivolge la sua attenzione ai processi mentali primitivi scendendo in profondità per indagare l’origine stessa del pensiero nell’apparato neurologico e l’esperienza che da forma all’attività del “pensare”. I pensieri _sostiene _non sono tutti “prodotti” dal pensare: ci sono pensieri riguardanti la ‘verità’ la “cosa in sè”, l’assoluto _ ciò che indica con “O”_ e sono indipendenti dal pensatore. Pensare non è importante per la verità in sè, che ha consistenza propria, ma per il benessere del pensatore; i pensieri pensati contribuiscono allo sviluppo e all’adattività, mentre quelli non-pensati possono essere causa di disturbo, disadattamento e alienazione. Da ciò deriva la necessità per ogni soggetto _ individuale, gruppale, sociale _ di sviluppare un libero “apparato per pensare i pensieri”. Pensare è invece assolutamente necessario alla ‘menzogna’ che proprio dal pensiero è articolata, continuamente assistita, confermata e mantenuta nella memoria. Suggestiva ipotesi di un pensiero del quale non è necessario avere piena coscienza e comprensione perché sia efficace, contrapposto al contrario, il pensiero intenzionalmente formulato e accuratamente controllato, che supporta il falso, il mentire e, per tali sviluppi, continua ad avere bisogno di essere pensato. L’intuito e l’istinto da una parte e dall’altra la ragione intellettuale del liguaggio-pensiero spesso più funzionale alla forma che alla sostanza, alla falsificazione che alla verità, sebbene non in senso morale, chè nella coniugazione del pensiero pensato e non-pensato si dispiegano le dimensioni del sogno e del mito ,non in quanto oggetti di cultura, ma percorsi dell’interpretazione, strumenti della ricerca e del metodo in psicanalisi”. Cfr.A.Bion ( Wikipedia : Sito su Internet ).
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Verlaine-Rimbaud; Gast-Nietzsche; Brod-Kafka; ecc.ecc. Ecco alcune simbiosi letterarie_moderne_, ovvero le affinità elettive di Goethe realizzate ?
(Dimenticavo, ma forse volontariamente _perchè diversamente affini_ la ‘couple’ Joyce-Beckett!).
E il medesimo Goethe non ebbe come controfigura dì affinità-complementarietà Eckermann ?( Mi sovviene all’ultimo istante anche di Borges e delle sue accompagnatrici e/o anche:accompagnatori,a cecità intervenuta ).
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Su Proust e Rimbaud.
“A la recherche du temps perdu” di Proust è più solo ‘ recherche’ che altro,mi domando spesso ?
E’ una ‘poursuite’,in effetti. Mi ricorda quella fantomatica opera ( libro ) che Rimbaud aveva scritto e che Germain Nouveau smarrì ( così si è detto ) negli spostamenti continui dopo ‘l’affaire di Bru-xelles’: “La chasse spirituelle”( alla quale accenna Verlaine anche; per tacere della colossale frode architettata da Pascal Pia che la pubblica nel 1949,Edition du Mercure de France, e denunciata puntualmente da André Breton in “Flagrant délit” e ritirato il 6 luglio del 1949.Tuttavia il 5 ottobre 1949 ,con altro colpo di scena, compare una plaquette nella quale si confessano autori della messinscena Akakia-Viala e Nicolas Bataille,i veri autori del celebre ‘pastiche’ pseudo-rimbaldiano ).
D’altronde la tradizione della ‘recherche’ e della‘chasse spirituelle’ riposano su una lunga tradizione dell’anima francese che risale a Michel de Montaigne,sin dalla fine del’500,che aveva proposto la ‘chasse comme métaphore de l’enquête spirituelle” (in verità piuttosto in relazione con l’emozione e non con la razionalità empirica) ,forse sotto l’influsso di Francesco Bacone che l’aveva evocata per spiegare le fasi delle scoperte scientifiche,come Claude Barnard suggerisce nel suo “Médecine expérimentale” a metà ‘800.
Molta letteratura francese d’altronde è basata sulla memoria poetica ,sul ricordare _che poi è una idea fissa , una condizione di diversi romantici (per esempio basta riferirsi alle ricordanze di Leopardi!).
“La saison en enfer” è in fondo una relazione d’una esperienza passata e consumata. Una ‘mémoire’ dunque, se vogliamo. Ed il libro più famoso degl’inizi ‘800,di Chateaubriand, non s’intitola “Mémoires d’outretombe”? Un volume significativo di Henri Beyle ,alias Stendhal, porta come titolo “Souvenirs d’égotisme”,e similmente si potrebbero citare tutti i vari ‘Journal” o “ Carnet” di Baudelaire( ah! dimenticavo il sottotitolo assai significativo di “Mon coeur mis à nu”, che è una quintessenza _ lulliana ?_ della mémoire , il nocciolo del subconscio freudiano a venire ). E poi ci sono ancora Amiel, Joubert ,Delacroix,ecc.ecc.( ma il loro capostipite era un certo ‘philosophe’ ,quel Rousseau autore nello stesso tempo delle “Confessions” e “ Le Contrat Social”, un’anima doppia , che appunto nulla dimentica e può dimenticare, per definizione,no ? ).
In effetti la mémoire , per ogni scrittore romantico,ha sempre rappresentato lo stimolo e la condizione base da cui cavare il libro stupefacente ed esemplare (l’autobiografia domina! Ma anche ai giorni nostri ,ancora molti libri pullulano di troppi io io io _ solo l’Oriente con la sua sapienza antica sfugge a questo clichè,che è forse la dannazione di quest’Occidente materialista,e la sua causa intima di perdizione,di tramonto procrastinato ma ineluttabile,ai giorni nostri piuttosto sicuro).E comunque , infine,la memoria di sé e degli altri (con cui interagisce),di luoghi e sensazioni,di sentimenti e pensieri,di tempi e di spazi,ecc. ecc. dà sempre come risultato una sovrapposizione stratificata d’una vita non morta,non passata,ma presente, immediata,vivificante e suggestiva.
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Quali possibili fonti per le ‘Voyelles ’ rimbaudiane : italiane o francesi ?
Forse la genesi del famoso sonetto ‘ Voyelles’ di Rimbaud,composto fra la cosiddetta ‘Lettre du voyant’ ( a P.Démeny) del 15 maggio 1871 ed un’altra del 12 luglio 1871 a Izambard (per cui si deduce di assegnarlo al 1871),potrebbe essere ricondotto _mi riferisco ad una possibile fonte,fra le tante letture ed ispirazioni che il poeta,allora vorace divoratore di libri,potrebbe aver subito ed usufruito_ alla lettura del racconto di Igino Ugo Tarchetti “La lettera U” pubblicato nei racconti fra il 1867 ed il 1869. Dati gli scambi culturali frequenti fra Francia e Italia non è del tutto improbabile che sia capitato in mano al poeta di Charleville il libro fresco di stampa del Tarchetti. Comunque si sa da fonte certa che avendo alloggiato all’Hotel des Etrangers verso la fine del 1871 in Boulevard St.Michel con Cabaner,segretario e barman del ‘Cercle Zutique’,ma musicista stravagante,che aveva l’abitudine per insegnare più praticamente la musica,di associare Note e Colori.
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“Apollinaire è il poeta più singolare del ns.tempo. E’ solitario. E’ un’isola. Si approda al suo territorio poetico come si approda ad un’isola. Rimbaud è un serpente che non riesce mai a spogliarsi interamente della pelle di Victor Hugo”.Da “Scambi” di Alberto Savinio , in “La rassegna d’Italia”,1946.
Forse Savinio non si ricorda ( e/o non ha mai letto ?) la famosa “Lettre à P.Démeny” del 15 maggio 1871,in cui critica anche Hugo, designandolo“ trop cabochard” (= testardo,testone,testa di chiodo). * Rimbaud succubo di Hugo? A me sembra che Hugo non avrebbe potuto immaginare e vivere, nem-meno se fosse vissuto altri 100 anni,la situazione della “Saison en enfer” e,addirittura,nemmeno se fos-se vissuto ulteriori 1000 anni,immaginarsi “Les Illuminations”. Che occasione ha perso Savinio a non aver voluto approfondire “la méthode” rimbaldiana per giungere alla scrittura di alcune Illuminations, mancando così una valida pezza d’appoggio per la sua ‘ teoria del dilettantismo’ ,assai interessante d’al-tronde.Con il ‘dérèglement de tous les sens’ non faceva il vuoto dalla memoria “d’ogni principio,d’ogni insegnamento e di Dio”, per arrivare,attraverso questa tabula rasa ,alla visione e alla libertà da vincoli anteriori ?
L’unico poeta, “roi des poëtes,un vrai dieu”, è qualificato Baudelaire,e quindi semmai è di quest’ultimo che non avrebbe paradossalmente smesso la pelle! Per cui è da Baudelaire che tuttavia parte Rimbaud, portando avanti le sue intuizioni sull’ “inconnu”.Cfr. la poesia baudeleriana del “Le Voyage” dove,c ompare appunto appunto questo inconnu nell’ultimo verso: “Plonger au fond du gouffre , Enfer ou Ciel, qu’importe ? Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau”. Quest’ultimo verso, se riandiamo alla legge dell’analogia, è il nucleo di ricerca rimbaldiana,no? Ma l’inconnu era già compar-so , e più volte,nelle pagine(e discussioni artistiche fra pittori e letterati) del famoso “conte fantastique” di Balzac elaborato inizialmente nel 1831 intitolato“Le chef-d’oeuvre inconnu”, rielaborato nel 1834 ed infine edito dopo approfondimenti e aggiustamenti vari nel 1837 e designato definitivamente come “conte philosophique” ; trattasi del famoso raccontino (novellette in inglese_ e non short story !,stando agli standard anglosassoni) il cui protagonista, Frenhofer, divenne famoso negli ambienti artistici di metà’800,e che ha finito coll’ossessionare Cézanne per tutto il periodo di creazione delle sue tele fatte,distrutte e poi rifatte, continuamente,fino a Picasso che,nel 1931 per Ambroise Vollard,ha illustrato una edizione di pregio di quel libro balzachiano.Quell’ “ignoto” (unknown) postulato spesso già da E.A. Poe, al quale Baudelaire spesso si è ispirato,come ad esempio si può dedurre dal ‘dènouement’ improvviso nel “Manoscritto trovato in una bottiglia”; ancora l’ “ignoto”** si spalanca in faccia al protagonista come conclusione del “Gordon Pym”( il piccolo romanzo o ‘racconto lungo’ ?), con la misteriosa apparizione della gigantesca figura di bianco accecante.In entrambi i racconti dove Poe si ferma e non sa descrivere più chiudendo la narrazione, ossia facendo scendere la tela del silenzio sulla “story”. Sebbene il poeta di Boston sembri quasi sempre l’alfiere della massima razionalizzazione nel procedimento artistico ,tuttavia è lui ad aprire il dubbio sulla sua efficacia in ogni frangente,e certamente il “Gordon Pym”,uno dei suoi capolavori a detta di molti critici e lettori,è un esempio in cui irrompe questo “unknown” improvviso,che poi,lo sappiamo,fu coltivato e manipolato sapientemente da Baudelaire e Rimbaud nei “I fiori del male” e “Una stagione all’inferno”(et “Illuminations”),con un registro in più usato da Rimbaud, quel “Je est un autre” che poi richiama il famoso passo del Bhagavad Gitâ (cfr.V,8):”Ce n’est pas moi que agis”.***
* (o anche:’Testa di cavolo’, nostro! E lo considera troppo sotto gl’influssi di Belmontet, Lamennais, di Jehovah, ossia troppo cattolico militante se non sbaglio _e che militanza! …Quel Lamennais…).
