Desidero tornare a quella dolce malinconia
che ci accompagnava per i viali,
tra rami e ciottoli, tra le erbe aromatiche
ed il muschio, nell’umido rincorrersi.
Simile a quello che un tempo era il procedere
del destino, per scommettere qualche fantasia,
che circondi gli spazi della oltraggiosa passione,
per non tenerla in agguato come un presentimento
insonne sul corrodersi del tempo.
Chiedo un salmo che colmi il cuore,
una voce che tuoni profezie
e appaghi la tortura dell’ira.
Il dialogo che Dio non concesse
nel migrare di ore ventose,
nelle infinite pagine bianche
tramutate in un buffo risuonare dell’eco.
Oggi la luce delle tue pupille non è più capace
di giocare,
trasformando le nuvole in figure clandestine,
descritte come antiche pergamene.
Incorruttibili i capelli, nell’ora che cade,
vagheggiano sospetti e bagliori,
per tentare quella ebbrezza che non torna,
che rimpiangi per scomporre presenze,
per inseguire mordendo gli umori del destino.