Se mi parlasse un attimo, potrei dirti che a volte
mi nasce come un senso di amarezza:
il trascorso è perduto e l’oltre un nulla. Ma non è questo il punto.
Il punto è un luogo di concentrazione, sotto diversi aspetti:
l’immenso sembra minimo.
Tutto si chiude e il tratto si assottiglia:
un radunarsi asciutto dove il presente è antico
completamente privo di spessore come un rifugio artico.
Ti scrivo il mio digiuno.
Essere è un vuoto intenso e la mia scia
somiglia troppo spesso a un peso falso
un fastidio incorporeo, un risultato senza cognizione
dove la terra si rovescia e il tempo
si distanzia dal nesso:
io coltivo distanze.
Tuttavia ti indirizzo le parole ed i suggerimenti della sera
quando la mia coscienza ascolta un suono che mi trascina nell’inascoltato.
Se Dio respira è un attimo che trema. Qualche volta un silenzio.
Ma per fortuna il tempo non consegna
lettere
e l’incompiuto scrive.
Questo conserva intatto il tuo pallore, il mio rivolgimento
il nostro sguardo
qualche volta stellato.
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