**La paura dell’ignoto ( che poi si evolve verso il terrore, nonché orrore ) è la caratteristica della concezione di H.P.Lovecraft , scrittore che da adepto di E.A.Poe nel periodo compreso fra la fine’800 e i primi 35 anni del’900 crea tutto un nuovo genere, di fantastico soprannaturale ( legato anche alla fantascienza ). Quest ‘inconnu’, come l’hanno chiamato dapprima Baudelaire e poi meglio definito da Rimbaud per le sue ricerche poetiche, avrebbe delle analogie con tutto quello dell’indicato scrittore di Providence ?
*** (cfr.D.Ashton:”La favola dell’arte”-Milano,Feltrinelli,1980).
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Assonanze equivoche ( in effetti poi, dissonanti ).
L’Amour qui meurt…
Tu dis m’aimer encore ? Et cependant ta lèvre
N’a plus,dans nos baisers,ses frissons d’autrefois,
Et,pour le tendre aveu,je ne sens plus ta voix
Trembler,comme jadis,dans l’ardeur de la fièvre. »
di Charles Rainbeaux
(Riscontrato in “La Settimana”,diretto da M.Serao, Anno II. 1903,p. 345 ).
L’autore, curiosamente, si presenta con un cognome che fa ricordare per assonanza Rimbaud; mentre poi il nome è poi , addirittura, di Baudelaire.
Ma che distanza dai due !
E ancor di più da colui alla cui assonanza in a tutta prima senza approfondire lo confondiamo pronun-ciandolo. Il suo sonetto (che di questo si tratta,avendo citato io la sola prima quartina) ,quel sonetto è così piatto e modesto e scontato ,così banale e ovvio da rasentare la nullità. Già comunque bastano le parole dell’attacco, che anche se universali ( si fa per dire ) non hanno nessun lampo di novità e di creazione. Non c’è scampo poi per il seguito, assolutamente insulso e prevedibile,se non già sentito e risentito ripetutamente. Quindi il cognome è una parodia di Rimbaud anche nella sostanza poetica ?!
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Libri impossibili da cercare ( e che avrebbero interessato Rimbaud ? ):
Elbert Hubbard. Essay on silence (fatto di pagine bianche).
Anonimo.The nothing book (fatto di pagine bianche anche questo).
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CD impossibili da trovare ( idem come sopra ).
John Cage- 4’33” ( Il famoso concerto per piano con silenzio per quattro minuti e mezzo che Cage ha creato come analogo musicale dello Zero Assoluto delle Temperature in corrispondenza del quale ogni moto termico cessa= -273°,in cui il calcolo è facilmente deducibile dalla formula : 60x4=240+33= 273 appunto).
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D’altronde anche W.Emerson, riferendosi alla percezione, affermava :” Sempre il veggente è vate”. Questo forse intorno agli anni 1840-50 circa, in America.
Strano. 20 anni dopo circa Rimbaud fondava la sua poetica proprio sulla nozione del veggente sia come ispirazione che come percezione della parola poetica.
Il voyant =che ha visto,iniziato. Il soggetto occidentalmente diviene lo strumento di un puro vedere (cf.mistici). Visione alla quale sono ammessi solo i vati ,i profeti ,gli iniziati.
“Ce n’est pas moi qui agis” (Bhagavad Gita:V,18).
Vedi anche Rig Veda : ”Inno al cielo e alla terra”, ovvero i poeti vedici e la tradizione dei poeti-profeti(R’shi).
Quanto poi alla particolare veggenza di Rimbaud esiste un’analogia con i metodi ( e la concentrazione ) degli Sciamani ? Insomma una sorta di contemplazione moltiplicata al massimo, una possessione intensa che gli permetteva di accedere ad una serie di archetipi, o anche ad un ignoto, temporaneamente ,trascrivendone le rivelazioni da indagare o da assorbire. Si parla di possessione soprattutto per gli sciamani,o anche per gli yoruba o gli haitiani ;più precisamente di una crisi di possessione , ovvero una esperienza psichica coinvolgente che trascina. E’ un poco come allorchè ci afferri l’ira o l’amore o la malinconia o qualsiasi trasporto , percepiamo di non saper più quel che ci capita e dunque quel che si fa,in cui la testa ci gira, perché non riusciamo a raccapezzarci. Che cosa precisamente ci ha preso ? Uno spirito di bene o di male ? Per intenderlo occorre penetrare a fondo quel vago termine ‘spirito’ e tutto diventerà meglio “rilevato, nitido, intellegibile. Se persona è l’unione di una intelligenza ed una volontà, come negare che in quei momenti ci dirigono una intelligenza ed una volontà distinte da noi ? Agiamo per istinto ? La parola non è che una contrazione di ‘istigazione’. Quanto agli Sciamani, essi apprendono a entrare ed uscire a volontà da se stessi, ad usare di se medesimi come meri strumenti , allenando la loro psiche come lo spadaccino il polso, e soprattutto pervengono a mantenere lo spirito o ‘intelletto perfettamente lucido durante la possessione. Sogna,viaggia,la loro anima,ma il loro cuore vigila. L’uomo comune preferisce vivere in un astuccio,estinguendo la forza dello spirito in sé,lasciandosi in balìa di un solo archetipo:‘sono fatto così’ ‘è il mio carattere’,dice. S’illude, chi non sa muoversi tra le latenze invisibili e sempre alla mercè dell’ignoto, d’un demone qualsiasi. Soltanto il contemplativo acquista una distanza fra sé e la sua psiche,che sa a quale spirito offrire,così identificandosi allo spirito divino.” * Quanto all’ispirazione, questo misterioso stato del poeta , molto vicino alla ‘trance’ su riportata, alla veggenza, e alla divinazione ( vaticinio=azione provocata da un vate ) , abbiamo molte definizioni e idee in merito ( ad esempio Jean Paulhan s’interroga :”Che cosa è l’ispirazione?” e la sua risposta è :“E’ aver una sola cosa da dire, che non ci si stanca mai di dire”. Insomma sarebbe la disposizione all’ossessione ? Ad uno stato al quale non ci si può sottrarre e sfuggire ? Sarebbe la famosa ‘étoile au front’ di Raymond Roussel ? Una sorta di vincolo da predestinato , ovvero “Des vers se forment dans mon âme....A les faire je suis contraint”,come si trova scritto in “Nouvelles impressions d’Afrique”, confessione rivelatrice di questa ispirazione insopprimibile che tutto l’essere ricopre in certi momenti cruciali . L’autore non fa ma è fatto. In effetti l’elocutio precede l’inventio ?
*Per questa parte specifica cfr.Zolla,E. “Verità segrete esposte in evidenza. Sincretismo e fantasia. Contemplazione ed esotericità” (Venezia, Marsilio,2003_ 2a Ediz.):pp.120-121.
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L ’incomunicabilità dell ’autore col lettore
Molti critici e addetti ai lavori su Rimbaud non hanno mai sottolineato abbastanza come l’abbandono della “Saison en l’enfer” e della carriera d’artista ad essa legata * ,sono il consequenziale dénouement di quella esperienza poetica nel vivo del milieu letterario dell’epoca, che fu giudicato dal poeta francese dunque fallimentare e da scartare, con una fuga in Oriente in quanto l’Occidente era già, all’epoca, divenuta una palude in cui si affondava senza potersi muovere. D’altronde la lingua scelta dal poeta era incomunicabile e di fatto egli era convinto di rimanere isolato,come fu di fatto messo da parte già nelle riunioni artistiche alle quali lo condusse Verlaine quando fu introdotto a Parigi. Il distacco fra l’autore e il pubblico(o la società colta) _anche dal punto di vista di un linguaggio e di una scrittura pertanto_ era consumato , da allora in poi l’artista entrava nello spazio personale dell’io , nei meandri della sogget-tivazione più labirintica , per non più intedersi col lettore. Difatti è da Mallarmé in poi, seguito da Cézanne, Van Gogh, Picasso, Joyce, Apollinaire, (predecessore inconsapevole fu Edward Lear con i “Nonsense” ed, in parte, Carroll di “Al di là dello specchio”) Roussel, Artaud,Beckett,ecc.nei quali si nota un’intensificazione di questa discrasia di comprensione.
I generi letterari creativi (poesia,romanzo,narrativa,e affini,ecc.) diventano scrittura ed il loro autore perde l’aurea di comunicatore col pubblico dei lettori, rimanendo isolato con la sua l’opera ,incomprensibile e oscuro, irriconoscibile, rispetto ai suoi predecessori, con un sentore generale di “fine dell’arte e della rappresentazione” ( occidentale ). Una sorta di nodo storico che è il groviglio del postmoderno e la situazione in atto,salvo alcune eccezioni di banalità o di senso comune che continuano,forse per inerzia,a coesistere ,ma in ambito di paraletteratura.( In “Critica e verità” Roland Barthes, nel 1966 in Francia _nel 1969 in Italia_ testimonia questa distanza, perfino vieppiù accentuata fra critici ,ai quali quello scritto fondamentale è rivolto ).
E’con Rimbaud che storicamente si verifica una svolta epocale che sancisce uno scarto da un periodo storico preciso dell’Occidente ad un altro. In pratica la civiltà occidentale accusa un arresto nella sua idea di progresso, di cui prende coscienza della fallacità e dell’inganno nel suo sviluppo materiali-stico, mettendolo a confronto_in special modo nella fattispecie di Rimbaud_ con l’Oriente e la sua spiritualità,in netto contrasto con quella nostra. Le sabbie mobili già cominciano ad affondare molte anime che barcollando restano ignare e incapaci di afferrare le radici della crisi in atto ( comunque denunciata ampiamente da Baudelaire nei “Fiori del male” ed altri scritti autobiografici ).
