Pubblicato il 14/01/2013 09:48:13
‘La migliore offerta’ di Giuseppe Tornatore, un capolavoro del cinema italiano.
In puro stile Tornatore, cioè flemmatico, avvolgente, coinvolgente, per quanto alle prese con una trama originale e una sceneggiatura impeccabile, questo film si apprezza anche per le altre qualità d’insieme, a cominciare dal gusto, elegante e raffinato delle inquadrature, quel po’ di sofisticato ‘viscontiano’ nella ricercatezza scenografica che non guasta, e infine, ma non in ultimo, la gestione dei personaggi, resi vigorosi da un impianto teatrale che molto toglie al cinematografico ma che rende loro lo spessore e la credibilità che necessitano nel raccontare ogni loro singola esperienza. Non sempre imprevedibile la trama, ricorda qua e là altre situazioni déjà vu (La partita, La stangata), e tuttavia intrigante e fascinosa, in cui la simulazione affronta temi ben più sottili e difficoltosi tipicamente nostrani, eppure quasi mai resi così apertamente ‘visibili’ nel cinema, come la sensibilità artistica (tipicamente italiana) del collezionista, la rinuncia di se stessi per uno scopo, la senilità che incombe sul desiderio, l’illusione e la speranza di poter dare una svolta alla propria vita. Questi i risvolti sottili e ‘coinvolgenti’ del film, difficili da esternare in immagini ma che il regista ha sottolineato, forse senza ironia, certamente con destrezza e capacità intellettuale, volendo compenetrare - come egli stesso ha detto in una recente intervista - quella che è l'Arte del cinema nel mondo dell'Arte tout court. E forse c'è riusciuto, mixando in ciò che di 'visibile' le due arti hanno in comune, lo stupore sottile della bellezza. Lo si direbbe un thriller dotato di un suspense per così dire ‘alterato’ nell’effetto, che non ha fretta di arrivare a una conclusione oggettiva ma che, all’uopo tende a diluirla nel ‘tempo e nello spazio’, la sequenza ‘hitchcockiana’ degli orologi lo rivelano, che lascia allo spettatore di ritrovare la sua pacatezza (o la propria inquietudine a seconda dei casi), e per qualche istante, lasciarlo dirigere il suo personale film, fuori dello schermo. Straordinari tutti gli interpreti a cominciare dal suo protagonista Geoffrey Rush, la cui impassibile interpretazione lascia a momenti sconcertati; a Donald Sutherland sempre grande anche nelle piccole parti, e a tutti gli altri, da Jim Sturgess, Sylvia Hoeks, Philip Jackson, Dermot Crowley capaci e misurati, e comunque ber orchestrati dal regista Tornatore che con questo film sembra aver recuperato la sua autentica maturità. Strano a dirsi, che aveva già dimostrato nel suo film presentato a Cannes “Una pura formalità’ del 1994. L’ottima colonna sonora di Ennio Morricone ovviamente si commenta da sola, opera di un vero ‘maestro’ il cui riconoscimento è ormai planetario. Nb: risulta un tantino ripetitivo e piuttosto statico nella parte centrale che si potrebbe accorciare e che non penso inficerebbe la validità del film.
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