* Anche Raymond Roussel in “Doublure”,uno scritto giovanile,parla di “gloire”,nella quale in un momento d’estatico delirio aveva creduto,soprattutto nel periodo in cui compone quel testo (cf.G.C.Roscioni:”L’arbitrio letterario. Uno studio su Raymond Roussel”. Torino,Einaudi,1985:p.41 e la nota in basso che rimanda a Janet:”De l’angoisse à l’extase”,Paris,1926:I,134,dove il ns.riporta del Roussel le segg.2 righe:”Quella gloria era un fatto,una constatazione,una sensazione. Avevo la gloria...Quello che scrivevo emanava tutt’intorno dei raggi...”).Ed ancora in Foucault :”Raymond Roussel”(Bologna, Cappelli, 1978-Traduz.dell’ediz.di Parigi,Gallimard,1963:p.165) in cui il filosofo-critico letterario cita di Roussel la frase:”In certi mesi,provavo una sensazione di gloria di un’intensità straordinaria”. Trattasi,com’è facile intuire,di un sentimento e sentore prettamente giovanili,quando in un moto di ambizione,tramite l’ebbrezza della scrittura,colui che la produce si sente in uno stato di esaltazione creativa molto giustificato dal punto di vista dello slancio vitale e dell’eros puro e semplice di esser vivo e di poter affermare e tenere in pugno addirittura uno stato d’esistenza superlativo,quasi percepito come perenne. Sappiamo poi ,sempre da Foucault (testo cit.) che la “Doublure”,scritta a venti anni,conobbe un’insuccesso,che gli provocò “uno choc di terribile violenza” e che sortì la conseguenza di scatenargli “una terribile malattia nervosa” (Foucault, nella monografia appena citata,si rifà,anche lui,allo scritto di Janet sopra riportato_quest’ultimo sembra sia stato uno psicologo di cui si servì Roussel per farsi curare).
Una crisi simile ,appunto giovanile, sembra essersi verificata anche nel Rimbaud ,piuttosto contrariato e perturbato,che emerge chiaramente da “Una stagione all’inferno” quando nel suo epilogo,dal titolo di “Addio” egli esclama :”Ebbene! devo seppellire la mia immaginazione e i miei ricordi!Una bella gloria d’artista e narratore perduta”( ma quell ‘ emporté finale non potrebbe anche essere tradotto con “sottratta”,”strappata via”, “derubata”,e simili,che indica esattamente lo stato d’animo in cui egli era prostrato ? ). Abbiamo quindi circa un 25-30 anni prima una situazione psichica quasi simile di fronte ad uno scacco subito nel fiore degli anni:19 per Rimbaud,20 per Roussel.
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Rimbaud : ‘dionisiaco’, stando a Nietzsche ( ossia ‘selon’ Nietzsche )?
Nietzsche non ha scritto nulla di specifico sull’estetica, ma , rovistando entro le sue opere si possono trovare agganci e allusioni ad un’estetica che più o meno riesce ad emergere , e così riusciamo ad afferrarne i contorni frastagliati. In pratica egli assegna al poeta un ruolo determinante per avvicinare la verità del mondo e della vita, e che auspica in effetti un ritorno di una enfasi dionisiaca , contro la decadenza delll’arte e della civiltà sua contemporanea. ( D’altronde Nietzsche si innesta sulla linea di pensiero e di comportamento poetico di Novalis, Hoelderlin, Tieck, prediligendo alla conoscenza sistematica l’intuizione frammentaria ).
La poetica rimbaldiana ha molto di dionisiaco , quando egli ricerca attraverso alcune esperienze del limite di penetrare l’ignoto che egli prova a di sondare e individuare con un’alchimia verbale inusitata, stanando ‘il nuovo’ come correlazione della verità del mondo. Il metodo della ‘veggenza’ è difatti abbastanza vicino al ‘dionisiaco’ della Grecia Antica.
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Scrittura e comunicazione ( eredità rimbaudiana ?!)
La nozione di scrittura ,si riferisce forse alla materializzazione ,generica, di quei generi prodotti una volta dallo scrittore (c’è da sospettare una tautologia ,dato che lo scrittore produce una scrittura ?): poesia, romanzo,teatro,critica letteraria,quest’ultima intesa anche come discorso sui 3 generi pre-cedenti ovvero commentari e ermeneutica.oppure a sé stante,cioè creativa o che può generare altra “prosa” :saggi,biografie, divagazioni varie,e così via.
Quindi ,secondo Barthes( che poi si rifà ai vari Bataille, Derrida, Blanchot, Foucault,ecc.che hanno individuato la scrittura, come fondamento alla base di un linguaggio discorsivo su un ambito dell’universo della comunicazione ) l’écriture sostituirebbe in pratica i vecchi generi. Tutto ciò per dare una struttura più chiara allo statuto letterario (in quest’ultima nozione c’entra Foucault, che tende a risistemare la classificazione delle scienze umane in un corpo più omogeneo e compatto,in cui non c’è spazio per l’ambiguità strutturale appunto), istituito per dare un fondamento alla cosiddetta scienza della letteratura, che fa parte del più ampio complesso delle scienze umane ( sempre secondo una certa tassonomia elaborata da Foucault ). L’écriture è in pratica l’esercizio e la manipolazione del linguaggio , che è dunque problematizzato e quindi è sperimentata la sua profondità,ovvero si attua la cosiddetta “traversée de l’écriture” ( Ph. Sollers ).
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Rimbaud e le vite d’artisti : ossia Cézanne e Rimbaud.
“Egli (Cézanne) si era adeguato alla visione, espressa da Frenhofer ,di un’intima conoscenza della forma: i pittori indomiti,aveva detto il protagonista del racconto balzacchiano, perseverano finchè la natura non viene costretta a mostrarsi loro nuda e nel suo aspetto più vero. Cézanne ,come egli stesso scriveva a Gasquet,era convinto di averlo scoperto: ’L’arte è armonia che procede parallelamente alla natura’. E si dice che avrebbe affermato:’Il paesaggio si pensa in me e io sono la sua coscienza’ “ (da :”La favola dell’arte” di D.Ashton ,Milano, Feltrinelli, 1980:p.71). Una curiosa analogia con il ‘on me pense’di Rimbaud.
Cézanne vive a Aix quasi per tutta la vita_o nei dintorni,insomma in Provenza_sempre concentrato ed indaffarato a penetrare i segreti del paesaggio,della natura,della “cosa in sè”.Nulla e nessuno riesce a distoglierlo.Non conosce intralci od ostacoli.Egli persegue la sua arte ,la pittura,con una concentra-zione assoluta ,o almeno molto vicino ad essa. Non si lascia deviare da vicissitudini, eventi,emozioni esterne alla sua anima. Tetragono non traballa,è ostinato e colmo di dedizione al suo assunto.Da questa discesa nelle profondità del paesaggio (e della pittura,il mezzo attraverso il quale si esprime questa sua visione del mondo) non si lascia fuorviare,anzi man mano che si avvicina all’arco finale della sua vita personale queste attitudini si moltiplicano e tutti gli sforzi concorrono alla realizzazione di quella figura del mondo che lo circonda_e che si è scelto_in maniera esponenziale,in pura progressione aritmetica.Sotto questo aspetto,Cézanne,è un esempio mirabile di coerenza (una sorta di Frenhofer , di balzacchiana memoria_d’altronde risulta che abbia letto più volte “ il “Chef-d’oeuvre inconnu” e che ammirava il personaggio che si staglia nella short-story della ricerca estenuante della prima metà dell’800_ma capovolto quanto all’inoperosità, divenuto accorto dell’esito ‘negativo’ della lezione frenhoferiana, o ,almeno ,avendo intuito la remota speranza che “lo chef-d’oeuvre inconnu lascia intravedere in un angolo la punta di un bel piedino ,e quel piedino delizioso impedisce all’opera di essere compiuta,ma impedisce anche al pittore di dire,con una infinita sensazione di riposo davanti al nulla della sua tela:’Niente,niente! Alla fin fine non c’è proprio niente!” * ,sottraendosi così al caos indistinguibile della cancellazione ,che Frenhofer effettua della tela ,seguite poi dal rogo di tutte le sue tele e di morire nell’incendio conseguente __stratificazioni di linee e colori ,assieme a ‘ratures’ vere e proprie che , a quanto si dice, erano abituali nelle pratiche d’atelier di Cézanne medesimo,con in più l’ostinazione di ridipingervi sopra dopo aver capovolto la tela! ).
* M.Blanchot:”Passi falsi” .Milano,Garzanti,1976:pp.22-23(traduz.ital.di “Faux pas”,Paris,1943).
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Su Rimbaud e Nietzsche.
“La verità è brutta: abbiamo l’arte per non perire a causa della verità” F.Nietzsche (“Volontà di potenza”) in: Opere,a c.di M.Montinari e G.Colli, Milano,Adelphi,1965,vol.VIII,Tomo III,Frammento 16:p.289.
Quindi l’arte, la letteratura, la creazione artistica insomma, sono delle menzogne sostitutive, psicologicamente in effetti sublimazioni come disse in seguito ( dopo Nietzsche ) Freud ?
Ma quando Rimbaud, giovanissimo,si dedica anima e corpo, alla caccia all’ignoto, vivendo la vita che visse ( poi esposta nella “Saison” ),in pratica era nella menzogna, nel falso, oppure nell’autentico e nel vero? Un’esperienza, quando è vissuta, è autentica e diventa poi falsa alla conclusione, analizzandone i contenuti o i risultati ?
Rimbaud sembra dire il contrario esatto di Nietzsche. Nella “Saison” la Bellezza svanisce ed è amara e lui ‘la saluta’ abbandonando appunto la poesia, che non è più una consolazione, avendo constatato anche lui, in un certo qual senso, le bruttezze delle realtà da lui incontrate. Per Nietzsche invece sembra che l’arte sia l’unica gratificazione nella vita umana ,o sbaglio ? ( mi aspetto, beninteso ,che egli conoscesse l’dea di S.Bernardo secondo cui in questo mondo la ‘Bellezza Divina’ fosse vera, mentre quella ‘Artistica’ era mendace_o si tratta di un parallelo improponibile e quindi non congruo ?).
Qui emerge la “letteratura come menzogna”( necessaria ).Non casuale,quindi.E l’dentificazione del-l’artista come saltimbanco e clown *, costretto ad assumere cioè una maschera. E siamo di nuovo a Nietzsche. Ma anche conseguenza di una lunga sequela tradizionale di figure : dalla maschera ‘tragica ’dei Greci (appunto secondo la genealogia nietschiana ) giullare, buffone, fino al Pulcinella, e Arlec-chino, clown, saltimbanco da fiera popolare, delle generazioni a noi vicine. E la ‘dura realtà’ _ frase assai popolare _ risulta insopportabile per lo più. “La novità della ns. attuale posizione verso la filosofia è una convinzione che finora non fu propria di nessuna epoca: che cioè non possediamo la verità. Tutti gli uomini del passato avevano la verità: persino gli scettici” F.Nietzsche (Frammento Postumo del 1879-81). Stato attuale della ns.condizione umana.
“L’atteggiamento descritto da Nietzsche ha un sapore lievemente paradossale. E tuttavia _anzi, per ciò stesso _questa convinzione di non possedere la verità è il sintomo evidente di quel fenomeno che, nella tradizione di Nietzsche ed Heidegger,va sotto il nome di nichilismo europeo.”(Commento di M.Ferraris,base di partenza di“Tracce.Nichilismo moderno post-moderno”:Milano,Mimesis,2006:p.7).
La verità non esiste _detto in linguaggio chiaro. I filosofi dicono _come Heidegger_che l’‘essere’ sfugge a qualsiasi tentativo di cattura e comprensione. A tal proposito per più di 2500 anni ( a partire dai Presocratici ) l’inseguimento o la caccia alla verità sono sempre falliti, o, almeno, come rileva Nietzsche in molti frammenti o analisi anche meno frammentarie, la ragione occidentale ha subito uno scacco. Anzi la fondazione di una metafisica che ha prospettato, a partire da Platone con il Mondo delle Idee, una soluzione dell’essere e della verità, ha prodotto solo un discorso ermeneutico senza fine, che ha le sue aporie ben celate o ben evidenti corrette man mano da altri che sono intervenuti. Dopo il “Dio è morto” ( peraltro già anticipato da Baudelaire e Rimbaud, e _ probabilmente _ anche dagli Illuministi se andiamo in profondità; per esempio da Leopardi che romantico in poesia fu invece illuminista come base di pensatore ), Nietzsche individua anche “la morte della ragione” o i suoi ‘limiti’contrassegnati più volte lungo tutte le sue opere con matita rossa indelebile. Sono queste constatazioni che aprono il nichilismo ( ribadito anche da Dostojewski _ e Kirilov aggiungerebbe Camus), molto più evidentente di come avesse fatto Schopenhauer in “Il mondo come volontà e rappresentazione” e “Parerga e Paralipomeni”. La verità, comunque , filosoficamente sempre, era stata oggetto di caccia tramite metodi strettamente sperimentali anche dai Fisici,Chimici,Biologi, Naturalisti ( darwiniani o meno ), e le loro perplessità furono anche più concrete e pragmatiche. Sin ad esempio dall’800, con gli studi sull’elettricità condotti da Maxwell, che approda ad una spiegazione dualistica e quindi aporetica della materia che risulta corpuscolare e ondulatoria nello stesso tempo. Infine entrano in scena i fisici della rivoluzione tecnologica, che , su sperimentazioni e ricerche di laboratorio, arrivano a riformulare tutte le leggi di Newton, viste in maniera più ampia (anche per l’apporto della matematica e della geometria che hanno fatto passi giganteschi ), fino a darci una teoria atomica consolidata dalla chimica e dai suoi elementi, e addirittura a ridimensionare e mettere al suo esatto posto la geometria euclidea, e Einstein indica e svela come la Relatività domini tutta la ns. fisica cosmologica, e infine abbiamo la Teoria dei Quanta di materia che capovolge molte conoscenze scontate ma incomplete e infine Schroedinger, Heisenberg, Bohr, Planck, arrivano al famoso principio di indeterminazione, che dà un colpo al determinismo semplice e le catene di cause ed effetti vengono interrotte in più punti. Le verità del sapere cominciano a vacillare e “della certezza” si può dire quel che nel suo piccolo opuscolo discettò Wittgenstein. S’intrecciano quindi indissolubilmente scienze e filosofia, ma non sono da meno le arti : soprattutto poesia e pittura, che si servono dell’intuizione, un approccio con più irrazionalismo, ma in ogni modo sappiamo che genericamente il mondo è prodotto dal linguaggio, che sta alla base della poesia, della pittura, delle scienze e della filosofia, essendo la struttura che produce ‘il discorso’ e gli ‘enunciati’ ( secondo Foucault , che ben sintetizza, nel suo uso originale delle scienze umane, il ‘problema di base’ che sottende il sapere dell’uomo del XX secolo ).
*Cfr.in questo senso: Starobinski,J.”Ritratto dell’artista da saltimbanco”(Torino,Bollati-Boringhieri,1998, 2a Ediz. ).
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La veggenza di Rimbaud è dello stesso tipo di quella di Nietzsche ( negli aforismi in cui egli si proietta nel futuro come protagonista ) ?
Entrambi hanno esplorato i limiti del pensiero _ossia l’impensabile_ cercando di forzare ,tramite uno scatenamento di sensi e varcando le porte della sragione, le soglie dei divieti dell’etica istituita dalla società moderna. Entrambi sono partiti da una critica radicale allo status quo in cui si sentivano imprigionati. Rimbaud impetrava il diritto al ‘bonheur’, Nietzsche cercava la gioia che gli era negata non solo privatamente ma anche pubblicamente. Quasi nelle stesso periodo entrambi arrivarono a intuire e a ribadire come la morale fosse l’ostacolo che si frapponeva alla loro legittima ricerca di felicità. Non solo. Arrivarono entrambi, Rimbaud in poesia, Nietzsche in filosofia, a individuare sia la Morte di Dio, che la falsità di quel che gli era stato insegnato dal senso comune. E tuttavia nella parabola delle loro vite assistiamo ad un certo punto che Rimbaud rinuncia alla poesia mentre Nietzsche combatte immolandosi al destino di ‘divenire ciò che era’ : sappiamo poi da dettagli delle loro autobiografie che Rimbaud rientra in pratica nel corpo sociale , cercando di ‘far soldi’ per sposarsi e ‘vivere di rendita’( ossessione degli anni africani ), mentre Nietzsche finisce ‘paralizzato’ i suoi giorni nella demenza ( Rimbaud nella “Saison en enfer”, aveva confessato di ‘j ’ ai joué des bon tours à la folie” nel periodo del suo “déreglement de toutes les sens”, ricordiamoci ). Rimbaud più furbo di Nietzsche ? Beh, in fondo Rimbaud è figlio di una proprietaria terriera e d’altronde lui medesimo si definisce sempre nella “Saison” come “paysan” e ricordiamoci che lo stesso poema termina con “posseder la verité en ame et corps”,ossia una sorta di unità voluta che tronca ogni ricerca ulteriore; mentre Nietzsche frantuma i suoi io e l’ ‘io diviso’ oggi sappiamo che è la schizofrenia ( dal punto dei vista del sapere medico _ossia quella follìa che poi Foucault indicherà inesistente come malattia oggettiva e che invece definirà come produzione della società e del potere, o come annichilamento del desiderio e dell’eros).
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L ’opera della veggenza(“Les Illuminations ”),perchè ha avuto quel titolo ?
Come si sa , Rimbaud , nel dare il titolo ai particolari poemi in prosa , composti per lo più nei suoi soggiorni a Londra ( dove frequentava la biblioteca pubblica del British Museum _fondata e diretta da un italiano: Panizzi della provincia di Reggio Emilia ), dopo aver completato il lavoro di elaborazione degli stessi, pensò _ si dice ( lo testimonia un suo amico, poeta francese, dell’epoca: Germain Nouveau) _ ad un titolo inglese, ovvero a ‘Illuminated plates’, perchè, secondo lui, erano proprio dei ‘quadri’ dai colori vividi come miniature che si distaccavano dal supporto e si evidenziavano ( come in realtà trova chi le legge oggi _figurarsi il lettore di 130 anni fa circa ) straordinariamente. Curiosamente anche la poetica di William Blake si connette, va agl’inizi dell’800, ad un forma visiva nell’elaborazione di certi suoi poemi, che con una metafora da lui elaborata indicava come un tipo di ‘incisione colorata a mano’ che nella sua lingua indicava come ‘illuminated etching’,che poi egli aveva scelto proprio come adatta al suo modo d’espressione poetica, una sorta di parola-figurazione ( e siamo proprio all’epoca in cui si affermano le incisioni a colori nelle sue varie tecniche inventate in Francia ed in Inghilterra e Blake era anche ‘un pittore’ oltretutto).La tecnica del koan( la ‘battuta’ paradossale, incongrua, insensata, quasi impossibile, al limite del nonsense moderno, serviva ai buddisti cinesi della scuola dei Ch’an per arrivare all’ ‘illuminazione’). Avendo Rimbaud letto Ballanche e Eliphas Lévi, ovvero in effetti degli orientalisti non è possibile che i suoi poemi, poi intitolati “Illuminations” siano stati frutti di un metodo molto affine a quella tecnica del IX secolo, consciamente( e semmai anche incosciamente, tanto il risultato resta il medesimo ).
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Rimbaud e i dualismo.
Perché quest’associazione ? Ricordiamoci della chiusa della “Une saison à l’enfer”: “....Le combat spiritual est aussi brutal que la bataille d’hommes... .Que parlais-je de main amie! Un bel avantage,c’est que je puis rire des vieilles amours mensongères,et frapper de honte ces couplet menteurs,_j’ai vu l’enfer des femmes là-bas; _et il me sera loisible de posséder la vérité dans une ame et un corps”(= La lotta spirituale è brutale quanto una battaglia fra uomini. Altro che mano amica! E’ un bel vantaggio poter ridere dei vecchi falsi amori, e svergognare quelle bugiarde coppie,_ho visto laggiù l’inferno delle donne;_e mi sarà permesso di possedere la verità in un’anima e un corpo ). Alla fine e conclusione delle sue ricerche si auspica di puntare a tenere contemporaneamente nell’anima e il corpo ( spirito e sensi, mente e corpo, ecc.) quel che è vero del tutto.Ossia il dualismo, cruccio della sua tensione poetica, superato con un balzo di complementarità. Anche Niels Bohr cercò di superare le opposizioni dualistiche tramite la complementarità che mutuò, soprattutto,dal Tao e le filosofie di Oriente.* Il “cielo e inferno ,che importa ?” baudelairiano che sottostava a quell’ignoto, che tuttavia celava in sé l’avventura del nuovo,quel fascinoso “altro” che ha soggiogato incessantemente gli ulissidi moderni,subito dopo i due grandi poeti. E comunque già Balzac aveva messo in bocca a quel Frenhofer ( peintre maudit ante-litteram ) nel suo “Chef-d’oeuvre inconnu” del 1837 : ”Comme Orphée, je descendrai dans l’enfer de l’art pour en ramener la vie”, che sembra anche, in parte, une idée fixe, rimbaldiana, che emerge in più parti della sua opera:dalle“Poésies” alle “Lettres”( a Démeny ed Izambard)”, e dalla “Saison” alle “Illuminations”, non è così ? Quel che attrae Rimbaud, del ‘voyage’ proposto e disposto da Baudelaire quasi come inevitabili, sono entrambi: “l’inconnu” e “trouver du nouveau”, legati strettamente l’uno all’altro, come risoluzione di un’impasse fondamentale,alla base della peripezie umane o trascendenti: quei “Enfer ou Ciel”, poli di una dicotomia che si ripete, benché in maniera di sorpasso dialettico, ancora nelle strutture della “Saison”, ma che il poeta di Charleville aveva preso di petto sin dal suo modo di porsi dinanzi le contraddizioni della vita ( “absente” ) occidentale, da superare col balzo dalla ‘tabula rasa’ alla “veggenza” ( “il faut etre voyant se faire voyant. Le poète se fait voyant par un long,immense et raisonné dérèglement de tous les sens.Car il arrive a l’inconnu” ). La falsità delle conoscenze del mondo, coppie di opposizioni comprese, ateismo-cattolicesimo inclusi ( che più lo condizionano ),sono il suo incubo e lo conducono ad una rivolta per il loro superamento, al quale si vota tramite la ( temporanea ) immersione nell’esercizio di poeta nel quale riconosce più adatta la parte di natura più innata in lui. Lo scopo e il compito che si prefigge il giovanotto di Charleville è immane: superare le aporie di una civiltà, quella occidentale, caduta oramai in una rete di perversa impasse da stallo. Ma lo scacco è in evitabile e come notiamo in Bohr, 50 anni dopo, non senza rischi, contraddizioni, andirivieni pedissequi ( d’altronde anche Schopenhauer aveva dovuto ricorrere,per certi punti irrisolvibili della sua filosofia, all’Oriente_al Buddismo sembra ), per porre una toppa alla dibattuta questione della ‘realtà’del mondo subatomico ( microscopico) , che ebbe una diatriba epocale addirittura con Albert Einstein. In Oriente le opposizioni sono ben note sin dai primordi delle loro civiltà . P.G.Odifreddi di esse così interpreta le procedure: “Cosi, dietro alla molteplicità e all’opposizione delle apparenze del maya induista, del samsara buddhista, e della contrapposizione fra yìn e yang taoista, stanno l’unità e l’armonia della vera realtà: il brahman induista, il dharmakaya buddhista, e lo stesso tao” **
E sul ragionato sregolamento di tutti i sensi ( immenso e lungo ) occorre innestare delle riflessioni o,meglio,trarre delle deduzioni. Osservando come, dopo Rimbaud ( temporalmente intendo ) sono veramente venuti orribili lavoratori : da Cézanne, Van Gogh,Gauguin, a Nietzsche, Roussel, Artaud, ecc.ecc.,per citare alcuni di coloro che hanno giocato dei bei tiri alla follia. Il corpo a corpo con la scrittura o la pittura _con la caccia all’ignoto_si fa pericoloso, soprattutto per chi non opera dalla parte istituzionale, ma liberamente e spontaneamente, affrontando il rischio su sé dello scacco giorno dopo giorno, ora dopo ora, sempre in prima linea. Dopo Rimbaud certi poeti, pittori o pensatori ( artisti o scrittori ) hanno spesso danzato sull’abisso. Qualcuno ha pagato duramente: ad esempio Nietzsche e Van Gogh, con qualche intermittenza Roussel e Artaud, sostanzialmente resistendo ad oltranza prima di essere travolti : Cézanne e Gauguin.
* “Le verità superficiali sono quelle la cui negazione è contraddittoria, e le verità profonde quelle la cui negazione è ancora una verità”. Nils Bohr ( il fisico danese che nel 1927 risolse ‘il problema della fisica quantistica’ con il ‘principio di complementarità’ ). A questo proposito , cioè circa la complementarità, fu David Bohm poi che trovò nel 1980 (col libro ‘Wholness and the Implicated Order” _traduz. ital. del 1996 “Universo,mente e materia” ) una soluzione alla duplicità degli enti subatomici _con proprietà ,come si sa, sia corpuscolari che ondulatorie_che egli accettò come tali. Rifiutò quindi il dualismo e la metafisica concezione dominante basata sull’essere di una divisa molteplicità, passando all’alternativa del divenire di una indivisa totalità. E col linguaggio mutuato da Nicola Cusano ( filosofo dell’umanesimo italiano ) dal frammentario e temporaneo ordine esplicato, passa e prende in prima istanza a considerare l’unitario e atemporale ordine implicato, che regola il fluire globale.
** L’alchimia,secondo P.G.Odifreddi ha antichissime ascendenze: “Le origini orientali dell’impresa di trasformazione degli elementi si trovano nell’ I’ Ching, ’Libro delle mutazioni’:un testo risalente al I° Millennio a.C.,che divenne un classico sia taoista che confuciano. La sua struttura si basa su 64 esagrammi,ottenuti combinando in tutti i modi possibili 6 righe intere( yang ) o di spezzate ( yin ). Gli esagrammi compaiono nel testo a coppie complementari o simmetriche, ma l’ordine delle coppie è apparentemente casuale. A partire dal sec.XI essi furono riordinati in maniera numerica , pensandoli come rappresentazioni binarie di numeri composti composti delle sole cifre 0 e 1.Gli esagrammi costituiscono dunque la base dell’aritmetica binaria, (ri)scoperta in Occidente da Leibniz soltanto nel 1679”. Da P.G.Odifreddi: ”C’era una volta un paradosso”.Torino,Einaudi,2001:p.81-82.Cfr.anche:E.Zolla:”Le meraviglie della natura.Introduzione all’Alchimia”.Venezia,Marsilio,1991.
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Rimbaud “paysan . Ovvero il rapporto con la natura.
E difatti sia la “Saison” che le “Illuminations” sono piene di strabilianti sintesi poetiche di quella natura che lui,essendo figlio di una fermière,conosceva fin nelle fibre più segrete.Figlio di una proprietaria terriera e quindi erede di un patrimonio,che a lui,probabilmente,a certe condizioni non interessava.Insomma nella sua testa,assolutamente antiborghese(avant-lettre?),non c’era posto per una vita di lussi e/o privilegi ( ‘comfort’, compare spesso nella ‘Saison’ ), ai quali ha rinunciato sin da ragazzo volentemente ( con la madre che si era ritrovata_vedova comunque con diversi figli ,fra cui 2 femmine,da mante-nere e pertanto preoccupata di conservare un patrimonio di famiglia ). Nessuna idea quindi di prevaricazione sulle classi sociali a lui inferiori pertanto,o di sfruttamento della sua posizione di privilegio,nessuna idea di difesa e ampliamento del patrimonio: nulla, proprio nulla di tutto ciò, insomma Rimbaud ha un’anima da coltivare e da perlustrare, pur non sottraendosi ai lavori che la famiglia gl’impone in quanto suo componente. Questo è un tratto fondamentale per capire il suo genio ed è forse distintivo,eccome,per la differenza con la gran massa di altri poeti e scrittori della sua epoca,probabilmente ( e non ).
Rimbaud non ne fa niente del suo privilegio di erede di una proprietà terriera ( che come hanno evidenziato alcuni biografi _ad esempio Graham Robb ,assai recentemente_ di notevole reddito all’epoca:circa 600.000 Franchi ) e anzi,scappa via dai privilegi acquisiti per schiatta,cerca l’indipendenza attraverso un duro tirocinio e una vita ancor più atroce, i beni materiali ( il comfort sul quale ironizza più volte e che ha capito essere il senso della vita della classe borghese emergente per lo più, appunto materialista e insensibile ) e il loro potere,che egli ignora purtroppo,arrivando a disprezzare ed a irridere appunto coloro che saliti in alto nella considerazione letteraria attraverso esso e solo esso,gli sembrano effimere conquiste di chi non ha voluto e saputo far niente per cambiare la vita in una più vera, che lui definirà come assente. Insomma Rimbaud non seppe che farsene del suo potere di reddito come proprietario terriero, notevole all’epoca,dato che siamo ancora in una fase pre-industriale.
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I ritratti (fotografie) d’epoca di Rimbaud eseguiti da Carjat.
Le foto di Carjat , rispettivamente, di Verlaine (1870), Baudelaire (1863) e Rimbaud (18971) ,che ritraggono i tre poeti francesi, mostrano tre fisionomie veramente uniche , e quindi straordinarie, ma che distinguono le personalità particolari dei singoli ritratti: Verlaine è il satiro esatto dei “Poèmes saturniens” (1867) ;Baudelaire mostra i tratti ‘snobs et outré’ ( replicati ancora in una altra celebre foto di Nadar più tardi ), del distinto e inquieto cantore delle “Fleurs du mal” (1857); Rimbaud incarna l ‘enfant de colère’ con la bocca ghignante e l’occhio glauco dallo sguardo intrepido, della devastante e controversa “Une saison en enfer”. ( 2 furono i ritratti esguiti a Rimbaud: uno a settembre e l’altro a dicembre_quest’ultimo è il più riprodotto, malgrado si dicesse nell’ambiente, secondo quelli che sapevano la fisionomia del ‘voyou’ di Charleville,che il primo dei rittratti fatto appena una settimana dall’arrivo a Parigi,mostrasse la vera essenza,imbronciata e ‘contadina’del poeta,con una raffigurazione in cui si mostra più selvatico e impenetrabile agli sguardi scrutatori degli altri ).
Ritratti inconfondibili tra loro che segnano ‘differenze’inaudite in tutto, sconvolgendo magari uno studio fisionomico che vorrebbe delle basi o fondamenti comuni di partenza, che qui non compaiono affatto !
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“Ali bisogna avere,quando si ama l’abisso” F.Nietzsche(da . Ditirambi di Dioniso ’).
Ali per poter volare via forse intende dire, per non cadere nel precipizio, come normalmente accade a chi frequenta e rasenta abissi,per lo più ignoti e/o mai sperimentati. La logica dell’istinto di conservazione ( eredità acquisita per millenni di esperienze dall’uomo, insita nel DNA fondamentale, forse per selezione darwiniana evidentemente ) qui parla direttamente o si tratta di una non bene identificabile presentimento degli anni ‘libera caduta’ nei gorghi della follia ? Un enigma. O innatismo logico ? Mi vengono in mente qui i ‘tiri alla follia’(“Et j’ai joué de bons tours à la folie”) eseguiti da Rimbaud durante il suo ‘immenso e sistematico sregolamento di tutti i sensi’( ma ben calcolato_ chissà se Nietzsche esercitava queste precauzioni di calcolo e di controllo) confessato nella “Saison”. In pratica Rimbaud sarebbe stato un buon ‘maitre’ per Federico, ma purtroppo ,come sappiamo, la “Saison” fu nota solo a Verlaine e a pochi altri della sua cerchia, e fu edita molto dopo che Nietzsche “rua dans la folie”. Egli, semplicemente, non poteva conoscere quest’ammonimento rimbaldiano ( esperienza fondamentale, della quale ognuno può o non può tenere conto ). E fu catastrofe! Gli intrecci della storia sono casuali,o sono invece necessari ? Nietzsche medesimo si sarebbe posto questo interrogativo. Sarebbe l’essere o non essere di Amleto(di Shakespeare, suo padre in effetti ).
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Indeterminismo, innatismo,ignoto.”on me pense”,”je est un autre” , e similia , interscambiabili ?
Durante l’ultima guerra Heisenberg, il famoso fisico dell’ ‘indeter-minazione’, viveva esiliato non lontano da Cambridge,e durante una conversazione con dei professori e filosofi inglesi di Cambridge, un giorno si provò a chiarire la differenza tra gli studi umanistici e quelli scientifici ( le ricerche ) così: “Se io non fossi mai venuto al mondo, qualcun altro avrebbe scoperto il Principio di Indeterminazione, dato che esso ha rappresentato la soluzione di un problema che era emerso dal logico sviluppo della fisica e poteva essere risolto unicamente in questa maniera. Ma se non fosse mai esistito un Beethoven, questa sonata( che egli aveva eseguito al suo uditorio poco prima di parlare) non sarebbe stata composta. I due diversi ambiti di ricerca avanzata, lo scientifico e l’umanistico, dovrebbbero riflettere questa differenza fondamentale”.
Rimbaud dalla “Lettera indirizzata a G.Izambard ( del 13 maggio 1871 ): ”Attualmente, mi sto incana-gliendo quanto più posso.Perchè ? Voglio essere poeta, e quindi lavoro a rendermi Veggente : voi non riuscirete a capire ed io non saprei come spiegarvi. Si tratta di giungere all’ignoto tramite lo srego-lamento di tutti i sensi. Le sofferenze * sono immense, ma occorre essere forti, essere nato poeta, ed io mi sono riconosciuto poeta. E non è affatto colpa mia. E’ falso dire : Io penso , si dovrebbe dire mi si pensa.**_ Scusi il gioco di parole... .Tanti egoisti si proclamano autori ; ben altri ce ne sono , che si attribuiscono il proprio progresso intellettuale!”. In cui oltre alla concezione della veggenza che affiora chiara in queste riflessioni sul poeta e la sua poesia, balza netto alla ribalta il ruolo diverso dell’Io ( che Rimbaud evidenzia con la maiuscola, ma solo per alludere , forse ironicamente, che non merita quel ruolo egotistico che gli era stato assegnato fino allora da tanti egoisti ( Rimbaud rincara la dose a G.Izambard: ”Senza contare che la sua poesia soggettiva sarà sempre tremendamente insulsa” ). *** Rimbaud dalla “Lettera ( quest’alto volta ) a P.Demeny, del 15 maggio 1871 ( ovvero 2 giorni dopo della precedentemente citata)” : ”Se i vecchi imbecilli non avessero trovato, del ‘me stesso’, solo il significato falso, non avremmo da spazzar via i milioni di scheletri che,da tempo infinito, hanno accumulato i prodotti della loro orba intelligenza , e se ne proclamano gli autori!”. Queste idee sono preliminari a quelle riportate da Heisenberg non solo, ma collimano con i risultati di innatismo raggiunti dalle esperienze e verifiche delle scienze cosiddette esatte( massimamante:biologia, genetica, fisica, neurologia ). Caso e necessità vanno a braccetto. E’ la grande legge del bricolage scoperta dagli scienziati-ricercatori moderni degli ultimissimi anni.Tutte queste idee si riallacciano a quel che di Heisenberg ho appena riportato. E difatti non molti sanno _anche perché la scoperta è stata fatta molto tempo dopo con la pubblicazione delle sue Opere avvenuta postume _che Charles S.Peirce aveva già per proprioconto ,circa una trentina d’anni prima, leggendo Boole , anticipata con chiarezza il metodo di derivazione della matematica-aritmetica dalla logica impiegato in quel ‘Principia Mathematica’di Whitehead e Russell che fece scalpore agl’inizi del’900).
* In una parte della “Lettre du voyant” ( a P.Démeny) egli allude al fatto che “Il s’agit de faire l’ame monstreuse” e ancora “Toutes les formes d’amour,de souffrance,de folie;il cherche lui-meme,il épuise en lui tous les poisons,pour ne garder que les quintessences”,che in pratica sono una pianificazione di sacrifici del corpo umano ( del ‘suo’ corpo ), ossia una procedura tipo ‘i sacrifici’ religiosi, immolazioni, che servivano agli adepti per iniziarsi ed essere ammessi ai segreti del sacro. Trattasi dell’ ‘esperienza del limite’, spesso auspicata e citata ( ed attuata anche secondo molti ) da Michel Foucault, che si rifaceva tra l’altro al motto di Kant :’Sapere aude’ ( forse in opposizione al famoso interdetto di S.Paolo :”Noli altum sapere,sed time’ ),il coraggio illuministico di squarciare i veli e gettare uno sguardo dietro (“Daltronde le religioni un tempo chiedevano ‘il sacrificio del corpo umano’;il sapere chiama oggi a fare esperienze su noi stessi, anche se essa _l’esperienza del limite_ comporta il sacrificio del soggetto della conoscenza” commentò in una intervista il filosofo di Poitiers ). Difatti Claudel disse agli inizi del’900 di Rimbaud che era “Un mistico allo stato selvaggio” appunto.
**“....Dire penso è postulare l’io,è una petizione di principio;Lichtenberg, nel sec.XVIII propose che invece di penso,si dicesse impersonalmente pensa ,come si dice tuona o lampeggia. Ripeto : non c’è dietro i volti un io segreto,che governa gli atti e riceve le impressioni; siamo solo la serie di quegli atti immaginari e di quelle impressioni erranti”. J:L:Borges:”Nuova confutazione del tempo” (in :”Altre inquisizioni” p.1075 ,Vol.2,di Tutte le Opere,Milano,I Meridiani,1985).
***Forse Rimbaud si riferisce ad una sorta di dono innato, ovvero trattasi qui di quel che in tedesco significa Geschick, ’qualcosa che è inviato’, ‘posseduto come talento’,_Geschick significa anche ‘un’abilità’ , ‘un dono che il destino assegna’.
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Legame indissolubile fra Rimbaud e Verlaine ?
Riflettiamo:Rimbaud esiste grazie a Verlaine,che alla fine della sua vita(quando entra ed esce dagli ospedali parigini),rivisitando i ricordi e facendo tutti i bilanci della sua vita passata,riconosce a Rimbaud un ruolo affettivo notevole nella sua esistenza,e,forse rileggendone l’opera (“Saison” e “Illuminazioni”;la prima una sorta di biografia insuperabile della ‘coppia infernale’di cui lui era stato uno dei coprotagonisti,la seconda un campo di ricerche,’dei lampi’ appunto,a cui in un certo modo aveva collaborato a far emergere assecondando indirettamente il suo compagno di ‘débauches’)si era convinto di doverla divulgare e diffondere nella comunità letteraria in cui appena 20 anni prima era stata rifiutata e ignorata.Del Rimbaud in Africa,di cui,forse,Verlaine,ha notizie discordanti o addirittura nulla di nulla (silenzio completo,che poi è l’atteggiamento convinto che adotta il Rimbaud ‘africano’),e intanto aveva disdegnato l’opera che gli era costata un dramma (al quale egli moralmente assegnò un valore enorme tanto da averlo risvegliato ad abbracciare una ‘nuova vita’ abbandonando l’arte),causa del suo (presunto) fallimento,o, proba-bilmente, i cui risultati (“Saison” e “Illuminations”)non lo avevano soddisfatto del tutto (non sappiamo quali obiettivi si era proposto dentro di sè!),anche senso del ‘devoir’ al quale lui teneva.
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EPILOGO
Verlaine pubblica Rimbaud negli ultimi anni dell’800( dopo la sua morte nel 1891 ).
Mi sembra quindi che sia da indagare e approfondire sotto ogni aspetto l’atto con cui, all’improv-viso,Verlaine decise verso gli ultimi 10 anni circa del 1800 ,di pubblicare gli scritti (o i manoscritti abbandonatigli o restati nelle sue mani di Rimbaud suo ‘compagnon’ del passato) e quindi rendere pubblico un poeta che oramai non aveva incontrato più ( e del quale forse aveva intanto raccolto e ricevute notizie e informazioni scarse) a partire dal 1876 in poi, ossia da ben più di 10 anni. Cosa spinse Verlaine a fare questo passo ? I ricordi del passato, la stima del compagno ( d’avventure ), l’affinità elettiva ( del passato e anche quella ‘letteraria’ ) o oscuri richiami di un ‘vissuto’ che emergeva fra il compagnonnage (o amicizia letteraria) e il semplice riverbero di ‘bonheur’ di un’epoca gustata affettivamente e realmente, che riaffiorava negli ultimi anni della sua vita che egli ricapitolava fra debosce e malanni entrando ed uscendo da crisi interiori o anche da istituti e ospedali di ricovero ? Qual era il ribollire dei pensieri e dei sentimenti all’epoca in Verlaine ? E Rimbaud che aveva deciso di mettere una pietra sopra la sua vita ( e anche arte , con relativo patrimonio di scritti lasciati nel dimenticatoio volontariamente ), diventò ad un certo punto della sua vita africana,quindi assente dall’Europa civile ( siamo quasi nell’epoca circa della sua morte, per uno strano mix e segno di fatalità e casualità ), il beneficiario di una sorta di palingenesi inaspettata , ‘non petita’ comunque , ma in effetti dovuta e giusta dal punto di vista umano, di un’opera ‘nascosta e sconosciuta al pubblico’ che riemerge dall’oblio in cui l’aveva relegata l’autore in un momento di lucida autodistruzione ! Insomma Rimbaud se è esistito, come poeta, lo deve in massima parte a Verlaine, e alla sua passione di reminiscenza , alla potenza dei souvenirs dell’anima ! Ma di che ? Del sodalizio letterario o del rapporto omosessuale con Rimbaud ? O del sentimento di sovrapposizione d’entrambe le esperienze vissute in profondità : ossia psiche e sensi strettamente congiunti ?
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Conclusioni ultime su Rimbaud ( sua vita ).
La vita di Rimbaud ,forse , è da dividere in 2 tronconi: quella prima dell’‘abbandono della poesia’ ( dopo aver pubblicato ‘Une saison en enfer’ e dopo il colpo di rivoltella a Bruxelles ) e quella trascorsa in Africa ( c’è una ‘vita intermedia’ : quella trascorsa vagabondando qua e là in Europa , prima della decisione di sbarcare in Africa _ma trattasi di qualche paio di anni soltanto ). La vita dalla ‘fuga a Parigi’ con Verlaine fino al ‘colpo di rivoltella di Verlaine a Rimbaud a Bruxelles’ è ben nota e fu il periodo_ed era giusto ed evidente_ più indagato da poeti, studiosi,critici e biografi, si sa . Con vari giudizi estetici e non . Le bibliografie sono zeppe di questi libri. Perfino ridondanti.E vanno dalla fine ‘800 _dopo la pubblicazione delle poesie di Rimbaud curate da Verlaine (eccetto beninteso “Une saison en enfer” edita dallo stesso A.) fino ai nostri giorni,con un’accentuazione dapprima fra gli anni 1912-1960 circa. In seguito ,ma molto tardi _diciamo negli anni ’70,’80, cominciarono le ricerche,più difficili e faticose ( a rintracciare documenti ) negli scavi,sul resto della vita ,lontano dall’Europa ,da esiliato, nell’Africa oscura e misteriosa (che fu teatro politico anche di lotte coloniali fra nazioni :Francia innanzitutto,ma anche Italia,Germania, Inghilterra,nonché anche ‘locali’ ,di paesi e realtà emergenti nel Nord Africa e nel Centro Africa).
Se la vita diciamo ‘artistica’ e da ‘letterato‘, come egli più volte si autodefinì all’epoca dei periodi di Parigi-Bruxelles-Londra , fu ben ‘chiara’ e ‘palese’ in un certo qual modo , e conosciuta attraverso le sue dichiarazioni e le testimonianze di Verlaine ( innanzitutto ) e di coloro che lo conobbero ,a Parigi in special modo, invece la ‘vita Africana’ , al di là della Corri-spondenza e ( ‘soprattutto ‘Ai Suoi’ ) e dei rari documenti ufficiali dei suoi rapporti con le persone africane ( commercianti innanzittuto ) scampati alla distruzione, non è che sia stata evidenziata se non a partire dalle indagini di alcuni studiosi che si sono presi su di sé l’impresa di scoprire il Rimbaud Africano,andando a caccia di documenti e testimonianze lontane,spesso visitando i luoghi e cercando disperatamente di recuperare i resti di quel che potevano trovare dopo quasi 100 anni ! Ebbene volendo trarre un giudizio sul Rimbaud ‘africano’,dai frammenti di sue frasi e da al-trettanti impressioni o frasi casuali testimoniate dei suoi interlocutori laggiù,emerge un ritratto completamente differente del Rimbaut ‘parigino’,ossia ‘quando era poeta’ per dirla tutta !Ma già la decisione di chiudere con l’arte della poesia, diciamo, implicita nei passi de “Una stagione all’inferno’,e di cercarsi ‘un lavoro’,in Africa,lontano dall’Europa ed in particolare dalla Francia ,indica una scepsi,uno ‘spaltung’ diremmo ossia un taglio netto,di vita da artistica a ‘borghese’ ( ? ). Non so definirla altrimenti. Egli dunque sceglie di rientrare nella massa, fra coloro che durante ‘il periodo di poeta e letterato’ aveva puntato gli strali della sua ironia e del suo disprezzo ,prendendo di mira ‘il lavoro’ e ‘la pratica quotidiana della vita borghese’! Ecco che partendo per l’Africa egli abbraccia il lavoro ‘duro e la rugosa realtà’, e nello stesso tempo si pone come fine di ammassare ‘danaro’ per ‘vivere di rendita’ ( idea fissa che aveva sin dai tempi della rivolta adolescenziale! ). Ammassare danaro ho detto, da prendere alla lettera, in quanto Rimbaud porta nella cintura tutte le monete ( in oro ), guadagnate dai suoi vari commerci ,e , verosimilmente , in una terra all’epoca selvaggia ,non è improbabile che le portasse in giro con sé e che ,una volta nel suo alloggio, si disponesse a difendere il suo malloppo con le unghie ( armi ). Questa trasformazione di Rimbaud dal giovane e rivoltoso letterato degli anni 1871-76 a quello adulto e cinico degli anni 1880 e segg.,è notevole e merita qualche approfondimento. Affrontiamolo dal punto di vista pragmatico,come dato di fatto ossia, senza andare a indagare la sua genesi e i suoi sviluppi psicologici ( peraltro complessi ). In effetti Rimbaud diventa e si fa ‘borghese’, persegue una progetto di un uomo adulto dell’epoca: cercare di far soldi per vivere di rendita e, en passant, sposarsi ed avere un figlio da educare secondo i propri principi (confessione consegnata nella sua corrispondenza con la famiglia ). Un ideale quindi borghese, opposto a quello professato nel periodo di poeta e letterato dunque! Le sue ambizioni,una volta abbandonata la vita di poeta, sono mutate ed hanno abbracciato un altro scopo,con ostinazione. Il tutto,chiaro,correlato al suo carattere e sue idiosincrasie. Intanto si sobbarca un lavoro sovra-umano per guadagnare ed ‘arricchirsi in breve tempo’. Cavalca quasi per ¾ della giornata e quindi si ammazza di fatica :lo confessa nelle sue lettere ai suoi,in una terra sconosciuta e infame che non offre nessun comfort ( quante volte ripete nei suoi scritti che ‘odia il comfort’? Il benessere cioè materialistico che lui constata nella borghesia ascendente della sua epoca ?) e solo inenarrabili sofferenze e sacrifici fisici. Egli inoltre ha dimenticato di ‘essere stato poeta’,quello di prima è cancellato_o almeno questo è quel che lascia trasparire dalle poche frasi nelle rare volte che accenna alla vita passata_non esiste che come ricordo triste e da fallito (a chi gli chiese del passato_un giornalista capitato per caso in Africa da lui_risponde con un ‘Puah !’di disgusto e chiude il discorso immediatamente ) che non lascia adito a equivoci.Egli,in Africa,è immerso nel suo nuovo scopo di vita:fare soldi quanto più è possibile per rientrare in Francia e riposare,vivere di rendita e forse sposarsi per avere un figlio da allevare o crescere come vuole lui ! E’ la vita di un ‘uomo della massa’ : non esiste più il poeta e si è amputato dell’anima, oppure è veramente ‘uno sporco borghese’ _riconosciutosi dopo ‘una crisi’ in effetti ( il colpo di rivoltella ?) _che dice tutta la verità e non ci mente ? Sul letto di morte e durante la degenza ospedaliera a Marsiglia , non ci sono confessioni particolari , non abbiamo rivelazioni straordinarie di Isabella, la sorella che lo assistette durante quel periodo _salvo quelle relative alla sua religiosità, tendenziose si sa, oppure vere ( ma tanto che cambia ? La coerenza è solo un dato logico e non occupa un posto preciso nei sentimenti di ogni essere umano!). Quindi Rimbaud si era trasformato, aveva avuto un vero pentimento ed una ritrattazione della vita passata ( quella da ‘artista e poeta’ _alle quali fa cenno nella ‘Stagione all’inferno’ ,in vari modi e con perifrasi allusive,evidenti ), in pratica una abiura di chi da credente si era trasformato in ateo e poi ritorna a credere nella fede di battezzato ! Un uomo che ha infine ammesso che quel sogno di veggenza era falso e bugiardo e che la vera vita era altra, ossia quella del secolo della borghesia ascendente e vittoriosa che avrebbe creato il mito del capitalismo. Il materialismo che ha la meglio sullo spiritualismo. Un mondo pragmantico che viene su , infatti , nel’900 e che porta il totalitarismo , le masse , le guerre , la tecnologia all’attacco e le manipo-lazioni artificiali susseguenti . Ecco tutto.
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Dal ‘Je pense donc je suis’ di Descartes al ‘Je est un autre’ di Rimbaud.
“Un Metodo, cioè il modo di porsi di fronte ad un determinato compito”
W.Gropius
Premessa : l’antico « Si fallor,sum...» di S.Agostino è superato da entrambi, evidentemente, nel senso che quest’ultima nozione di frammento-enunciazione minimale ha come dominante epistemologica il cristianesimo e la sua filosofia del limite ( limite che beninteso è acquisito una volta per tutte sia nel frammento descartiano che in quello rimbaudiano,ma in una dimensione laica). I due pensieri del titolo o del saggio, se vi pare ,sono di primo acchito di due francesi: ecco quel che colpisce. E’ che la storia delle civiltà ha alti e bassi _Spengler docuit_ e pertanto nell’Europa Occidentale alla supremazia rinascimentale italiana, ed al Siglo de Oro della Spagna, fa seguito la rivincita e l’egemonia della Francia ( che in verità si stabilizza soprattutto nei secoli XVIII e XIX: Lumi, Rivoluzione Francese,Post-Romanticismo_ il Romanticismo lasciamolo ai tedeschi ) che incomincia proprio con Descartes, prosegue con Rousseau Diderot e Voltaire,si consolida con Baudelaire Rimbaud Verlaine e Mallarmé. ‘Je pense donc je suis’ ( =Penso dunque sono ), ovvero l’autocoscienza,il primo vagito della psicologia ( l’inconscio verrà con Sigmund Freud ), l’immediatezza dello psichismo puro che si fa materia, il passaggio dall’anima alle sensazioni ( Hume e Condillac faranno tesoro del pensiero descartiano ) e ai meccanismi di funzionamento del cervello, alle passioni oramai esaminate e passate al setaccio della ragione ( preludio a Kant e ad Hegel, ovvero alla ‘critica della ragion pura’ ed alla ‘dialettica’). L’anima e la mente cedono il passo all’essere come vitalità, corpo, e soprattutto ad un metodo per autoindagarsi compiutamente. E’ la prima comparsa del concetto della ‘grande méthode’, ossia uno schema di condotta, fondato su un sistema d’indagine di sé stesso e del reale,quasi un codice di comportamento di auto-sperimentazione ( il ‘nosce te ipsum’ antichissimo che prelude a qualsiasi azione da parte del pensatore, del poeta e dell’artista ). Nella filosofia di Descartes insomma è “metodicamente” applicata l’antitesi,l’antimonia specifica fra res cogitans e res exstensa che giocano un ruolo cruciale e lo ‘spaltung’ del mondo indicato in questa coppia di concetti ‘base’ ha avuto una grossa e duratura influenza sul pensiero dei secoli seguenti. In effetti siamo alla formulazione grezza dello sperimentalismo che poi Galilei estenderà e applicherà alle scienze, facendogli fare un balzo enorme ( Newton soprattutto raccoglierà i frutti di simile prassi). Dunque un metodo per lavorare e produrre risultati, per esaminare con esatta sequenza gli elementi posti in gioco ed eseguirne la scansione analitica. Descartes difatti nell’ambito delle scienze ‘esatte’ ( termine che deriva da lui )introduce per la prima volta nell’Europa dell’Occidente le nozioni e i ‘metodi’ dell’ analisi matematica e geometrica ( o geometria analitica ), che da allora non saranno più abbandonati ( anzi approfonditi ed ampliati ),fino ad arrivare , nelle varie diramazioni , al moderno e attuale calcolatore ( la lingua francese usa ‘ordinateur’ ) o computer per dirla con un termine di uso comune. Metodo giustamente. In pratica è la tassonomia praticata e applicata ai vari ambiti per secoli, che è codificata e diviene adulta, usata per schema di base d’impostazione per qualsiasi ulteriore azione di classificazione del reale o anche per la creazione di un tipo di ordine alternativo e definitivo. Il metodo è la rete, la griglia, il disegno di sottofondo per impostare un’azione di ricerca o descrizione del mondo, una sorta di grado zero d’indagine che sfrutterà tutti gl’incrementi delle cifre in progressione. Dopo Descartes e il suo ‘Discours de la méthode’( =Discorso del metodo ), il procedimento prenderà piede e si diffonderà in qualsiasi ambito,con più o meno cambiamenti ed adattamenti, ma efficace ed attivo, risolutivo.
In letteratura la sua pedissequità verrà inaugurata dall’Encyclopédie massicciamente, come regola tassonomica di classificazione dello scibile o come idea globale di ‘cultura tout court’ e basta. Questa ‘grande méthode’ comunque prenderà alla gola, nel secolo dei lumi, sia nel materialismo o nel pensiero libertino, la sistematicità falsa dello spontaneismo della natura ( piuttosto panico e quindi religioso in effetti ), insinuando per la prima volta il dubbio che l’irrazionale o caos fossero naturali o di ascendenza divina e quindi non analizzabili al lume della ‘raison analytique’. Resistendo allo ‘sturm und drang’ del reattivo romanticismo ( all’illuminismo troppo ‘sogno della ragione’ ), e passando inerme nell’incendio susseguente del sentimento e delle passioni incandescenti, il metodo, un razionalismo lucido ma non privo d’immediatezza sentita, si sviluppa. Forse già in epoca romantica, precisamente nei “Frammenti” di Novalis ( Friedrich Von Hardenberg ),troviamo già i prodromi di applicazioni graduali e integrali di metodologia in certe fulminanti ma efficaci analisi del ‘poiein’ letterario vero e proprio. Ma ‘la méthode’ esplode con Edgar Allan Poe,che sebbene americano di nascita,in effetti è inglese ed europeo di formazione letteraria,col suo famoso “Philosophy of composition” in cui il grande scrittore e poeta espliciterà il ruolo dell’artista nella creazione dell’opera d’arte ( poesia “The Raven” quale esempio addotto dal Poe ), descritta in tutta la sua complessa fenomenologia, e della ispirazione che lo sovrasta nell’atto creativo che segue. No _ afferma Poe_l’ispirazione non è un ‘furor’ irrazionale che discende come una sorta di Spirito Santo sul poeta-artista ( la concezione del “furor” come unico fondamento dei doni creativi era di Platone,che nello Ione del poeta dice: “ è una cosa leggera, alata e sacra, e non può comporre niente finché non è ispirato, che è come dire pazzo“ ) ma una concatenazione logica e razionale di passi condotti con metodo per arrivare alla produzione di un poema o altra opera letteraria ( la prassi è applicabile anche al fare del pittore beninteso_ma ciò è sottinteso e non esplicitato da Poe ) che voglia produrre un effetto di commozione o di pathos sul fruitore.
Le rivelazioni di Poe fecero epoca ( siamo alla metà dell’800; fu Baudelaire a introdurre Poe in Europa, tramite delle traduzioni in francese,circa 1856-57¬62, ricordiamolo ) e furono accolte ed assimilate con grande prontezza. Difatti fruttificarono immediatamente: Baudelaire ne ebbe un impulso benefico, accelerando la messa a punto delle “Fleurs du mal” ( forse Baudelaire si servì delle consapevolezze di Poe, molto prima della data di traduzione effettiva );ma colui che mise a punto la lezione,modificandola a suo uso e consumo,fu il genio precoce di J.A. Rimbaud. Entra in gioco a questo punto il “Je est un autre”, in cui ,mediante la ‘grande méthode’,il “Je” fa un grande balzo e precipita nel gorgo misterioso dell‘ ‘autre’.Siamo in piena modernità,ovvero ai nostri giorni. Ricordiamoci che Rimbaud aveva abbandonata la poesia e i “marais occidentaux” per “retourner à l’Orient et à la sagesse première”, continuando, col silenzio e la sdegnosa solitudine,ad essere più poeta ancora,perché “je suis rendu au sol, avec un devoir à chercher et la réalité ruguese à étreindre! Paysan! “. L’Africa nella quale volle andare fuggendo dalla delusione di “Maintenant je puis dire que l’art est une sottise “ e per tentare oramai di “posséder la vérité dans une ame et un corps”. Il metodo sarà applicato a partire dagli esordi del ’900, data in cui Rimbaud, pur col ritardo di circa un quarto e più di secolo,sarà cominciato ad essere letto e meglio conosciuto ( prima attraverso le « Illuminations » e dopo con la « Saison » ). Ma nessuno degli artisti riuscì ad applicarlo con la determinazione e la grinta dell’ “enfant de colère” di Charleville. E comunque “la méthode” rimbaldiana ci ha insegnato a demistificare, facendoci piombare al centro della realtà banalizzando il mito ( falso ) del grande poeta ispirato e vate per designazione del destino e ci ha fatto conoscere anzi che il prodotto della poesia si raggiunge con un grande e immenso lavoro pieno di rischi e di imprevisti, e che sfiorare lo scacco e pasare accanto alla follìa fa parte della scelta di esser poeta ( o diventarlo ). La poesia non la si riceve come dono ma la si conquista duramente, giorno per giorno. Quanto all’irruzione dell’ “altro” nel moderno ( dal 1871 in poi ), con la sua scomoda presenza,_ fonte di problematicità senza fine _ poi sfocerà nella nascita della psicologia e la successiva analisi psicoanalitica ( la scienza della psiche per eccellenza _ siamo oramai alla proliferazione delle scienze umane, che si moltiplicano:ovvero l’albero dello scibile mette sempre più foglie ed i suoi rami si diversificano: l’infinità del sapere che esplode in tutte le direzioni ). Ma l’ “altro”, postulato per primo da Rimbaud, ricevette la sua paternità inconscia (?) da Baudelaire , che nelle “Fleurs du mal” assesta un duro colpo al sacro del Cattolicesimo, avendo in pratica messo a nudo l’anima con l’analisi del male e sue ramificazioni nell’essere umano fino alla radice dell’artifizio, con cui spesso lo vede in connubio, decretando( ? ) e/o anticipando,come dire, la “morte di Dio”, che, naturalmente , sarà profetizzata dal Rimbaud della “Saison en enfer” ( nei titoli delle 2 opere più importanti della metà ‘800 riecheggiano due termini e concetti del Cattolicesimo: male e infemo, che sono anche indissolubilmente legati tra loro da una dottrina elab¬orata lungo i circa 1850 anni dalla nascita del Cristianesimo ),che anzi, come un nuovo Gesù Cristo ( laico ), metterà in atto la sua ‘predicazione’ con l’azione di abbandonare l’Occidente per l’Oriente. L’ “altro” è quindi la proiezione vuota, se vogliamo la gnosi ( in quanto mistero , che , secondo Rimbaud, si può sondare con “la méthode” della veggenza _non siamo quindi al- l’agnosticisimo, che verrà dopo con Heisenberg e Wittgenstein ), caratteristica della ns.civiltà all’esordio del capitalismo avanzato ( non ancora monopolistico all’epoca di Rimbaud, ma certo già in fase disumanizzante se il medesimo poeta si rese protagonista del commercio delle armi in Africa e altri affari simili _quando verrà quello, ecco irrompere l’agnosticismo ).
L’ ”altro” è anche una sorta di nuovo umanesimo, o un rinascimento, su cui fondare valori tangibili e meno metafisici , non legati ad una religiosità ultraterrena ma immanente , in cui è giocoforza individuare più pragmatiche morali e questo potrà segnare l’inizio di una nuova era o la fine del nostro pianeta. Tutto ciò dipenderà dalla via che le forze della ns. umanità prenderanno e dagli equilibri delicati che reggeranno la marcia verso il futuro.
Postscriptum.
Quanto poi all’idea di questa breve e limitata indagine sul metodo ( “La Grande Méthode” di J.A.Rimbaud !) mi è venuta ricordandomi della maniera piuttosto singolare e inspiegabile di comporre i racconti di cui si dice di Lovecraft. Ovvero egli non faceva che trascrivere la storia dapprima “sognata”. E’ da chiedersi : l’ispirazione_ c’è da supporre _ gli veniva allo stato di veglia( il giorno? )per poi sognarla, oppure in concomitanza del sogno ? Sarebbe interessante conoscere nei particolari questo fenomeno inusitato del dettato artistico che si forma nei meandri insondabili della psiche quando sta dormendo (oh, come porta acqua abbondante al mulino del Surrealismo! ) ed è allo stato di semicoscienza, anche se i sogni, come ha ribadito più volte Freud, s ono strutturati ed hanno nessi simili ad una logica conscia ( l’inconscio, dirà più recentemente_ vicino a noi intendo dire_ Jacques Lacan, è strutturato come il linguaggio e la lingua che parliamo ).
D’altronde l’Ispirazione, per i Greci _ occorre ribadirlo_ non era una sorta di furore in preda al quale il poeta e l’artista era rapito per un certo periodo di tempo? Ho detto rapito, in quanto resta occulto ed inspiegabile quello stato nel quale l’artista si trova a vivere quando compone in preda a ‘quel furore’ di cui essi parlavano per far luce sul fenomeno creativo, che resta ed è uno degli interrogativi più affascinanti della genesi dell’opera d’arte ( soprattutto il suo momento o, se si vuole, i suoi momenti ). Beninteso veglia e sogno sono strettamente legati e, spesso, l’uno dipende dall’altro *, per cui è da scoprire secondo quale modalità interferiscono e a riguardo della ispirazione onirica di Lovecraft riferita dal suo massimo biografo( L.Sprague de Camp ) è da appurare soltanto se le storie incredibili che lo scrittore stendeva sulla carta gli venivano così, tout court, nel sogno oppure il sogno era soltanto il veicolo di perfezionamento e di lima di ‘sogni ad occhi aperti’ durante le ore di veglia ? Insomma H.P.Lovecraft era un visionario di giorno e quindi coltivava la sua immaginazione consciamente per poi perfezionarla e darle il tocco dell’ inconscio durante le ore di sonno; oppure, al contrario, egli di giorno ripuliva, aggiustava ed ordinava la materia grezza,caotica e informe che nel sogno gli si rivelava ? ( e qui _per inciso_siamo al “metodo” rimbaldiano dello “sregolamento dei sensi” per poter ricevere la materia che viene “dall’altro” onde poterla lavorare! ). Si tratta comunque ed in breve sempre di visioni da coltivare e trascrivere mediante una tecnica artistica adatta ( scrittura, segno, notazione qualsiasi,e così via...), dando l’informe se è quello che si è intravisto e la forma se invece è essa che gli si è presentata immediata.
* “Chuang-Tzu, filosofo cinese antico ( del Tao ). Lui aveva sognato di essere una farfalla e, al risveglio, non sapeva più se era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che stava sognando di essere un uomo.” Citazione di J.L.Borges,da:”La metafora”( sta in:”L’invenzione della poesia - Le lezioni americane ).”, Milano, 2001.p.32.
NOTA PER IL LETTORE :
PUBBLICATO INIZIALMENTE NELLA SEZIONE ‘ARTICOLI’ ,IN UNA VERSIONE DI AB-BOZZO,NON CORRETTA ,VIENE RIPUBBLICATO ADEESSO NELLA SEZIONE ‘SAGGI’ , DOVE CREDO CHE STA MEGLIO INSERITO, MA CORRETTO,RIVISTO E QUASI DEFI-NITIVO. GRAZIE PER LA PAZIENZA, SCUSATEMI.
P.S. LASCIO A DISPOSIZIONE PER CFR. LA PRECEDENTE VERSIONE IN ‘ARTICOLI’ SE MAI QUALCUNO VOLESSE CURIOSARE SULLE MODIFICHE. GRAZIE.
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